Una ferita del terapeuta

E’ una seduta di un gruppo formativo. Naturalmente i nomi che appaiono negli scambi sono inventati.

Leggenda:
C = Conduttore gruppo
P = Presentatore caso
M…….M7= Membri del gruppo

P: la situazione che porto è di un nuovo utente, Maurizio, 15 anni.
Lo descrivo un attimo: è autonomo nel senso dei movimenti, quindi va e viene da solo. Ha una buona cognizione spaziale, quindi si muove dentro il centro abbastanza con autonomia, ma ha un grossissimo problema di linguaggio, nel senso che farfuglia le parole. Le farfuglia in maniera molto veloce. Io non sono ancora riuscita ad affinare la comprensione sul suo modo di esprimersi.
Allora, Maurizio è arrivato da noi a settembre, ha un lieve ritardo ed è uno dei ragazzi che potrebbe, nell’ambito dei laboratori e del recupero, fare un percorso molto buono. L’unica cosa è che il livello della nostra utenza in questi anni s’è abbassato.
Lui è stato messo in un gruppo di ragazzini, diciamo con le capacità più elevate, però si sente ad oggi a disagio, disagio che manifesta cercando continuamente il rapporto con l’adulto, quindi con gli educatori, con i maestri, con gli insegnanti di laboratorio.
E’ un ragazzino che arriva dalla scuola, dove ha avuto un’insegnante di sostegno che ha lavorato principalmente con lui, quindi l’ha abituato ad avere qualcuno che lo favorisse, ad avere un interlocutore unico e privilegiato. Adesso si trova in questo gruppo dove non si sente parte, anche perché sono tre mesi che frequenta la scuola, e resta ai margini.
Nei miei confronti Maurizio è molto affettuoso e carino, nel senso che la mattina mi porta i fiori (noi abbiamo un giardino, abbiamo un prato fuori molto grande, per cui lui raccoglie margherite, ranuncoli, un po’ quello che capita e li porta. Abbiamo fatto un vaso in cui li metto tutti, li metto a seccare praticamente e poi mi fa un sacco di disegni che appendiamo. Abbiamo trovato, dopo i primi mesi, visto che la cosa continuava, cioè era molto regolare, abbiamo cominciato ad appenderli su un muro, praticamente abbiamo tutta una sequenza di sue produzioni che mi regala in continuazione.
L’unica cosa è che io, nonostante lui continui a ricercare la mia persona, ho difficoltà a capirlo, cioè proprio sul livello della parola, non riusciamo a trovare un…

M: un codice ad esempio?

