Mario e la sua famiglia

Leggenda dei nomi:

Mario e Giacomo (figli)

Giovanna e Michele (genitori)

Quello che segue è la cronaca di una storia clinica.

L’aver iniziato questo mestiere lavorando come psicologo nelle scuole mi ha, in qualche misura, aiutato ad impostare il lavoro con un setting aperto continuamente alla domanda.

Nei primi anni novanta era un’esperienza pionieristica portare un modello psicoanalitico di lavoro in un contesto complesso come la scuola.

Si rivolgevano a questo nuovo servizio, localizzato in aule rimediate a studio consultoriale per l’occasione, non solo gli studenti, ma anche genitori, insegnanti, personale non docente.

Quando una persona in difficoltà si era rivolta a questo servizio, non era infrequente che altre persone che conoscevano la prima si facessero vive per trovare aiuto nelle loro sofferte relazioni. E questo avveniva non solo nella pretesa di un buon rendimento scolastico degli allievi,ma anche nell’affrontare vicissitudini affettive ben più importanti, quasi sempre fuori dalla scuola.

Andrea, dinamico professore di una scuola serale, si avvicina con cautela alla possibilità di chiedere un incontro per se. Inizia fermandomi qualche minuto nell’atrio per chiedermi come sta funzionando questo servizio, nel corso dei mesi successivi comincia ad accennarmi ad alcuni suoi problemi relazionali con alcuni colleghi, problemi che però non vuole trattare in incontri strutturati. Ci vorrà oltre un anno di approcci di questo tipo prima che fissi un appuntamento.                       Nel corso dei mesi successivi ne fisserà altri e negli anni entreranno in terapia, nel mio studio privato, oltre a lui, anche la moglie e la figlia, sia in incontri familiari che singoli.

Serena è nella scuola serale da tre anni quando viene invitata a venire a parlarmi da una docente con cui ha un buon rapporto.
Ha trentadue anni, fa l’operaia di giorno e studia la sera perché vorrebbe emanciparsi da una vita che vive male, e non solo dal punto di vista materiale.
Per mesi arriva all’appuntamento senza dire nulla, si siede e aspetta che io le ponga qualche domanda, altrimenti la seduta trascorre nel silenzio.
Così va tutto l’anno scolastico e, all’inizio del successivo, chiede di continuare l’esperienza del precedente anno scolastico.
Alla mia domanda cosa le servito venire nella stanza per fare scena muta, mi racconta che per lei è stata un’esperienza così nuova l’essere accolta che ha fatto delle cose che non si sarebbe mai sognata di poter mettere in atto.
Finita la mia esperienza in quel contesto scolastico Serena non solo mi ha chiesto di continuarla nel mio studio privato, ma ha coinvolto e si sono presentate negli incontri le sue figure affettive più importanti, con cui ho lavorato a lungo non solo con incontri familiari, ma anche singoli.
Uno di quei familiari è rimasto in terapia per oltre otto anni.

Nel contesto scolastico non è stato facile costruire un setting di lavoro che rispettasse alcuni principi di riservatezza e di funzionalità negli incontri.
Credo anche di aver fatto una quantità notevole di sperimentazioni prima di rendermi conto che la stanza di lavoro andava chiusa ogni volta che entrava la persona che aveva l’appuntamento e riaperta e lasciata aperta alla fine dell’incontro.
In altri casi la possibilità di altre persone nella stanza è stato posto da me stesso, quando ravvisavo nella richiesta d’aiuto un possibile coinvolgimento della persona chiamata in causa, fosse essa un familiare o un partner.
L’abituarmi alla porta chiusa, esperienza che ho appreso pienamente solo con l’esercitare continuamente questo mestiere, la applico oggi quando sono definiti e stabili i contorni del setting del lavoro.
Credo anche che in questa mia posizione incida anche la mia personale antropologia dei primi quarant’anni di vita: in tutti i mestieri precedenti al fare lo psicoterapeuta non solo non c’era la porta chiusa, ma spesso è mancata anche la porta.
L’avere imparato la possibilità di tenerla aperta o chiusa, a seconda della domanda, risponde meglio oggi al mio desiderio di rimanere il più possibile vicino alla domanda d’aiuto che viene fatta.

Non che io abbia una risposta precostituita, beninteso, ma so che posso fare qualcosa solo in presenza di questa domanda, sia pure espressa confusamente e spesso solo presunta.
Anche la formulazione chiara di una domanda, per i pazienti, è tutt’altra che scontata.
Capitano pazienti che se la pongono da anni senza riuscire a dargli un senso preciso, altri che se la cambiano periodicamente, e poi ci sono quelli che ricercano un senso esistenzialmente più sano di quello che la vita gli ha finora riservato.
Questi ultimi, secondo la mia esperienza, sono poi la maggioranza, dal momento che al fondo della domanda d’aiuto c’è, appunto, il desiderio di esistere pienamente come persona, affrontando tutti i mali del vivere affettivo che caratterizza la sofferenza umana.

Applico, sia nelle sedute singole che di coppia e di famiglia, le stesse condizioni di setting.
Quindi, tempi della seduta e pagamenti rimangono uguali sia che nella stanza ci sia una persona che ce ne siano quattro o cinque.
Per adesso questa scelta la ritengo preferibile ad altre ipotesi, poiché non mi mette in difficoltà su che tempi e tariffe devo applicare, a seconda del numero degli interlocutori,  e lascia interamente al paziente la scelta se venire o meno.

Pochi giorni fa una paziente che sta con me singolarmente da una decina d’anni, e da un paio d’anni ha intrapreso anche una terapia di coppia, sempre con me, mi ha detto:” Durante queste vacanze mi si è come fulminata una consapevolezza incredibile!
Quando la vedevo parlare col mio compagno spesso mi chiedevo cosa dovevo dire per dovermi difendere da voi due.
Poi ho capito che il mio è un pensiero folle, poiché non ho nessuno che mi vuole bene come mi volete bene voi due.
E così mi è diventato chiaro che vedo in voi anche dei violentatori, come lo è stato mio fratello nei miei confronti. ”

Non ho idea di quanti ce ne vorranno ancora perché questa percezione affettiva sia lasciata andare e si sciolga definivamente, ma intanto una cosa così importante e limitante della vita della paziente è avvenuta mentre poteva vedermi insieme a un terzo, pur potendomelo poi comunicare, almeno per adesso, quando è in seduta singola.

In questo scritto il mio intento è di evidenziare sinteticamente non solo ciò che è avvenuto nelle sedute, ma anche degli scambi verbali, sia di quello che hanno detto i pazienti sia quello che ho detto io.

Alla fine, un’ulteriore e sinteticissima riflessione, quest’ultima in corsivo, che ho fatto al termine della seduta stessa.

Mario, 30 anni, telefona ai primi di settembre per prendere un appuntamento.
Ha avuto il mio n° di telefono da un ex paziente.
Con voce concitata esprime anche l’urgenza di avere l’appuntamento.
Lo ricevo pochi giorni dopo. Mi parla con grande agitazione e ansia di una situazione che lo sta angosciando.
Nella sua famiglia d’origine il fratello maggiore, Giacomo, manifesta da mesi idee deliranti e sta sempre peggio. Pochi giorni fa ha anche minacciato propositi suicidi.

Mario non sa più che cosa fare, è molto spaventato perché tutti i tentativi fatti fin’ora per Giacomo (dalla psicoterapia in un servizio pubblico che il fratello ha fatto in modo alterno, ad un prendersi in carico quasi totalmente dei problemi di dialogo del fratello) non hanno portato nessun miglioramento delle condizioni di salute mentale di Giacomo, anzi, questi si aggravano sempre più.
Propongo a Mario, poiché il suo tormento principale è il fratello, di valutare la possibilità di un incontro anche con la presenza di Giacomo.
Mario rimane perplesso su questa possibilità, è convinto che il fratello non accetterà.
Lo invito a provarci, rimanendo in ogni caso disponibile anche ad incontrarmi solo con lui.

Ho iniziato la seduta senza avere nessuna idea di cosa mi avrebbe detto il paziente. Man mano che parlava, tenendo conto che il suo problema presentato riguardava soprattutto la sua difficoltà col fratello, gli ho proposto di coinvolgerlo nei nostri incontri.
La solitudine e l’estrema frustrazione di Mario che ho avvertito in quella relazione fraterna mi hanno convinto che la mia presenza nel loro rapportarsi lo avrebbe certamente aiutato.

