Sul camminare

CAMMINARE: UN INVITO AL SILENZIO

La marcia è un percorso attraverso il silenzio, allietato dalle sonorità dell’ambiente; è difficile immaginare a quali temibili distrazioni andrebbe incontro chi si mettesse a passeggiare lungo lo svincolo di un’autostrada. Chi va a piedi prende per i campi proprio per sfuggire al rumore delle auto o al martellamento delle autoradio. È teso a percepire i suoni dell’universo … Il silenzio è una modalità del sentire, un sentimento che afferra l’individuo. … Il silenzio suona come la firma di un luogo, sostanza quasi tangibile la cui presenza riempie lo spazio e s’impone costantemente all’attenzione … Non è la scomparsa dei suoni che fa il silenzio, ma la qualità dell’ascolto, il leggero pulsare della vita che anima lo spazio … Il mondo risuona senza sosta degli strumenti della tecnica, il cui uso accompagna la vita personale e collettiva. La modernità è l’avvento del rumore: dovunque c’è un telefonino che suona. L’unico silenzio che le nostre società conoscono è quello, provvisorio, dell’avaria, della crisi della macchina, dell’arresto della trasmissione. È una pausa della tecnicità piuttosto che l’emergere di un’interiorità … Alleato alla bellezza di un paesaggio, il silenzio è una strada che conduce a se stessi. Un momento di sospensione del tempo in cui si apre un passaggio che concede all’uomo la possibilità di ritrovare il suo posto, di raggiungere la pace … Il silenzio produce un’acuta sensazione di esistere. Segna un momento di denudamento che permette di fare il punto, di raccogliere le idee, di ritrovare un’unità interiore, di risolversi a una decisione difficile. Il silenzio sfronda la persona e la rende di nuovo disponibile, debella il caos nel quale si dibatte (David Le Breton, Il mondo a piedi. Elogio della marcia, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 36-39).

IL CAMMINO ESIGE TEMPO

In una manciata di ore si è scaraventati da un punto all’altro del globo. Il viaggio è stato abolito. Esistono solo il punto di partenza e il punto di arrivo. Il tempo come sequenza segmentata di unità discrete, separate l’una dall’altra e perfettamente conteggiabili, che definisce il tempo della società industriale, ha travalicato i cancelli della fabbrica, ha investito la società nel suo complesso, ha quasi completamente espunto e fatto dimenticare il tempo come qualità vissuta, esperienza individuale, il tempo come durata. La durata è stata ridotta, contratta, annullata. Da un luogo all’altro, da una città all’altra, da un continente all’altro. Tutto questo è presentato come una conquista, un privilegio concesso dalla tecnologia più raffinata. Ma intanto la traversata, il tragitto, i giorni e le notti dello spazio intermedio, la fatica e l’attesa, il momento sorprendente dell’arrivo dopo i sacrifici sono stati aboliti, ridotti al dormiveglia di una notte in aereo. Si viene trasportati, ma il viaggio come impresa umana non c’è più (Franco Ferrarotti, Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli, Roma 1999, pp. 88-89). Il viandante afferra il suo tempo, non si lascia afferrare dal tempo. Scegliendo questo modo di spostarsi a discapito di altri, afferma la sua sovranità sul calendario … Il viandante è ricco di tempo, ha l’agio di spendere ore per visitare un villaggio, per fare il giro di un lago, per fermarsi a osservare gli animali … La “cultura del passo”, dice Regis Debray, “placa i tormenti dell’effimero. Nel momento in cui ci si getta lo zaino sulle spalle e la scarpa appoggia sui ciottoli della strada, la mente si disinteressa delle ultime notizie. Quando percorro a piedi trenta chilometri al giorno, calcolo in anni il mio tempo; quando in aereo ne faccio tremila, calcolo in ore la mia vita” (David Le Breton, Il mondo a piedi. Elogio della marcia, Feltrinelli, Milano 2001, p. 19-20)

IN CAMMINO VERSO SE STESSI

Il Signore disse ad Abram:
Va verso te stesso, via dal tuo paese, dalla tua patria
e dalla casa di tuo padre,
verso il paese che io ti indicherò (Gen 12,1)