P: … una comprensione, più che un codice, perché lui parla male. Io continuo a dirgli “guarda non ho capito, ripetimelo più lentamente” ma lui lo farfuglia molto velocemente, e io continuo a fare certe facce che a lui molto probabilmente mettono a disagio. Poi ad un certo punto se ne va, come per dire “ma questa non capisce un cazzo”, è anche stufo di riprovarci. Per cui, tante volte vado ad interpretazione oppure gli dico di si, anche se magari non ho capito bene il messaggio che mi è arrivato.
Il problema si pone anche perché, quando abbiamo fatto l’orario di Maurizio, siccome era un ragazzino con buone capacità, è stato assegnato a tantissime attività.
Io ho avuto uno scontro con l’educatrice referente del gruppo perché Maurizio è stato messo la mattina e il pomeriggio a fare attività nel laboratorio di ceramica ed io sono convinta che comunque un tempo così lungo di permanenza in un laboratorio per studenti, anche se abbastanza in gamba, non sia proficuo, anche perché, comunque, poi si stancano e diventa poi noioso il lavoro.
L’altro fatto è che poi, a tutti i costi, lui dovesse fare tutti i laboratori e tutte le cose incalzando, anche magari frammentando le attività in tanti spazi da un’ora.
La discussione era avvenuta con Sonia, che è l’educatrice, perché io avevo portato il problema che secondo me Maurizio avesse più bisogno di qualcuno che gli dedicasse del tempo sulla relazione, sulla comunicazione di qualcosa, piuttosto che su questa frenetica e continua attività, o trovargli da far qualcosa. Anche perché si diceva “sì Maurizio è in gamba, lo mettiamo li, fa questa cosa, gli diamo il compito, insomma ce lo togliamo un po’ dalle scarpe, tanto è lui… Abbiamo un po’ di carenza di personale in questo periodo, per cui tanto è li, lo fa, è bravo e va. Il problema è che io continuo a notare sempre di più da questi suoi atteggiamenti, e dei fiori, e dei disegni, e nel dopo-pausa, che lui continua anche se io ho ragazzi, quando lui ha un momento… (Ecco, nell’ubicazione del suo gruppo, in questo momento, stanno facendo dei lavori di ristrutturazione, e adesso è praticamente nella stanza accanto alle mie due di laboratorio)… per cui quando lui ha cinque minuti, io praticamente me lo ritrovo li, è in piedi in questo modo, sta li, ed io non riesco a lavorare con gli altri utenti, nel senso che se lavoro con gli altri lo devo lasciare un po’ lì così e la cosa non mi piace, perché mi sembra che con la sua presenza mi richieda qualcosa.
Poi che io non capisca quello che mi chieda… Quello che mi chiede è un mio limite, però io ho quella presenza costante.
Con Sonia era nata questa discussione sul fatto, che secondo me, Maurizio aveva più bisogno di più momenti strutturati con qualcuno che gli dedicasse del tempo, anche solo per parlare, che gli raccontasse delle cose che lui faceva a casa, faceva li, dei suoi interessi.
Maurizio è un ragazzo che viene col telefonino, ha una macchina fotografica digitale molto bella, per cui fotografa qualsiasi cosa, è molto attento.
Sul piano del lavoro, sul piano della sua abilità invece, quello che io ho potuto valutare è che è abbastanza carente, nel senso che io faccio a tutti i ragazzi che vengono in laboratorio delle prove per vedere quali sono le abilità pratiche, per poi poter impostare dei lavori. E lui comunque è si interessato al laboratorio di falegnameria, al lavoro, ma non così tanto come tutti vogliono dire.
Ecco, io mi trovo da sola in questo momento a voler cercare di creare uno spazio a Maurizio per raccontarsi, per raccontarci chi è lui, come e cosa vorrebbe fare veramente. E per me questo è un problema.

M: ma uno spazio all’interno delle tue ore, o con un altro?

P: uno spazio. Per adesso non andiamo troppo a dire delle ore. A me interessa che lui abbia comunque un suo spazio per potersi raccontare. Secondo me è molto importante per lui. Poi che sia io, che sia un altro, questo non ha importanza. L’importante è che questo ragazzo possa avere modo di potersi aprire, cosa nel gruppo in cui è, siccome il livello è molto più basso, non può fare col gruppo dei pari. Perché non c’è dialogo, non ci può essere relazione. Lui questa relazione non la cerca, lui non si sente parte del gruppo, si sente molto diverso. Il problema è che questa sua diversità lui non può dirla a nessuno, non ha uno spazio per dirla a nessuno.

M1: e con te? Però da te viene.

P: si, da me viene ma in momenti in cui io non posso dedicargli del tempo, o in momenti in cui con me deve fare altro. E poi, io non posso fare un progetto mio, di testa mia, in una struttura in cui c’è per ogni ragazzo un piano educativo. Io non posso dire “Va bene, vieni a far falegnameria, facciamo quello che vogliamo”.

M2: scusami Maria. Io quando penso a te, penso sempre all’educatrice. Anche se tu hai ovviamente la competenza in questo campo della decorazione. Però la decorazione, perché tu sei in grado di fare questa cosa e sei preparata qua, potrebbe essere un’altra cosa…

P: infatti, la decorazione è un mezzo.