Mi pare di essermi mosso con tranquillità. Due giorni dopo Mario mi richiama, chiedendomi un altro appuntamento anche con la presenza di Giacomo, che nel frattempo appare essersi aggravato nei suoi aspetti comportamentali.
Il giorno convenuto arrivano con mezzora d’anticipo, e attendono con molto nervosismo l’ora stabilita, entrando e uscendo più volte dalla sala d’attesa.
Giacomo si presenta molto sofferente, parla a monosillabi e con voce debolissima, al punto che più volte gli chiedo di ripetere le parole che dice.
Mario appare meno ansioso rispetto al primo incontro, parla soprattutto della fatica che sta provando in questi mesi a stare vicino a Giacomo.
Al termine della seduta mi chiedono di fissare un altro appuntamento, cosa che faccio per la settimana successiva.
Accolgo la domanda d’incontro in base alla mia agenda di lavoro.
Mi pare importante che Mario possa parlare dei suoi conflitti emotivi col fratello, che quest’ultimo lo possa ascoltare senza sentirsi per questo giudicato. I miei interventi con Giacomo sono minimi, tesi solo a fargli percepire la mia presenza.
E’ una scelta che credo utile fare e che mi lascia nella posizione di ascolto massimo.
Arrivano con pochissimo anticipo alla seduta successiva.
Mario manifesta ancora la stanchezza per il compito che si è assunto col fratello, mentre Giacomo dice di sentirsi più tranquillo,che motiva con l’essersi sentito “capito”.

Ai miei tentativi di fargli dire qualcosa di più su chi lo ha capito e che cosa hanno capito di lui e delle sue relazioni non ottengo risposta.
Parla solo dei conflitti che sente con la madre, anche se non sembrano esserci manifestazioni esplicite di tali conflitti.
I genitori dei due pazienti si sono separati 25 anni fa, e i due figli sono rimasti separati anche loro, perché Mario ha seguito la madre, mentre Giacomo è rimasto col padre.
Per quasi vent’anni i due fratelli si sono visti raramente, e solo negli ultimi anni, con l’uscita dalla casa paterna di Giacomo e l’avvicinamento abitativo vicino alla casa materna c’è stato una ripresa dei rapporti fraterni.
La madre si è risposata vent’anni fa, anche se pure questo secondo matrimonio pare essere in crisi.
Le difficoltà che incontrano i due pazienti sono riportate continuamente al rapporto con la loro madre.
Propongo ai due di valutare l’opportunità di invitare ad un incontro anche la madre.
Ambedue rimangono molto sconcertati sulla possibilità di potersi parlare, vista la difficoltà del loro rapporto.
Suggerisco il principio dell’importanza di dar voce, se ci sono le condizioni, a tutti i protagonisti che sono nominati, e che la mia è solo una proposta che non toglie nulla al valore che hanno i nostri attuali incontri.

Mi chiedono di fissare un altro appuntamento per la settimana successiva, cosa che faccio.
l miei intervento sono tesi a favorire un potenziale dialogo nuovo fra tutti quelli che sono nominati e che sono disponibili ad incontrarsi.
Può apparire utopistico pensare che tutti si possano voler  bene, cosa cui non credo, ma certamente emerge che i due figli vorrebbero un incontro più positivo non solo tra loro, ma con la loro madre.
Per il ruolo che occupo nella domanda d’aiuto, so che la mia proposta, anche se apparentemente li sconcerta, li motiva ad un incontro con il genitore qualitativamente diverso da quello che hanno finora avuto.

Il giorno successivo telefona Giovanna, la madre dei due, chiedendomi un appuntamento.
Ha saputo degli incontri dei figli con me, Mario le ha detto della mia proposta di coinvolgere anche lei e la proposta le piace moltissimo.
Vorrebbe però prima anche un incontro da sola, perché è molto incerta su come approciare i figli, e si sente anch’essa in grandi difficoltà per altri problemi.
Le fisso un appuntamento, nel quale mi parla delle sue difficoltà attuali, legate soprattutto al rapporto con l’attuale marito con il quale si sta separando e al difficilissimo rapporto con Giacomo verso il quale si sente molto inadeguata e pensa di essere la causa massima degli attuali problemi relazionali che il figlio presenta.
Le offro la possibilità di un incontro con i due figli, qualora questi accettassero la mia proposta che ho già fatto a loro e lei dichiara la sua totale disponibilità.

L’attivarsi immediato di Giovanna ad un appuntamento mi pare una conferma che c’è uno spazio d’incontro con i figli che sia diverso dal passato e, nello stesso momento, anche una richiesta d’aiuto per potersi muovere meglio nelle sue relazioni affettive. Da sola non sente di potercela fare. Mi sento tranquillo e anche un poco sorpreso della risposta immediata e positiva ad esserci da subito da parte delle persone chiamate.

Nel successivo incontro con i due pazienti racconto della richiesta materna dell’incontro e del suo esito che si è avuto nel frattempo.
Mario si dichiara possibilista, anche se pure lui vorrebbe degli incontri da solo per parlare dei suoi problemi che non sono legati solo alla famiglia d’origine, mentre Giacomo dice di non capire come possa essere possibile parlarsi in seduta, poiché non ci riesce nemmeno a casa.
Lui si sente rifiutato anche a cena, al punto che non sa più se mangiare o no a casa della madre, cosa che fa perché non è capace di mangiare da solo a casa sua.
La madre gli ha detto di avermi incontrato e d’essere contenta di poter parlare con lui e il fratello in seduta congiunta. Ma lui non ci crede molto.
Rimando loro che sarà mia cura favorire questo parlare e consentire agli altri di ascoltare l’altro che in quel momento sta parlando.
Lascio aperta la possibilità anche per incontri coi singoli, così come chiede Mario.
Sono partecipe col parlare dei due pazienti. Valorizzo anche sull’importanza degli incontri individuali.
Non mi è venuto in mente niente di meglio da proporre.

All’incontro successivo sono presenti tutti e tre.
Iniziano a parlare contemporaneamente e pongo la necessità che parlino uno per volta, non rivolgendosi domande reciprocamente, ma ponendo direttamente a me le loro considerazioni.

Gli altri ascolteranno e porranno successivamente le loro riflessioni e i loro stati d’animo.
Per prima parla la madre, manifestando tutto il dolore di non essere finora riuscita ad avere un buon rapporto con i figli, in particolare con Giacomo, e si colpevolizza di averlo lasciato col padre, perché questa è stata allora la scelta del ragazzo.
Non essendosi più occupata di lui, capisce di aver rovinato il loro rapporto.
Si addossa molte colpe e responsabilità di questo mancato dialogo e anche dell’attuale situazione di Giacomo.
Lei pensa che sarebbe importante anche la presenza del primo marito, vale a dire il padre dei figli, col quale ha un rapporto abbastanza difficile.
I figli appaiono molto turbati dalle parole della madre.
Giacomo afferma che lui non capisce i messaggi che la madre gli manda, quando è con lei a casa si sente sempre confuso.
Mario è contento di quello che la madre finalmente dice, anche se ripete la sua stanchezza per tutta la storia. Adesso ha anche cambiato lavoro e non potrà più esserci in quest’orario.
In un altro orario vorrebbe anche esserci al nuovo incontro.Gli altri due sono d’accordo nel vederci ancora insieme.

Apro l’agenda e trovo un orario che è condiviso.
Pongo un metodo di scambio tra loro non sempre facile da rispettare, né da far rispettare, ma che considero estremamente efficace per far esprimere sul serio le persone.
Si affaccia un’ipotesi di presenza del padre in seduta. Mi pare una cosa da riprendere con loro.
Il fatto che Mario chieda di continuare ad esserci agli incontri lo trovo molto prezioso per tutti. Mi sento tranquillo in quello che sta avvenendo.

Al successivo incontro sono presenti ancora tutti e tre.
Giacomo dice di sentirsi meglio rispetto all’ultima seduta, gli pare d’essere più lucido su quello che vorrebbe fare, Giovanna dichiara di sentirsi molto contenta perché questa settimana ha avuto molte possibilità di parlare con Giacomo, ed anche se di solito è in disaccordo con lui per le scelte che compie, non si ricordava di avergli prima potuto parlare per tanti giorni di fila.
Lamenta soprattutto che il figlio si cura male con i farmaci e si presenta molto trasandato, al punto che non può sostenere, in queste condizioni, nemmeno un colloquio di lavoro, di cui pure avrebbe bisogno.