Il viaggio più lungo è il viaggio interiore (Dag Hammarskjöld, Tracce di cammino, Qiqajon, Bose 1992, p. 87)

Si decide il viaggio per cambiare se stessi, alla ricerca di una nuova identità, quanto meno, per conoscersi meglio, più a fondo, in un contesto più leggero, meno inibente. Si viaggia, in una parola, alla ricerca di se stessi, ma poi, giunti alla meta, si trova che la propria anima è cambiata (Franco Ferrarotti, Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli, Roma 1999, p. 48)

“- O sapiente, dove si trova la fonte della vita?
– Nelle tenebre. Se vuoi partire alla ricerca di questa fonte, mettiti i sandali e avanza nel cammino dell’abbandono confidente, finché arriverai alla regione delle tenebre.
– Da che parte si trova il sentiero per questa regione?
– Da qualunque parte tu vada, se sei un vero pellegrino, tu compirai il viaggio.
– Che cosa segnala la regione delle tenebre?
– L’oscurità di cui si prende coscienza. Quando colui che intraprende questo cammino vede se stesso come uno che è nelle tenebre, allora comprende che egli era anche prima e fino allora nella notte, e che la luce del Giorno non ha ancora raggiunto il suo sguardo. Eccolo il primo passo dei veri pellegrini, Il cercatore della fonte della vita nelle tenebre passa attraverso ogni sorta di stupori e angosce. Ma se è degno di trovare questa fonte, finalmente, dopo le tenebre contemplerà la luce. Allora non dovrà fuggire davanti alla luce, perché questa luce è uno splendore che, dall’alto dei cieli scende sulla fonte della luce” (Suhrawardî).

SCEGLIERE IL CAMMINO

Salmo 1

1 Beato l’uomo
che non cammina nel consiglio degli empi
non si ferma sulla via dei peccatori
e non si siede nel consesso dei cinici,
2 ma pone il suo desiderio nella Legge del Signore
e medita la sua Legge giorno e notte.
3 Egli è come un albero trapiantato presso corsi di acqua,
che dà frutto a suo tempo
e il suo fogliame non avvizzisce.
Tutto ciò che fa ha successo.
4 Non così gli empi,
anzi, essi sono come pula che il vento disperde.
5 Perciò non si leveranno in piedi gli empi nel giudizio
né i peccatori nell’assemblea dei giusti.
6 Sì, il Signore conosce la via dei giusti,
ma la via degli empi va in rovina.

BIBLIOGRAFIA

FONTI
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Eraclito, Tutti i frammenti, Le Monnier, Firenze 1967
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Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 2 voll., Rizzoli, Milano 19929
Manuale di Epitteto, Introduzione e commento di Pierre Hadot, Einaudi, Torino 2006
Seneca, Tutte le opere. Dialoghi, trattati, lettere e opere in poesia, Bompiani, Milano 2000
Stoici antichi, Tutti i frammenti, Rusconi, Milano 1998
STUDI
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P. Courcelle, Conosci te stesso. Da Socrate a san Bernardo, Vita e Pensiero, Milano 2001
M. Foucault, La cura di sé. Storia della sessualità 3, Feltrinelli, Milano 1985
M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France (1981-1982), Feltrinelli, Milano 2003
F. Furedi, Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana, Feltrinelli, Milano 2005
P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino 1988
P. Hadot, Che cos’è la filosofia antica?, Einaudi, Torino 1998
P. Hadot, La cittadella interiore. Introduzione ai “Pensieri” di Marco Aurelio, Vita e Pensiero, Milano 1996
P. Hadot, La filosofia come modo di vivere, Conversazioni con Jeannie Carlier e Arnold I. Davidson, Nino Aragno Editore, Torino 2005
R. Màdera – L. Vero Tarca, La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche, Bruno Mondatori, Milano 2003
R. Màdera, Il nudo piacere di vivere. La filosofia come terapia dell’esistenza, Mondatori, Milano 2006
G. Reale, La filosofia di Seneca come terapia dei mali dell’anima, Bompiani, Milano 2004
P. A. Rovatti, La filosofia può curare? La consulenza filosofica in questione, Raffaello Cortina, Milano 2006

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