M1: ecco. E allora perché devi dividere lo spazio in cui lui può parlare dal momento in cui lavori insieme?

P: io in contemporanea ho tre altri ragazzini. In questo caso, siccome è un ragazzo abile e abbiamo questo problema di personale, io ho in concomitanza altri tre ragazzi una volta, e altri due ragazzi una seconda volta, perché un po’ più bravi. Io l’ho diviso dagli altri, anche al fatto perché lavorare con loro non lo fa sentire a suo agio, perché comunque loro fanno dei lavori molto bassi e lui fa un lavoro un pochino più complesso, con più fasi, più articolato. Che poi le sue abilità non siano proprio quelle che uno potrebbe immaginare conoscendolo, nel senso che sono più limitate, però ha comunque un lavoro più complesso degli altri.
Il problema è che io non riesco a far passare, parlandone con la mia collega, questo messaggio che comunque può esserci che Maurizio abbia bisogno di altro.

C: e tu cos’hai di bisogno?

P: di riuscire a farmi capire dalla mia collega.

C: prima di farti capire da questo ragazzo?

P: si. Di riuscire a farmi capire. Di riuscire a capire, di riuscire a comprendere di più.

M3: la sensazione, da come l’hai detta fino a adesso, secondo me, è che siccome non ce la fai a riuscire a stare con lui su un piano, chiamiamolo così, verbale… E’ come se, visto che non ce la fai tu, ci dev’essere qualcosa che non va. Adesso sto puntualizzando questa sensazione…

P: si, si.

C: io mi chiedo perché non è possibile pensare che ce la farai anche tu. Perché non devi riuscire a trovare uno strumento attraverso il quale, visto che il linguaggio parlato per via di molte difficoltà non è ancora accessibile, non è comunicabile attraverso quel canale, tu gli parli e lui sta ad ascoltare. Poi non ho colto se la difficoltà è solo nel fatto che lui ti parla e tu non lo capisci o anche tu gli parli e lui non ti capisce.

P: no, lui capisce benissimo.

C: sicura di questo, hai la certezza che lui ti capisca?

P: si… No, cioè, ho la certezza che lui mi capisce. La sua difficoltà è proprio in uscita, cioè proprio della parola.

M1: parla male… cioè per dire… Perché lui ti capisce, perché lui capisce quello che tu dici, cioè gli arrivano tutti i messaggi, di qualsiasi tipo, linguistici, ma mi pare di capire anche quelli emotivi.

P: si, si. E’ un ragazzo molto…

M1: quello che è, è che hai a disposizione molti canali.

P: si

M2: allo stesso modo li ha lui, perché per me, per esempio, mi resta… che questo ragazzino ti porta tutti i giorni i fiori, ti fa un sacco di disegni… mi veniva da chiederti se c’era qualcosa di voi due in questi…cacchio quante cose.
Perché ti blocca? Anche perché quando ti capita di stare vicino ad una persona che non capisci, ti senti anche un po’ in imbarazzo, hai quasi paura a continuargli a chiedere che cosa ha detto, perché ti sembra di metterlo a disagio a continuare a chiedere.
Però, mi chiedo se è proprio questa roba qua, l’imbarazzo che ti frena o se c’è dell’altro.

P: sicuramente il fatto che non riesco ancora… anche perché abbiamo ragazzi che parlano peggio, che in uscita sono molto peggiori, però sai l’abitudine poi ti porta… di solito il ragazzo, i nostri ragazzi parlano con la frase, ci sono parole piuttosto ripetitive, però ormai vai a conoscere gli abbinamenti.

C: prova ad immaginare dentro di te quello che potrebbe essere, per la tua esperienza, un canale di comunicazione alternativo alla parola.

P: però capisco che io li uso costantemente gli altri canali…

C: anche con lui?