Mario, molto emozionato, afferma che ha paura di parlare col fratello, perché questi si chiude a riccio e si offende per un nonnulla, così che sta diventando impossibile trovare qualcosa da scambiarsi senza che Giacomo si offenda.
Alla fine dice d’essere molto emozionato perché è la prima volta che riesce a dire al fratello quello che prova.
Io rilevo l’importanza che nell’incontro siano resi dicibili proprio i vari stati d’animo, così che anche gli altri si rendano conto di ciò che ognuno prova.
Giacomo interviene ancora per tranquillizzare la madre rispetto all’averlo lasciato col padre, quando i genitori si separarono.
Fu lui stesso a fare questa scelta, perché non la sopportava più di tanto.
Giovanna si emoziona, assicura che ha sempre paura delle reazioni di Giacomo, cui riconosce una personalità forte che la inibisce, e che soffre perché rivive in lui i mali che riconosce in se stessa, e che sta disperatamente cercando di curare.
Confermano una seduta successiva.

Continuano ad emergere vissuti emotivi molto importanti. Mi sono sentito piuttosto tranquillo nella seduta e anche contento della fiducia di potersi parlare dei pazienti.
Finora ho deciso di concordare i nostri incontri in base alla loro domanda e alla disponibilità della mia agenda.
E’ una variabilità temporale che mi trova ancora impreparato, ma poiché lascia libero anche me di proporre anche altre potenziali esigenze mie per adesso va bene così.

Lunedì mattina. Mi telefona Giovanna, dicendomi che Giacomo è stato molto male nel fine settimana, mentre era a cena nella casa paterna.
Ha però rifiutato di essere portato in ospedale ed ha accettato di rimanere per un po’ di tempo a casa di lei per essere curato.
Il medico di famiglia le ha suggerito una visita presso uno psichiatra, perché è probabile che i farmaci che lui può prescrivere per Giacomo sono inadeguati alla terapia che il giovane dovrebbe seguire.
Alla fine della telefonata mi chiede se domani può parlare di queste cose in seduta.
“Certo che può parlarne!”, le rimando.

Nella seduta successiva arrivano puntuali.
“Ho ricevuto ieri una telefonata da parte di Giovanna, molto allarmata per lo stato di salute di Giacomo, e un poco preoccupata di esporre qui i problemi che deve affrontare.Le ho suggerito di parlarne qui senza paura.”, dico quando inizia la seduta.
“Non sapevo niente”, dice Giacomo, con tono un poco stizzito.
“Per me non c’è niente che non possa essere comunicato, quando si viene coinvolti.
Non ci devono essere fantasmi che qualcosa è detto alle spalle di qualcuno”, aggiungo.

Giacomo racconta dettagliatamente l’episodio del malessere che lo ha coinvolto nella casa paterna ed alla fine dice di non sentirsi capito e accettato dai suoi genitori.
Mario sostiene che in questa crisi del fratello si sente tranquillo perché la cosa gli sembra una “normale” ricaduta, e poi la madre si sta prendendo cura attiva del figlio.
Giovanna esprime la sua versione dei fatti avvenuti, non del tutto coincidenti con la versione di Giacomo, affermando di sentirsi utile nella cura farmacologica del figlio perché lo costringe a prendere le medicine in modo ordinato, non come si curava lui quando viveva da solo.
Rimprovera il figlio d’essere molto disordinato nel prendere i farmaci, di non seguire minimamente le prescrizioni del medico.
Dice anche di essere rimasta molto ferita dalla frase che Giacomo le ha detto, quando è tornato a casa di lei accompagnato dal padre: “Voi non mi capite”.
Si emoziona e piange silenziosamente, mentre racconta quest’episodio.
Giacomo spiega che col padre si è rivisto la domenica; non ricorda cosa si sono detti, ma ha la sensazione che si sia tutto chiarito.

Alla mia domanda su che cosa ha chiarito col padre non emerge nulla, dice di sentirsi confuso su quel momento.
Faccio rilevare che sta emergendo, particolarmente in questa seduta, ma era stato nominato anche in altre, la figura paterna. Non pensano che sarebbe utile anche la sua presenza?

Mario e Giacomo esprimono il loro sconcerto a questa ipotesi.
Mario sostiene che questo farebbe bene solo al padre, mica a loro!
Giovanna non si esprime subito a parole.
Rimane attenta a quello che dicono i figli, è emozionata, poi si accusa di spiegarsi male con Giacomo, di non riuscire a dirgli le cose con chiarezza, com’è successo quest’estate, quando, dovendo andare via per i due mesi estivi, ha parlato con Mario dell’importanza che Giacomo imparasse a cucinare qualcosa a casa sua, visto che lei non ci sarebbe stata.
Non essendo stata capace di dirlo direttamente a Giacomo, per paura di offenderlo, ed avendo invitato Mario a farlo al posto suo, capisce che così facendo compromette la sua possibilità di avere un rapporto chiaro e diretto con Giacomo.
Confermano il prossimo appuntamento.
Tutte le paure presentate al telefono sembrano svanire nella seduta, come se in questo posto ognuno si sentisse protetto. Potenza del setting!
La potenziale comparsa del padre avviene, e non poteva che essere così, in modo molto conflittuale.
Amato e odiato contemporaneamente, la sua eventuale comparsa nelle sedute è vista in modo molto ambivalente.
Mario pensa anche che il benessere paterno sia d’ostacolo al loro.
Questo è il suo vissuto di figlio, che nessuno gli può togliere, ma sono anche convinto che in terapia questo nuovo incontrarsi non debba necessariamente seguire la vecchia storia relazionale.
In terapia s’iscrivono anche nuove modalità d’incontro. Ci s’incontra in modo nuovo, con una verità affettiva diversa da prima ed un terapeuta che consente l’emergere di un “terzo”, presentificato dal terapeuta, su cui contare per non sentirsi soli.

Nella successiva, arriva in seduta anche Michele, ex marito di Giovanna e padre dei due giovani pazienti.
Si siede sull’orlo della sedia e dice che Mario gli ha parlato della mia proposta di coinvolgere anche lui in questi incontri, poiché è nominato in qualche passaggio dei racconti dei figli.
Non sa bene che cosa si è detto di lui, ma ha accettato volentieri di venire perché capisce che Giacomo sta molto male in questo periodo e vorrebbe aiutarlo.
Anche negli ultimi tre giorni è stato spesso con lui.

Spiego a Michele il senso della mia proposta, l’importanza che i membri della famiglia che sono chiamati in causa come protagonisti delle vicissitudini affettive possano dire direttamente il loro punto di vista ed ascoltare quello degli altri.

Pare rasserenarsi e appoggia la schiena nella sedia.

Giacomo ha un viso più disteso rispetto agli ultimi incontri, accenna anche a qualche sorriso. Segnalo questa novità e gli chiedo cosa lo fa sorridere oggi.

“Sto meglio, molto meglio”

“Chi, o che cosa, lo fa stare meglio?”

“Li sento vicini…, non so…, forse questo mi fa stare meglio…”

Anche Giovanna conferma di riuscire a stare più con Giacomo, di parlarci ogni giorno.
Sale nella camera dove lui si è trasferito e trascorre molto tempo a parlarci.
Capisce raramente quello che lui le dice, per lei sono ragionamenti troppo complicati e si sente troppo inadeguata rispetto ai figli.
Vorrebbe tanto capirli, ma non le succede, come non capita mai che loro si sforzino di abbassare il loro linguaggio al suo livello di comprensione.

Esprime queste cose con un tono malinconico.
Come le capita spesso negli incontri, si emoziona molto e s’inumidiscono gli occhi quando ha finito di esprimersi.

Giacomo interviene spesso, chiedendo precisazioni o facendo appunti alla madre.
In modo anche concitato pone vari “quando?”, “com’è successo?” “Non mi ricordo”.

Giovanna, sempre con tono rassegnato, afferma che si rende conto d’essere troppo ansiosa, di dare consigli non richiesti e di pretendere da loro un comportamento che lei stessa non sa tenere.
E’ sempre stata così, vorrebbe cambiare, ma non ci riesce.

Mario conferma quest’abitudine materna, dicendosi abituato in questo modo di fare di lei che lo ha messo in difficoltà per molto tempo, ma che ormai ha imparato ad ignorare.
Dice queste cose con un tono abbastanza deciso.

Michele ricorda alcuni episodi del periodo in cui Giacomo lavorava nel suo bar, e di come gli sia riconoscente per l’aiuto che ha ricevuto in quel periodo dal figlio.
Parla anche di un episodio di conflitto col figlio, che quest’ultimo dice di non ricordare, nel quale Michele mandò via Giacomo,e quest’ultimo stette per qualche ora lontano dal suo lavoro, per poi tornarvi facendo finta di niente.
Sostiene di aver tentato di svolgere sempre una posizione molto formativa nei confronti del figlio, trattandolo con la durezza necessaria perché nella vita bisogna imparare ad essere duri.

