Appunti Maria Grazia

Prima seduta.
Accompagnata dal marito si presenta, Maria Grazia e appena seduta comincia a parlare a raffica. Il marito tenta di dire qualcosa ma è immediatamente zittito. A mia volta riesco a inserirmi nel diluvio di parole solo a fine seduta con dei cenni della mano.
“In che cosa posso aiutarvi?”. Silenzio imbarazzato della signora, il marito scuote la testa.
“Va bè, non lo so neanch’io”, risponde Maria Grazia.
Nessun commento del marito.
(il marito si ritira dalle sedute dopo questa prima)

Altra seduta.

“Devo fare tutto da sola. Tutte le mie esigenze sono frustrate, mia figlia non mi calcola nemmeno più” e va avanti così, lamentandosi per quasi tutta la seduta.
Ogni tanto le pongo qualche domanda di chiarimento. Si ferma di botto, mi ascolta attentamente e poi ricomincia dal punto in cui si era fermata.
“Ma è sicura che sta parlando con me?”, le rimando.

Altra seduta.

“Lei si che mi sa ascoltare. No, non dica nulla! Ho paura che mi chieda qualcosa di me…”.
La guardo. “ E’ curioso che abbia paura che io faccia il mio mestiere”.
Abbozza un sorriso, che ricambio.
Rimane silenziosa fino alla fine.

Altra seduta.

“In queste settimane capisco quanto io produca da sola tutta la mia infelicità. Le scelte non le ho sentite mai veramente mie, mi serviva sposarmi per avere un’identità che ha casa dei miei genitori non ho mai trovato. Ho investito per vent’anni in mia figlia, doveva essere lei a realizzare quello che non sono riuscita a fare con me stessa, e ora mi ritrovo a cinquant’anni senza avere nulla che mi piace, non sentirmi niente di buono. Sono un mostro!
Appoggia la faccia tra le braccia e si appoggia sulla scrivania, piangendo a singhiozzi.
Mi viene la tentazione di darle una carezza sulla testa, c’è l’ho a dieci centimetri dalla mia mano, e desisto con fatica a farlo.
Dopo che si è ricomposta le dico di questa sensazione che ho provato.
“Grazie. Non ho mai avuto nessuno che mi prendeva in braccio da piccola, erano troppo occupati a fare altro che prendermi in considerazione”.

Altra seduta.

“Mi ha fatto bene quello che mi ha detto la volta scorsa. Ho immaginato di essere una bambina piccola nelle braccia di mio padre! Come sarebbe stato bello se mi avesse preso in braccio e carezzato la testa almeno una volta! Sa, riflettendoci mi rendo conto che neanche io ho preso mia figlia in braccio quando era piccola. Non mi pareva giusto, io non l’ho fatto…che schifo di madre sono stata…povera figlia…”
“Povere figlie”, le rimando.
Il suo volto si riempie di lacrime, che lascia scorrere senza asciugarle. Silenzio fino alla fine della seduta.

Altra seduta.

“Devo farle una confessione. Ho accettato che un mio collega mi faccia la corte. Ci sono momenti in cui immagino di essere tra le sue braccia…”
“C’è un motivo per cui mi fa questa confessione?”
“Credo che mi piacerebbe che lei mi dicesse di lasciar perdere…non mi sento molto orgogliosa di tradirlo…”
“Chi sente di tradire?”
Alcuni minuti di silenzio. “Che casino! Invece di mio marito ero convinta di tradire Lei…”.
“Chi sono per lei in questo momento?”
Non mi risponde, e rimane silenziosa fino alla fine. Quando è sull’uscio dice “E’ tanto, ma riuscirò a capire perché”.

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