P: no, perché di solito è più immediato trovare dietro di me dei ragazzi con un livello mediamente più basso…si, nel senso che comunque è più semplice e sistematico per me arrivare a un livello più basso. E’ sistematico, cioè proprio è un meccanismo. Mentre con lui, siccome ha un alto livello cognitivo e una buona comprensione verbale, ha delle aspettative e non si sente parte del suo gruppo, quindi si sente in un posto… cioè ha una percezione di sé molto più alta del suo gruppo, quindi mi sembra che forse innescando dei meccanismi più bassi deludo le sue aspettative, di squalificarlo…

C: senti, ascolta. Se il tuo problema è di capire ciò che lui ti dice, non quello che lui capisce, tu gli puoi parlare nel tuo linguaggio. Poi apprende.

P: ma io…

C: puoi testimoniarli questa tua verità?

P: gliel’ho detto che io ho difficoltà. Io spesso coi ragazzi, quando non capisco quello che mi dicono, gli dico “Guarda, sono un po’ rincoglionita, ripetimelo per piacere” e a volte mi capita di farmele ripetere altre volte..

M: e pero ne fai…

P: ne faccio un mio limite.

M: e però questo è sbagliato…

P: questo è effettivamente un mio limite.

M2: ma non è vero. Maria scusa, non è vero che è un tuo limite. Cioè se una persona non ha delle capacità linguistiche e farfuglia, scusa ma non è un tuo limite di capire, è un suo limite, che non significa una sua colpa, ma un suo limite.
Allora io che ti ho visto, sei tu che ti arrabatti come una disperata e che ti senti tu a disagio, e che in qualche modo fai fatica a trasmettergli che non capisci, e te ne prendi una responsabilità.

P: si, è vero

M: di modo che lui automaticamente sia portato a pensare…

P: “Ma questa è scema”.

M1: … a incazzarsi, “guarda questi come sono rincoglioniti, non mi capisce nessuno”
Adesso è difficile questa parte, però io credo che lui si debba un minimo assumere la responsabilità del fatto che ha un limite. Altrimenti è come se sia un po’ folle.

P: c’è qualcosa che stona però.

M2: è che lui pensa che sono gli altri che non capiscono, credo che dia poi motivo a tante incomprensioni, anche di altra natura, non solo linguistiche. Credo che invece gli andrebbe rimandato che ha, che tu fai fatica a comprenderlo, perché effettivamente lui… ora non so come si possa fare, dire, non so, però credo che non puoi dire che non capisci perché sei tonta.

P: c’è un problema però. Comunque, il fatto tante volte di dire “guarda c’è un problema”, tante volte inibisce il fatto che questi continuino a ripetertelo. Per cui il fatto di prendersi una parte della colpa sul fatto che non si capisce, da modo a loro di portarti, di pensare di aiutarti ripetendo e quindi di non scoraggiarsi e di dir “parlo male, non me ne frega niente, per cui adesso gli porto i fiori e me ne vado”.
E’ sicuramente distonico il fatto che si neghi il problema.

M: ma mi dico anche. Per lui diventa molto più faticoso. Se quello è un problema e in qualche modo lo sapete tutte e due, credo che insieme si possa trovare anche un’altra modalità. Ma se io continuo a pensare che sono gli altri che non capiscono, io Maurizio, non mi viene in mente si poter usare un’altra modalità per comunicare. Continuo a battere su quello che poi non è funzionale, che comunque poi crea disagio.

M1: forse anche lui ha bisogno di qualcuno che gli dica “impariamo ad usare un altro modo per dirci le cose”, e come ti ho detto, ce ne sono, tu ne conosci tanti.

P: anche il fatto di portarmi i fiori è un modo per dirci delle cose.

C: ti sta segnalando qualcosa. Intanto vediamo di chiarire quello che dice Silvia. Come lo trovi?

P: la trovo coerente.