Chiedo a tutti se, in questi anni, si sono incontrati insieme per parlarsi dei problemi che emergevano e cosa sentono dell’incontro d’oggi.

“Non ci siamo mai incontrati tutti insieme, da quando ci siamo lasciati”, dice Giovanna, “anche perché il mio marito attuale non vuole che io frequenti il mio ex marito insieme ai figli.
Solo oggi lo ha accettato, perché lo ha detto lei che era importante poterci vedere tutti insieme”, dice rivolgendosi

a me.

Anche gli altri confermano questa novità odierna, molto buona soprattutto per Giacomo.

Per il futuro decidono di proseguire insieme con un incontro settimanale, anche se Mario e Giovanna pongono l’esigenza di fare qualcosa anche come singoli.

Mi pare che il consentire a tutti di esprimersi in modo ordinato funzioni. La nuova presenza del padre non mi pare modifichi l’andamento delle predenti sedute. Il parlarsi stesso tra loro è una novità cui si possono riabituare. Accolgo bene anche lo strutturarsi settimanalmente degli incontri, ma ho un qualche dispiacere di non poter avanzare altre possibilità. Non me ne sono venute in mente.
Mi pare buona anche la richiesta di sedute coi singoli che lo richiedono.

Mario ha concordato con me una seduta individuale, nella quale mi parla in modo accorato della sua necessità di sganciarsi emotivamente dalla famiglia d’origine, dell’oppressione che prova nello stare col fratello, che si rivolge prevalentemente a lui, quando non si sente bene.
Peraltro, in queste ultime settimane si sente un po’ meno teso, perché gli pare che si siano attivati molto di più i genitori e anche gli incontri che abbiamo stanno portando un poco di serenità anche nei singoli.
Ha paura, soprattutto, che il suo rapporto di coppia sia messo a repentaglio dall’invadenza del malessere del fratello, che la sua compagna non accetti la sua realtà familiare e lo costringa a rompere il legame stesso.

Questo lo motiva ancora di più a prendersi nuovi spazi per se e la sua compagna, oltre che ad occuparsi più attentamente del suo nuovo lavoro.
Mario sta trovando molto più aiuto di quanto credesse negli incontri con gli altri familiari. Questo gli consente di dedicarsi con più attenzione agli altri affetti e al lavoro.
La cosa lo fa anche soffrire, come se fosse un lusso improprio per lui poter pensare con tranquillità a se stesso.
Mi sono trovato anche contento a fine seduta.

Alla seduta settimanale sono presenti tutti e quattro. Clima emotivo disteso.
Giovanna, testimonia una settimana tranquilla con Giacomo, anche se ha parlato con lui meno di quanto le sarebbe piaciuto.
Crede anche che Giacomo farebbe bene ad intraprendere un suo percorso terapeutico personale.

Michele dichiara d’essere anche lui soddisfatto di come vanno le cose questa settimana, anche perché Giacomo lo sta aiutando nel lavoro.
La mattina consegnano il pane dal forno dove è prodotto alle varie rivendite del paese, e questo gli consente di stare alcune ore col figlio.
Sono occasioni importanti, perché così parlano molto, con gran beneficio anche per lui.

Mario sostiene che c’è stato, per lui, un grande cambiamento negli ultimi tempi.
Dopo aver passato tanto tempo con Giacomo, avverte che è venuto il tempo di separarsi dal fratello e occuparsi della sua nuova famiglia e del suo lavoro.

Giacomo sostiene di stare meglio, di sentirsi a suo agio col padre, ed anche col fratello e la madre. A quest’ultima dice che non deve sentirsi in colpa per il passato, perché anche lui ha scelto la sua vita. In questo momento non se la sente di intraprendere anche un percorso individuale ma, se un giorno lo avvertisse come un bisogno, lo chiederà.

Il clima della seduta è stata d’attenzione e rispetto reciproco fra tutti.
Io sono intervenuto pochissimo, solo per dare la parola ad ognuno quando si sovrapponevano.
Sono rimasto sempre sullo sfondo, anche contento di poterlo fare.

Giovanna telefona per prendere un appuntamento per se e il marito attuale, Cesare.
All’incontro precisa che quest’appuntamento è per lei importante perché sa di avere un conflitto con l’attuale marito da tanto tempo, conflitto che per lei è iniziato quando Giacomo si è trasferito ad abitare vicino a lei.
Da allora Cesare ha cominciato a manifestare gelosia per l’accoglienza che lei riservava al figlio, perché lo invitava a cena e chiedeva al marito di dare una mano a Giacomo per la cura del giardino di casa di quest’ultimo.
In questo periodo Cesare chiede che Giacomo lasci la loro casa, e mal sopporta anche la permanenza della madre di lei.
Giovanna non crede nemmeno più al loro rapporto di coppia, che per lei è finito da molto tempo.
Non se la sente però d’essere lei a rompere il loro rapporto, vorrebbe che fosse lui ad andarsene fuori di casa.
Racconta queste cose con tono meno concitato del solito, senza che l’emozione le impedisca di esprimersi compiutamente, come le capita spesso quando è in seduta con i figli e l’ex marito.

Cesare nega risolutamente di non essere accogliente con Giacomo, cui imputa negativamente solo un comportamento trasandato, cui tutto è dovuto.
Rimprovera però Giovanna d’essere servile col figlio, e di lamentarsi con lui poi d’essere stanca delle stesse cose che lei ha deciso di fare col figlio, come il preparargli la cena.
Rileva i tanti momenti in cui è stato vicino a Giacomo, sia nel fargli compagnia sia nell’aiutarlo materialmente a tenere in ordine il giardino del ragazzo e nel trovargli un lavoro.
Quest’ultimo lavoro poi è stato lasciato dal ragazzo con motivazioni che lui non ha capito,
ma che ha accettato perché Giacomo è libero di fare quello che vuole.
Ripropone, in modo un poco accorato, che lui non accetta solamente il comportamento passivo di Giacomo, e che oggi non si lamenta se la madre aiuta il figlio, ma perchè quest’ultimo si piazza in casa loro definitivamente, anche se sta ormai bene.
Sostiene risolutamente di voler bene alla moglie e di non voler uscire dalla loro casa.

Giovanna gli da del bugiardo, dice che lui si è sempre lamentato della presenza di Giacomo.
Riconosce al marito di aiutare Giacomo, ma solo se lei o Giacomo stesso glielo chiedono.
Mai che il marito si proponga per primo.
Lei si riconosce d’essere piena di sensi di colpa nei confronti di Giacomo, di essere emotivamente molto fragile,
ma d’essere anche decisa a farsi carico sia dell’anziana madre sia della cura di Giacomo, che ha sfiorato la follia quest’estate.
Nel parlare di quei momenti si commuove nuovamente.
Concorda un nuovo appuntamento, in cui vuole venire da sola per parlare dei suoi problemi personali.

Anche in questa seduta mi sono limitato a stare con i protagonisti, senza fare particolari interventi, se non per chiedere precisazioni su quanto veniva detto, quando questo appariva espresso in termini confusi.
Giovanna fa emergere altri aspetti del suo malessere.
Il fatto che diventi capace di trovarsi non solo uno spazio suo con me, ma anche di farci entrare persone che di volta in volta sono coinvolte può essere un effetto anche della terapia con altri familiari.

Vengono tutti e quattro. Michele si dichiara dispiaciuto perché Giacomo, negli ultimi giorni, non è venuto con lui alla distribuzione del pane. Teme che non stia bene, anche se non lo sa di preciso, non ha avuto il coraggio di chiederlo direttamente.

Giacomo conferma che questo fine settimana ha avvertito una caduta del suo “umore”.
Adesso vuole riprendersi un poco di tranquillità e ha preferito stare in casa a riposarsi, anche perché andare col padre vuol dire alzarsi presto la mattina.
Si rende anche conto che si annoia molto a stare chiuso in casa.
Parla con un tono basso, un poco depresso.

Gli pongo qualche domanda attorno a questo risorgente malessere, eventuali collegamenti con qualche fatto che succede attorno a lui, alla sua storia.