C: coerente. Ebbene, cominciamo a prenderla bene questo tipo di coerenza. Io credo che il passaggio a questa modalità abbia a che fare con una tua percezione di te che ti presenti come “Abbi pazienza, sono un po’ rincoglionita e non capisco”. Ecco, quella tua percezione di dover rimandare che sei un po’ rincoglionita, non so poi quanto sia d’ostacolo a trovare una modalità di avvicinarti a quelli che hanno questo tipo di deficit espressivo. La comunicazione verbale è una realtà che oggettiva: è un deficit di espressività verbale che non consente di scambiare le proprie cose rende necessaria l’attivazione di altre strade di comunicazione.

P: che li isola molto anche…

M2: anche perché Maria, tu prima hai… sai perché, tu prima hai detto una cosa, presentando questa situazione, che secondo te il fatto che gli facciano fare così tante attività parte dal presupposto che lui abbia delle buone abilità. Io gli ho fatto una specie di test di ingresso e il riscontro non è poi quello che dicono gli altri. È un po’ quello che ti segnala Silvia, un problema suo. Non so se mi sono spiegata. Provo a dirtelo in un altro modo. Tu hai capito?

P: si

M2: cioè, quando lei ha presentato questo ragazzino dice “secondo me avrebbe bisogno di uno spazio suo, in un rapporto uno a uno”, che sarebbe però riproporre quello che ha avuto l’anno scorso con gli insegnanti di sostegno. Lei ha sottolineato un sola figura di riferimento lo scorso anno, tante figure di riferimento quest’anno. Successivamente ha detto: “Il fatto che abbiano deciso di fargli sperimentare tutti i laboratori, perché lui ha delle buone capacità rispetto al livello medio del gruppo dei ragazzini frequentanti”, a me non torna, perché io gli ho fatto una specie di prova di ingresso, rispetto al mio laboratorio, e lui per me ha dei deficit. Per cui, abbiamo un’immagine di lui più alta di quella che realisticamente è.
Perché io gli ho fatto una specie di prova di test d’ingresso e per me lui ha dei deficit, per cui abbiamo di lui un’immagine più alta di quello che realisticamente è.

M1: so dove vuoi arrivare. Dicendo “sono rincoglionita” e come se non volesse riconoscere il limite di Maurizio.

P: sono stata contorta…

C: stiamo al tema che Maria presenta, senza possibilmente interpretarlo. Lei ci presenta una sua difficoltà di comprensione dell’altro, non capisce quello che l’altro le dice. Intuisce che l’altro vuole avere con lei un rapporto bello, ma che non è utilizzabile col linguaggio che l’altro riesce a mettere in campo. Marisa ci presenta tante cose: la struttura dove lavora, la valutazione potenziale, i presunti bisogni del ragazzo.
In questa presentazione il pezzo “Io ho difficoltà a capirlo” rimane, secondo me, un pezzo centrale. Non mi pare adesso rilevante il tempo, se un’ora al giorno o un’ora la settimana. Qui hai presentato una Maria inadeguata, un poco scassatina, un poco vecchietta, che dice “abbiate pazienza”. Finchè rimanda a se e a noi questa immagine penso che farà molta fatica a credersi capace di stare bene col ragazzo. Dobbiamo fare i conti con Maria che non si sente “capace”. Di che cos’è che non è capace Maria?

M1: anch’io ho sentito quello che sottolinea il dott. Serra, come se ci fossero due ordini di problemi: uno è quello pratico di questo ragazzo, che da un lato sembra dotato di nozioni cognitive alte perché riesce a gestire una fotocamera digitale, un telefonino; dall’altro non riesce a comunicare. Allora mi domando: c’è un problema oggettivo? Perché se c’è un problema oggettivo di linguaggio c’è il logopedista. L’hanno portato dal logopedista? Perché capita che ci siano persone che hanno dei deficit di linguaggio improvvisi, ho visto persone affette da tumori celebrali che dopo cinque mesi riescono a parlare in maniera sequenziale e quindi ci vuole uno che gli insegni la sequenzialità. E’ stato fatto? Questo è un problema oggettivo, no?
L’altro è un problema relazionale tuo. Anche a me è arrivato un poco strano il fatto che tu ti poni come in difetto nei suoi confronti, perché è lui in difetto a non riuscire a comunicare.