Racconta delle vicissitudini provate nell’ultimo lavoro che ha fatto presso un’azienda di distribuzione di giornali, dov’era stato assunto come magazziniere ed è finito a scaricare pacchi.
E’ stato molto discriminato e la cosa lo ha molto prostrato.
Ha resistito fino all’ultimo, poi si è dovuto dimettere.

Mario ricorda che l’ultimo anno di lavoro del fratello è stato molto difficile, stava male psicologicamente e i datori di lavoro chiamarono lui e i suoi genitori per avvisarli che Giacomo faceva il “matto” in azienda.

Giacomo interviene minimizzando il suo stato di malessere di quel periodo, non ricorda di essere stato così male, anzi, si sentiva molto lucido e determinato a “fare giustizia”.

Giovanna conferma le cose dette da Mario, aggiungendo che tutto si è aggravato perché Giacomo non si è curato adeguatamente, non è una persona molto disciplinata, che non si organizza.

“ Crede che io sia un indisciplinato?”, mi chiede Giacomo, con tono interrogativo e preoccupato?

“Non lo so. Forse è indisciplinato come me. So che quando si è indisciplinati abbiamo bisogno di qualcuno e/o di qualcosa che ci aiuti a riprenderci una buona disciplina di noi stessi.”, gli rispondo.

E’ una delle poche volte che Giacomo parla direttamente con me, ponendomi una domanda. Ho risposto senza mediazioni o titubanze, sapendo che sarà il solo modo di essere creduto da lui.

Presenti tutti e quattro. Giovanna dice di aver passato una buona settimana con Giacomo, hanno parlato meglio dei loro problemi, anche se non riesce a dire molto di quello che prova.

“Crede di poterlo fare qui, adesso?” le chiedo.

Si emoziona moltissimo, e dopo qualche secondo dice: “ Voglio dire a tutti e due che gli ho sempre voluto tanto bene”.

E’ un momento d’intensa commozione per tutti.

Mario dice subito: ”Non ti ho mai sentito dire una cosa del genere”, Giacomo si gira ripetutamente a guardare la madre che è seduta al suo fianco, Michele sorride.

Io valorizzo il fatto che Giovanna riesca ad esprimere le cose che sente e che pensa.

Michele interviene per affermare che lui ha avuto meno problemi a manifestare ai suoi figli l’affetto.

Vedo che Giacomo ha un moto impulsivo, con una gamba che comincia a tremare e gli chiedo che cosa sta provando in questo momento.

“Quando ero piccolo mi dicevi che volevi essere mio amico”, dice rivolgendosi al padre con un tono accusatorio.

Poi dice anche che la cosa, adesso, non gli dispiace più di tanto.

Michele dice di non ricordarsi di aver detto queste parole, però può essere stato così.
Ricorda anche che qualcuno lo ha messo in guardia dall’avere col figlio un atteggiamento da amico, che può essere incompatibile con l’essergli padre.

Mario interviene affermando che con lui il padre non ha mai manifestato questo desiderio d’amicizia. E’ totalmente nuovo anche questo problema, non ne aveva mai avuto sentito parlare prima.

Giacomo ribadisce che questa richiesta del padre poi non gli dispiace troppo, anche se allora non la capiva.

Gli rimando il turbamento che aveva avuto prima, se lo avverte ancora.

“Si, ma non so perché”, risponde.

C’è un altro intervento di Michele che parla di come sia stata difficile la sua infanzia, avendo perso il padre quando aveva solo quattordici anni.
Un padre molto duro, molto manesco.
Ma allora i padri erano tutti così, non era solo suo padre particolarmente cattivo.

Man mano che racconta poi questo dato emotivo iniziale sparisce e alla fine testimonia solo la figura di un uomo molto dedito alla famiglia e rispettato dalla gente.

Giovanna interviene alla conclusione della seduta dicendo che il padre di lei è stato solo una persona violenta, e come tale lo ricorda.
L’intensità emotiva della seduta è stata alta. Mi pare riescano decisamente a parlarsi dei loro sentimenti.
Sono stanco, ma anche contento del lavoro fatto.

Seduta singola, richiesta da Giovanna.

Mi parla con tono emozionato, e racconta a lungo soprattutto del suo primo matrimonio e delle varie scelte che l’hanno portata a separarsi dal marito.
Si emoziona molto nel momento in cui ricorda la grande solitudine affettiva in cui viveva, col marito che viene presentato come una persona debole e incapace di fare il genitore.

Alla mia domanda sulle motivazioni per cui ha preferito parlami da sola di queste vicissitudini, risponde che conserva ancora troppo astio per Michele, soprattutto perché le ha messo sempre i figli contro, mentre lei non ha mai avuto coi figli un atteggiamento di discredito per il loro padre.

Ancora oggi preferisce che i figli non sappiano del suo risentimento, ma ci tiene che lo sappia io.
Si è sentita anche troppo sola su questo suo stato d’animo.
L’apertura di Giovanna sui suoi problemi prosegue. Mi pare un buon segno.

Presenti tutti e quattro.
E’ ancora Giovanna che parla per prima, affermando che questa settimana le cose non sono andate molto bene per Giacomo, il quale ha avuto una crisi nella fine settimana, crisi che lo ha portato ad isolarsi nella sua stanza, dalla quale è uscito solo oggi, forse perché veniva qua.

Lei si è comportata diversamente dal solito, ha aspettato che Giacomo se ne stesse tranquillo e non ha telefonato angosciata, come le capitava prima, al figlio Mario.

Quest’ultimo conferma la novità dell’atteggiamento materno, dicendosi un poco stupito del non essere stato investito emotivamente dalla madre.
Non sa come prendere la cosa: sarebbe buona se la madre si rende conto che lui può al massimo ascoltarla, mentre non servirebbe a niente se fosse solo un tentativo di non disturbarlo.

Giovanna afferma che si rende conto che ci sono cose che non le sono dette, ma che lei intuisce.
Fa l’esempio del lavoro di Mario, che lei aveva intuito andare male e, infatti, lui le ha confermato di essere stato poi licenziato.
Si rende anche conto che fa delle cose contraddittorie, perché gliele fanno rilevare i figli, ma lei è così.

Giacomo minimizza il suo stato di sofferenza.
Adesso, per esempio, si sente tranquillo.

Gli faccio notare che lo dice con un atteggiamento rigidissimo del corpo, e si rilassa sulla sedia, con un mezzo sorriso.

Mario interviene ancora per parlare del suo stato di sofferenza, che riconosce, ma che sente anche più gestibile di prima perché è meno invaso da compiti che sentiva impossibili per lui.

Continua il processo di comunicare sempre più prontamente i propri stati d’animo, sopratutto tra Giovanna e Mario. Giacomo sembra ascoltare moltissimo gli altri, ma con paura di esprimersi verbalmente nei suoi stati d’animo.

Telefona Giovanna, molto preoccupata dell’atteggiamento di Giacomo, che tende a chiudersi in casa. Chiede se può domandare aiuto anche a Mario, perché da sola non riesce più ad aiutare Giacomo.

La invito a porre il problema nell’incontro comune.

Presenti tutti e quattro. E’ sempre Giovanna che chiede la parola per prima.
Tutti concordano che sia lei ad iniziare.

Parla della stanchezza di una settimana difficile, solo ieri è riuscita a parlare con Giacomo, il figlio si era isolato nella sua stanza e non è voluto scendere nemmeno per mangiare, mettendo in grande angoscia la nonna, che non riesce a darsi pace per le strane abitudini del nipote.
Lei stessa non capisce cosa può fare di meglio.
Giacomo ha ricevuto anche una chiamata per un lavoro, ma la cosa è durata solo una giornata, perché lui si è poi lamentato di soffrire di mal di schiena troppo forte.

Giacomo conferma che in questa settimana, pur sentendosi meglio rispetto a prima, non ha voglia di uscire e le persone lo mettono in ansia, perciò preferisce stare da solo.
Minimizza il problema del lavoro che ha appena abbandonato, non vuole fare lavori pesanti fisicamente in questo momento.

Mario interviene con molta passione nei confronti di Giacomo.
Gli dice che in questo periodo lo sta evitando perché Giacomo non fa niente per stare meglio, non si prende cura di se, evita la gente e non vuole nemmeno andare in terapia da solo, condizione in cui potrebbe finalmente cominciare a lasciar uscire il malessere che ha dentro.

Giacomo ascolta con disagio lo sfogo del fratello, dichiarandosi alla fine in difficoltà ad accogliere la proposta di una terapia da solo perché non ne sente il bisogno.

Riprendo e valorizzo quanto Mario sta portando, come continui ad emergere una sofferenza di tutti e come sia possibile prendersene cura, non solo attraverso questi incontri con tutta la famiglia, ma anche con percorsi individuali.