C: questo ragazzo le parla anche con un altro linguaggio, le porta dei fiori. E’ un linguaggio affettivo, a cui lei risponde apparentemente solo con il linguaggio verbale, che pure il ragazzo comprende.
C’è stato un momento in cui ti ho sentita commossa nel raccontare la storia. Cosa ti commuoveva?

P: sicuramente la difficoltà che posso provare nel raccontare quella persona…

C: difficoltà di che natura?

P: dipende

C: qui con noi, adesso, qual è la difficoltà?

P: non lo so… la sento fortissima, ma non riesco a darle un nome… c’è una forte difficoltà che non riesco a superare, che non riesco a gestire…

C: riesci a tradurre in parole questa cosa che provi?

P: paura di essere respinta…ho bisogno di una giusta distanza… nella mia vita le persone che ho lasciato avvicinare troppo mi hanno deluso. Mantenere il controllo mi da una certa sicurezza che non provare troppi dispiaceri, troppe delusioni…

C: a noi come ci senti?

P: troppo vicini… e se rimarrò delusa?… non avvicinatevi troppo!

C: così lo sai che cosa ti perdi?

P: lo so…mi perdo voi, anche se in questi anni le distanze le ho molto accorciate, ho bisogno ancora di tempo…

M3: guarda che il ragazzino scalpita, e se tu non prendi bene il fiore il ragazzino si stufa…

P: mi sbatte un bel cavolfiore in testa, invece dei fiori…

C: mi pare che un cavolfiore te lo stai tirando da sola in testa. Dal momento che hai scelto di fare e fai questo mestiere io ti presumo “capace”, con tutte le difficoltà che puoi sperimentare nel diventare il massimo che ti piacerebbe diventare. Le autodefinizioni che dai di te stessa come”non sono capace”, “non sono in grado di”, sembrano più legate a qualcosa d’altro, che ti fa paura. Anche a noi chiedi di starti lontana.

P: si, è così… (Molto voci nel gruppo, che protesta per questo allontanamento).

C: io credo che dobbiamo rispettare la richiesta di Maria. Finora abbiamo fatto un poco anche quello che fa il suo ragazzino con il fiore in mano, sperando che lei lo prenda. Sperando che non lo metta subito a seccare.

M1: è vero! Quando a detto che prende i fiori e li mette a seccare mi sono detta: perché non li mette in un vaso, con l’acqua?

P: il problema è che lui, quando mi porta i fiori, io lo ringrazio e poi mi accorgo che la relazione rimane e si ferma lì. E’ un mio limite non riuscire a dare un giusto peso a questo…non trovo il modo…è come se non esistesse affettività…

(varie voci dei membri del gruppo, la sollecitano a parlare delle difficoltà, qualcuno tenta di interpretare l’affettività di Maria)

C: l’unica competente della propria affettività è Maria, mica noi. Tocca a lei provarci, lei sa che siamo vicini. Personalmente credo che esistiamo perché esistiamo nel cuore dell’altro.

P: sono conscia di molte cose… il problema è che io conosco molto bene le ferite della mia vita…
Quando andavo a scuola da piccola ho avuto un grosso problema di disgrafia e di dislessia. Trent’anni fa non era una cosa così diagnosticabile, così curabile, comunque non ci si preoccupava di aiutare una persona con un problema così… Se qualcuno si fosse preoccupato di aiutarmi, io non sapevo ne leggere ne scrivere…forse la mia vita sarebbe stata più facile… soffrivo un casino, mi sarebbe piaciuto essere uguale agli altri… (segue un lungo pianto).
Quando mi sono iscritta al liceo artistico è stata tutto un’altra cosa… il fatto di continuare a cercare i miei ragazzi, di aree diverse e di diversi approcci è forse la rivalsa di qualcuno che da piccola ha fatto una fatica incredibile… (altro momento di forte commozione).