Mario pare aver superato lo stato estremo di stanchezza emotiva. I suoi interventi sono sempre più appassionati. Mi pare sia utile valorizzare l’intensità degli scambi che si hanno nella seduta.

Presenti in tre. Manca Giovanna, che non si è sentita bene all’ultimo minuto.

Giacomo dice di avere qualche difficoltà in questi giorni, perché non riesce a capire come si deve comportare nei confronti di una ragazza che gli piace, ma verso la quale non riceve segnali chiari d’incoraggiamento, pur avendole detto, con messaggi al telefonino, che desidera conoscerla.

Gli chiedo che cosa prova lui nel fare questi tentativi, ma non risponde.

Gli è evidente solo la difficoltà nel comprendere il comportamento della ragazza.

Mario dice che Giacomo gli aveva presentato la stessa problematica mesi addietro, ma non se ne venne a capo, anche perché lui era restio a parlare delle situazioni sentimentali.
Oggi si sente però più capace di prima nell’affrontare anche questi temi, non li eviterebbe se avvenissero.

La stessa cosa la testimonia Michele, che chiede se lui e Mario devono uscire dalla stanza.
Questo potrebbe favorire il parlare di Giacomo.
Giacomo dice di no, che non c’è questo problema.

Continua con un lungo monologo sulla sua difficoltà di capire le ragioni della ragazza.

Gli pongo ogni tanto delle domande che lo riportano a quello che fa lui, apparentemente senza riscontri.

Giacomo fa emergere dei conflitti. Mi pare importante che non li nasconda, anche se non gli è facile esporli.

Mi telefona Giovanna, preoccupata perché non sa come dire a Giacomo che un’assunzione in un bar, prevista per Gennaio, è rinviata per qualche mese.
Teme che il figlio non regga la notizia.
La invito a parlarne in seduta.

Presenti tutti e quattro. Prende la parola Giovanna, molto amareggiata del comportamento in casa di Giacomo, che non le risponde e la tratta con distacco.
Piange accoratamente nel raccontare una serie d’episodi che dimostrerebbero quanto Giacomo non la consideri.

Mario, anche lui piuttosto teso e nervoso, afferma che Giovanna si comporta in modo tirannico e incomprensibile nei confronti dei figli.

Ricorda che quando lui viveva con la madre non capiva mai le sue reazioni, l’ha addirittura odiata in quei momenti.
Oggi, che ritiene di aver capito i motivi per questo lei era così, non la odia più, ma certo è difficile avere a che fare con lei perché travisa sempre ogni comportamento dell’altro, come se fosse rivolto contro di lei.

Dice queste cose in tono molto accalorato e deciso.

Michele mi chiede aiuto per esprimere un problema che per lui è importante, ma non sa come dirlo.

Lo invito a parlare direttamente, senza preoccuparsi delle reazioni degli altri membri della famiglia, che si limiteranno ad ascoltarlo mentre parla, per poi intervenire, se lo ritengono, solo successivamente al suo racconto.

Dice del lavoro rinviato per Giacomo, ma anche lui è coinvolto in questo lavoro, in un bar.
Giacomo ci tiene tanto, e gli aveva ripetutamente sollecitato un intervento col proprietario per iniziare.

Gli chiedo cosa lo spaventi nel dire una cosa così  e dice di aver paura che Giacomo si senta ancora più male, che si abbatta ancora di più, è già così depresso.

Giacomo esprime una” porca miseria”, quando Michele dice del rinvio.
Dopo che il padre ha parlato gli chiedo come accoglie la notizia e dice di provare dispiacere di questo rinvio, di dover pensare cosa può fare nel frattempo che deve aspettare l’inizio del nuovo lavoro.
Contesta con durezza la madre per quello che ha detto di lui.
Non ricorda d’averla maltrattata negli ultimi giorni ed è stufo di vederla sempre addosso, lamentandosi perché lui non agisce come lei vorrebbe.
Adesso, per esempio, lui si sente in grado di poter tornare a casa sua, ma la madre non vuole.

“Non è pronto”, dice Giovanna.

“Questo è quello che persi tu. Se io rimango a casa tua è per non ferirti, non perché ne abbia bisogno”, le rimanda duramente Giacomo.

E’ l’ultimo minuto della seduta, e, valorizzando quello che si sta esprimendo propongo di proseguire la prossima volta.

Giovanna chiede di poterci vedere, in una seduta straordinaria, prima della prossima settimana. Chiedo se sono tutti d’accordo con questa proposta e tutti l’appoggiano.

Apro l’agenda e concordiamo una seduta supplementare.
L’intensità degli scambi è stata alta. Giacomo pare acquisire una capacità di comunicare i suoi stati d’animo in modo meno dirompente, e questo tranquillizza tutti gli altri.Io sono tranquillo, malgrado l’intensità della seduta, e ho accolto tranquillamente anche la richiesta della seduta supplementare.

Presenti tutti e quattro. Giovanna riparte dal momento in cui si era interrotta la precedente seduta.
Per lei Giacomo è meglio che non esca da casa subito, non è convinta che stia bene al punto da sapersi gestire da solo.
Non sa organizzarsi, non sa pagare le bollette, non prende le medicine al momento giusto.
Lei si sente colpevole, molto colpevole dello stato di salute di Giacomo.
Piange accoratamente mentre parla.

Giacomo si arrabbia, contesta la madre di parlare a vanvera, di dirgli le solite frasi fatte.

Mario interviene, rimproverando aspramente la madre di fare la solita parte e di dire sempre le stesse cose.
Rimprovera anche Giacomo di essere sempre fermo, in modo stereotipato, sulle solite questioni.
Dovrebbe prendere atto che la madre è così, inutile piangersi addosso e pretendere di cambiarla.
Parla in modo appassionato e si crea un vivace scambio tra tutti, padre escluso, che rimane un poco attonito.

Alla fine della seduta Giacomo mi chiede: ”Cosa mi consiglia di fare?”

“Di parlare di più ”, gli rimando.
Giacomo si è rivolto direttamente a me. Il fatto che lo faccia così raramente, anche se lo tiro in ballo quando mi pare assentarsi dal rapporto con gli altri, non lo avverto ancora come un problema da porre con più intensità. Avverto che sta avvenendo anche una maggior apertura ai sentimenti che ognuno prova, a parte Michele che non esprime apparentemente niente.

Presenti tutti. C’è un silenzio iniziale. Chiedo dopo un poco cosa sta avvenendo.

Giovanna si lamenta dell’atteggiamento poco attento di Giacomo rispetto alle medicine.

Mario la corregge, affermando che il problema non sono le medicine, ma il fatto che Giacomo non è abituato ad esprimere le cose che sente dentro.
Non ha nessuna abitudine introspettiva.

Giacomo, a sua volta, si dice confuso, a tratti non si sente bene, ma non capisce perché, e a tratti invece gli sembra di poter abbandonare tutte le medicine.
È d’accordo con Mario sul fatto che non è abituato a parlare di se, ma ci sta provando.

Non nascondono uno stato d’animo di stanchezza. E anche questo mi pare una buona cosa.

Seduta singola con Giovanna. Si riconosce molto ansiosa nei confronti dei figli ed ha paura che questo li faccia stare male.
Dice che il peso delle questioni pratiche che riguardano sia i figli sia l’ex marito se li è presi lei, sia pure su richiesta loro.
Ma questo la mette in condizioni tali da non riuscire più a liberarsi di loro.
Si sente imprigionata e le viene voglia di scappare.
Ma si sente anche tanto in colpa per le condizioni di Giacomo.
Un’altra sua preoccupazione è come riuscire a lasciare l’attuale marito, che sta con lei solo per una convenienza economica, non perché è innamorato di lei.
Se fosse così non accetterebbe di dormire in camere separate da oltre cinque anni, come capita a loro.
Sono almeno dieci anni che il loro rapporto di coppia è finito, ma lei non è ancora riuscita a chiuderlo con la separazione.
Giovanna ci continua a provare ad affrontare i suoi magoni. Per adesso pare desiderare una condivisione di quello che prova emotivamente, mentre per le scelte pratiche mi pare anche consapevole che toccherà a lei farle.

Presenti in tre, manca Mario.  Giovanna dice di sentirsi meglio, anche se adesso arriva Natale e le tocca fare i pranzi, cosa che detesta da sempre.

Michele afferma che per lui sarà un Natale triste e solitario, senza moglie né figli.
Gli piacerebbe avere vicino qualcuno, preferibilmente una donna.

Giacomo interviene affermando che ci sarà lui vicino al padre in queste feste.

Segue uno scambio tra Giovanna e il figlio su quando quest’ultimo era un bambino piccolo, e come amasse trovare i regali di Natale sotto l’albero.

Giacomo s’intenerisce a quel ricordo, il viso diventa meno tirato ed abbozza anche dei sorrisi ai racconti che fa la madre.

Viene ricordato anche il desiderio di Giacomo, quando aveva sette anni, di avere un fratellino.

Giovanna gli diede ragione e gli fece anche scegliere il nome, nel caso fosse stato maschio.

“Io non ho mai saputo niente, prima di questo momento, di questo desiderio di Giacomo”, dice Michele sorpreso.

Nel resto della seduta vengono fuori solo momenti sereni della loro vita familiare dei primi anni.

Sono rimasto molto sullo sfondo anche in questa seduta. Mi pare interagissero bene tra loro.

                                              Conclusioni

Questo è stato il cronologico andamento delle sedute, da settembre a dicembre 2006.
Dopo le vacanze natalizie c’è stata la ripresa degli incontri.
Allo stato del lavoro mi trovo abbastanza tranquillo su quello che sto facendo.
Mi pare che il processo si svolga senza apparenti intoppi e la mia presenza e il mio modo di rapportarmi sia capito e vissuto bene dai pazienti.
Non mi sono fatto nessun tipo di aspettativa, né su chi è paziente né su chi è più o meno grave di quelli che stanno con me.
Non ho nemmeno nessun tipo di preferenza per il futuro, nel senso che non mi pongo il problema se proseguiranno tutti insieme, chiedendo anche sedute individuali come hanno fatto finora, oppure qualcuno lascerà il campo.

Dal momento che il processo terapeutico mi pare avviato, non mi sembra utile farmi questo genere di domande.
La scelta che ho fatto sin dall’inizio è stata quella di proporre il coinvolgimento diretto delle persone che erano presentate come un problema relazionale difficile da affrontare, quando addirittura non possibile.
Se la domanda che mi arrivava fosse stata diversa, forse avrei lavorato con Mario senza chiedergli se voleva coinvolgere altre persone nella terapia.
Credo di occupare un posto in cui è possibile parlare con tutti allo stesso modo, senza creare vittime o carnefici e senza decidere chi è paziente e chi non lo è. Se vengono sono tutti pazienti.
Mi sembra sufficiente per lavorare.
Il lasciare un analogo spazio possibile alle richieste d’incontro coi singoli mi tranquillizza anche rispetto a questa eventuale necessità, che finora è stata utilizzata soprattutto da Giovanna e, sporadicamente, da Mario.

Un’altra riflessione riguarda gli incontri coi singoli.
Cosa e quale morale si può ricavare da questi incontri con le singole persone?
Mario testimonia di avere uno stato d’animo più leggero rispetto a quando è arrivato, non gli sfugge l’importanza di aver trovato un posto dove porta un fardello che si era caricato da solo e che giudicava emotivamente intollerabile.
E’ anche consapevole che tutti gli altri problemi che lo riguardano non può affrontarli negli incontri con i suoi familiari, anche perché si sente impegnato soprattutto ad aiutare il fratello, che sente troppo fragile, e non ritiene che gli altri familiari siano in grado di dargli una mano invece sui suoi problemi personali.
Anzi, essendo riuscito ad uscire dal controllo materno non ha nessuna intenzione di ritornarci, visto che la madre stessa si agita anche quando non c’è nulla, secondo lui, di cui preoccuparsi.

Giovanna si presenta finora come quella che non rinuncia apparentemente ad occuparsi di tutta se stessa. I suoi continui tentativi di crearsi uno spazio anche come singola sono accolti, ma esita perché teme che così tolga spazio a Giacomo.

Giacomo interviene verbalmente sempre più negli incontri con la famiglia, mentre continua a manifestare un netto rifiuto ad incontri singoli.

Michele, ultimo ad entrare in stanza, si mette quasi sempre in posizione defilata.
Ma anche lui dice di essere interessato agli incontri, non solo perché spera che Giacomo stia bene.
Non pare intenzionato finora ad utilizzare nessuno spazio singolo.

La terapia con la famiglia di Mario si è chiusa quattro mesi fa, dopo trenta mesi di incontri settimanali.
Dell’ultimo incontro di famiglia riporto alcuni appunti: sono presenti Mario, Giovanna e Giacomo. Tutti e tre avevano già da mesi posto l’opportunità di chiudere gli incontri familiari, durati oltre due anni, e proseguire ognuno per conto proprio.
La motivazione principale per Giovanna è che” Giacomo ha cambiato il proprio modo di vivere la vita quotidiana. Ha ricominciato a lavorare in una ditta vicino a casa, nel CPS del paese ha trovato una terapeuta che lo vede tutte le settimane. Fare anche le sedute di famiglia gli pesa molto, è troppo complicato anche trovare il tempo. Io non insisto più per questi incontri, anche perché la situazione con lui è molto migliorata, gli parlo senza sentirmi sempre in torto, sono molto più tranquilla con lui.
Anche il dialogo con lui è molto migliorato, come pure quello con Mario. Adesso che ne parlo mi sento strana solo nel dirlo, però è vero. Mi piacerebbe andare avanti per conto mio, ma adesso ho bisogno di fermarmi, di ritrovarmi anche stando un poco da sola, senza dover parlare sempre dei figli. Ho ripreso a vedere la mia vecchia terapeuta con cui sono stata dieci anni fa, e credo continuerò con lei. Adesso ho la necessità di occuparmi di me stessa, vorrei cambiare la mia attuale situazione di coppia, non va proprio”.
Mario sostiene che “le ragioni che mi avevano portato qui due anni fa sono completamente cambiate. Adesso sono molto più sicuro di me, mi sento in grado di fronteggiare le crisi di mio fratello. Ho imparato a prendere sia le distanze da lui che a lasciarmi coinvolgere senza andare in ansia. Sono molto più sicuro con lui. Con me stesso ho ancora tanti problemi, molti li ho capiti venendo qui, però queste cose mie preferisco affrontarle senza gli altri familiari. Sono molto contento anche per tutto quello che ha fatto la mamma in questi anni, molte volte non mi sembra nemmeno più la stessa persona”.
Ho preso atto delle motivazioni espresse e ci siamo salutati.
Che riflessioni faccio a posteriori di questa esperienza? Dall’iniziale venuta di Mario, al successivo coinvolgimento del fratello e poi della madre e del padre in un’unica terapia familiare, si è finiti in singole terapie per tre dai quattro membri della famiglia, con tre terapeuti diversi.
Mario continua a venire da me con sedute a richiesta, non programmate, Giovanna ha ripreso le sedute con la vecchia terapeuta che aveva lasciato dieci anni fa e Giacomo è in terapia in un CPS.
Michele è ripiombato nel silenzio, dal quale era emerso solo per partecipare alle sedute con gli altri membri della famiglia.
In questi trenta mesi il lavoro è stato per me intenso, spesso impegnativo e a tratti anche molto noioso, soprattutto nelle sedute in cui nessuno parlava per lungo tempo.
Un iniziale coinvolgimento entusiasta di Mario e di Giovanna si è scontrato con un atteggiamento scontroso ed ostile di Giacomo. Per lunghi mesi Giacomo ha riservato rabbiosi silenzi a tutti, me compreso. Non rispondeva a nessun tipo di domanda e si rivoltava stizzito soprattutto nei confronti della madre e del padre silenzioso ed assorto nel suo mondo.
Riporto alcuni scambi che sono avvenuti in quei mesi, cominciando dai primi incontri:
-Entrano nella stanza nello stesso ordine che hanno adottato sin dall’inizio degli incontri: prima Michele, poi Giovanna, Giacomo e, infine, Mario.
Anche le sedie che occupano hanno lo stesso ordine, con i due genitori al lato e i due figli al centro.
E’ Giovanna che inizia a parlare.
“ Devo dire una cosa importante. So di essere molto emotiva, quando parlo mi viene sempre da piangere, è una cosa che controllo con grande fatica, con grande difficoltà… raramente mi riesce. Mi viene un’emozione che mi stozza la voce. Giacomo si arrabbia molto quando gli parlo, dice che non mi sopporta… ma io non riesco a trattenermi”.
Mi sembra che stia dicendo qualcosa d’ importante e con il tono più caldo che mi viene la invito a dire qualcosa di più di questa sua difficoltà.
Mi guarda un poco smarrita, poi assume una posizione più dritta nella sedia.
“Quando ero piccola avevo già problemi con il parlare. L’emozione mi ha sempre bloccata… tutte le volte che cominciavo a parlare mia madre mi mandava via…”
Anche adesso la sua voce ha cominciato a tremare. Immagino la sua disperazione in questo momento, il desiderio di voler dire le sue cose con tono normale e la paura di non poterlo fare. Le sorrido.
“Lei diceva che non capiva niente di quello che dicevo. Io ero sempre molto spaventata. Quando riuscivo a dire qualcosa mi tirava contro qualsiasi cosa aveva in mano…mi è arrivato una volta anche il coltello che adoperava… per fortuna era senza punta…”
Giacomo:” Mi dà molto fastidio quando fai così”, dice con tono duro rivolgendosi alla madre, ”non riesco mai a fare con te un discorso razionale. Non si riesce nemmeno ad ascoltare una frase, sei sempre lì a piangere dopo tre parole…”
Interviene Michele: ”Lei è sempre stata così, anche quando vivevamo insieme non c’era la possibilità di fare un discorso lungo senza che si mettesse a piangere. Sempre lacrime! Però io non facevo come Giacomo, che la scaccia in malo modo, io la calmavo e le chiedevo di contenersi, di parlare più piano… Qualche volta ci sono pure riuscito… Giacomo invece è proprio infastidito… io però non andavo via”.
Segnalo che Giovanna stava parlando di una fase importante della sua vita, cosa che l’ha fa molto soffrire, e che non pare venga raccolta in questi interventi.
Giovanna riprende : “Mio padre veniva a casa una volta al mese, faceva l’autotrasportatore. Spesso si ubriacava in quei giorni, avevo paura per come trattava la mamma, gridava sempre e bisticciavano continuamente. A me però non mi ha mai picchiato, nemmeno a mia sorella. Mia sorella era più piccola di me di cinque anni, era sempre spaventata…io mi occupavo di lei, non potevo farmi veder piangere anche da lei…”
Michele: ”Non mi hai mai detto ne hai parlato di queste cose. Io non mi ricordo…certo quando mi parlavi eri sempre a lacrimare…”
Giovanna: ” Non mi hai mai visto perché mi chiudevo in camera mia e passavo ore a piangere da sola!” esclama tra lo stizzito e il rassegnato, “non volevo che gli altri mi vedessero così in difficoltà, dovevo mandare avanti la famiglia”.
Giacomo: ” Non riesco a parlare con te se piangi continuamente”, ripete con dono deciso.
Gli chiedo cosa prova adesso nel dire queste cose a sua madre. Silenzio.
Mario:” Io lo so che la mamma è fatta così, anche con me non ricordo una volta che non pianga quando mi parla. Per molti anni anch’io ho fatto come lei, ho preso proprio il suo modo di fare. Da piccolo sono stato bloccato per molti anni, non so se sono adesso riuscito a sbloccarmi del tutto, mi emoziono ancora se vedo dei film, soprattutto se ci sono scene di tenerezza. Però ho capito che non mi devo far condizionare troppo, non devo vergognarmi se mi viene da piangere, con la mia compagna mi capita spesso, condividiamo le emozioni anche vedendo un film”.
E, rivolgendosi a Giacomo: ” Sbagli a trattare così la mamma, lei fa così con tutti, non è mai stata capace di un discorso razionale, fa così perché cerca di parlarti”.
“Ma mi infastidisce proprio, non è possibile parlare con lei in modo costruttivo!” sbotta ancora Giacomo.
Gli chiedo cosa lo innervosendo così tanto in questo momento. Rimane in silenzio e il suo viso assume un aspetto quasi pietrificato, inespressivo.
Gli rimando questa sensazione che provo nel guardarlo. Si muove nella sedia come a cercare una posizione più comoda, alza gli occhi e mi guarda smarrito.