C: sai, mi sto commuovendo anch’io.

P: non era nelle mie intenzioni.

C: non credere che mi dispiaccia. Do alle emozioni uno statuto alto, sono un fondamento della nostra ragione. E poi, nel nostro prenderci cura del nostro funzionamento, ci prendiamo cura anche di quelle.
Oggi credo che qui dentro hai dato qualcosa di tuo che difficilmente potrà essere dimenticato.

P: mi dispiace di avervi fatto star male…

M2: fatti i cazzi tuoi! Mi hai fatto star male e soprattutto mi fai star bene! Prima di tutto non lo sai di come mi fai stare bene nel vederti veramente, nel sentire la paura per Maurizio che sta male, come lo sei stata tu da piccolina quando nessuno ti capiva cosa provavi. ( segue uno scambio un poco concitato nel gruppo che riprende l’importanza di capire cosa prova Maurizio).

P: ma Maurizio non ha trovato nemmeno lui una grande operatrice per dargli una mano.

C: non credo di concordare con questa impostazione. Un operatore che si sente in difficoltà nel rispondere a una richiesta di aiuto e ha la forza di dirsi “no, così non va” è un grande operatore per me, perché non ci sta a sentirsi inadeguato rispetto al suo mestiere. Se non ti riconosci in questa capacità di prenderti sul serio, può servire a poco perfino quando le cose funzionano. Bisognerebbe potersi sentire sempre potenzialmente in grado di dare una buona risposta nel rapporto con l’altro, anche se fosse una risposta che non piace all’altro.

M4: anche se non è una risposta verbale?

C: anche. Un giorno quella risposta potrebbe anche diventare verbale, come lo è stato per Maria. Quello che conta è che chi si prende cura dell’altro si ponga nel rapporto da una posizione di adeguatezza.
Ma adesso vorrei chiede a Maria come si sente.

P: è la prima volta che parlo di questa cosa con qualcuno…mi fa sentire bene…forse la prossima volta sarò più capace di esprimermi

(ci sono vari commenti nel gruppo che testimoniano una diffusa soddisfazione dell’andamento del lavoro, qualcuno chiede a Maria cosa farà la prossima volta che incontra Maurizio)

P: credo che prenderò un vaso in cui mettere l’acqua per i fiori che mi porta Maurizio.

C: sarebbe importante che ognuno esprimesse il proprio stato d’animo sul lavoro che abbiamo fatto.

M: sono frastornata, sono felice, sono proprio felice di oggi.

M1: Io non so come mi sento. Ho sentito Maria soffrire ma poi anche serena…non so, sono solo rispettoso di questa cosa. Mi rendo conto di quanto sia difficile cercare di far emergere alcune cose profonde che ci riguardano. Mi ha fatto anche pensare di quanto io sia poco rispettoso di chi mi sta di fronte, per me oggi è stata una lezione di rispetto dell’altro, anche…

M2: io sento di aver avuto un grande privilegio, il privilegio che Maria ha voluto condividere con me e con gli altri, ma adesso penso a me, questo suo grande dolore. Va bene, va bene.

M3: io l’ho sentito molto faticoso. Pero ho capito che si può anche fare. Per questo mi sento bene.

M4: adesso sono serena, anche se prima sono stata male. Vado a casa serena, grata a Maria per il regalo che ci ha fatto di lei, perché è difficile.

M5: io mi sento stanca come poche volte mi sono sentita anche col mio analista. Mi sono messa storta per non far vedere le lacrime. D’altra parte se non fossi passata per quei momenti forse avrei commesso un omicidio di qualche familiare, o comunque avrei vissuto peggio.

M6: io mi sento vicina alle posizioni di M1. Ho le stesse sensazioni.

M7: che casino. Che bel casino…mi ci proverò anch’io, è troppo importante!

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