In un altro incontro, dopo le ferie estive, Giacomo racconta di aver ritrovato un libretto di poesie che ha scritto quando aveva diciotto anni. La cosa incuriosisce i genitori, che sostengono di non aver mai saputo nulla su queste doti del figlio.
Giovanna manifesta molta meraviglia e, alla mia domanda cosa prova, risponde che è felice di sapere questo da Giacomo.
Chiedo a Giacomo se vuol dire qualcosa di più chiaro di sè.
“Mah, adesso non mi pare il caso di parlare delle mie cose con la mia famiglia, mi piacerebbe essere contento di stare con loro, invece di essere sempre teso come è stato in passato”.
La madre conferma che Giacomo è stato bene in vacanza con lei. Così si è tranquillizzata anche lei. Divertita no, non può dirlo, c’era anche il marito ed è stato pesante reggerlo.
Però Giacomo sta meglio, anche la cura farmacologica che hanno trovato con lo psichiatra funziona bene.
“Però ho paura…”, aggiunge.
“Paura?”, le rimando.
Silenzio. Dura molto tempo. Il padre dei ragazzi, si guarda attorno nervosamente, si mette continuamente le mani in tasca, si strige le dita. Poi china il capo e guarda un punto indefinito del pavimento.
Giacomo: ”Io non ho capito…”
Mario:” E’ sempre la stessa storia, la mamma non è mai contenta di niente. Se c’è una cosa che va bene ne deve trovare subito una che va male. Ma che palle! Che palle! Anche con me facevi così, e adesso continui così anche con Giacomo”.
Mario prosegue con un lungo monologo sulle inadempienze materne, su quelle del fratello, sul padre che non prende mai una posizione e si colloca come un “pero secco”. Poi parla de se:”Ho sbagliato tanto, tutto sommato le cose che ti dico, mamma, è come se le dicessi a me stesso. Anch’io sono come te, mi rendo conto di avere i tuoi stessi difetti, parlo addosso agli altri, rompo le scatole a tutti. Mi sto impegnando a uscire da questo modo di fare, non ne posso più io stesso certe volte. Anche la mia ragazza me lo fa notare, a volte sono insopportabile anche con lei.
Il padre è come accasciato sulla sedia, Giacomo ha assunto un’aria assorta e meditabonda, Giovanna, con voce tremante dice: “Ho bisogno di aiuto”.
Io rimango partecipe silenzioso. Do ogni tanto un’occhiata ai vari membri della famiglia per cogliere le loro reazioni emotive ai vari scambi. Mi pare che le emozioni vere emergano.
Anche l’andamento della seduta odierna è uno schema che si ripete da un paio di mesi, in particolare dopo la ripresa delle sedute dopo le vacanze estive.
Nei primi mesi dell’anno prima Giovanna e poi Giacomo hanno utilizzato anche alcune sedute individuali, spazi che hanno lasciato poi in vista delle vacanze.
Le sedute individuali con Giovanna hanno avuto come tema dominante i continui malesseri con l’attuale partner e con i figli. Nei confronti dei figli si è continuamente colpevolizzata, ritenendosi cronicamente incapace di capire perfino che cosa doveva fare per loro. Da giovane preferiva andare a lavorare, affidando i figli alla madre, e tornare a casa il più tardi possibile.
Una volta preparata la cena si rifugiava nella sua camera a piangere.
Nel suo paese natio cercava il rifugio durante le vacanze estive, portandosi dietro solo i figli.
Dopo alcuni mesi di incontri da sola con me, Giovanna non ha più chiesto appuntamenti.
Michele ha rinunciato da subito a chiederne, motivando questa scelta anche lui per mancanza di soldi.
Mario, invece, ha fin dall’inizio cominciato una sua terapia individuale, interrotta nella regolarità dopo circa due anni per motivazioni sia di lavoro che economiche. Al momento, richiede di volta in volta gli incontri.
Nel lavoro individuale la sua famiglia di origine spariva quasi totalmente, e metteva al centro del suo malessere tutta una problematica sessuale che lo ha fortemente messo in crisi anche con la sua compagna.

CONCLUSIONI
Il mio dichiarato intento con loro è stato quello di consentire a tutti di potersi esprimere nei sentimenti e nelle emozioni che provavano reciprocamente.
Questa esperienza terapeutica mi ha rafforzato nella convinzione dell’importanza che ha il ruolo di terapeuta nei confronti dei pazienti, e di quanto sia stato decisivo muovermi in modo aperto ed accogliente alle varie necessità anche di incontri individuali, nei quali sono emersi soprattutto le più intime difficoltà personali, quasi mai legate agli altri membri della famiglia, ma che la terapia familiare aveva fortemente smosso dentro di ognuno.

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