Identità contro apertura?

 

Jorge Olaechea C.

Introduzione

«Conosci te stesso»: con queste parole venivano ammonite dall’Oracolo di Delfi generazioni e generazioni di antichi greci. Conosci chi sei… Oggi potremmo rivolgere le stesse parole all’uomo dei nostri giorni, il quale sembra aver dimenticato, o almeno nascosto, questo imperativo fondamentale della vita umana.

Intraprendere la ricerca alla quale il plurisecolare motto ci invita è stato il lavoro e la vita di molti pensatori lungo il percorso della storia. Nel travaglio e con i limiti della propria situazione —personale, sociale, storica—, c’è chi è riuscito a proporre agli uomini del suo tempo un modello che è frutto di un approfondimento serio e sincero in questo «microcosmo» che siamo noi stessi. Luigi Stefanini è stato uno di questi.

Nato a Treviso nel 1891, Stefanini s’impegnò molto durante la sua giovinezza in gruppi ed associazioni cattoliche, partecipò attivamente alla vita intellettuale italiana della prima metà del 900, specialmente nel suo lavoro come docente universitario e attraverso i Convegni di Gallarate —vero “think tank” del mondo cattolico italiano nato al tempo della ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale— dei quali egli fu promotore entusiasta. È da rimpiangere la dimenticanza in cui la sua opera, di una grande vastità e spessore speculativo, è caduta anche in ambiente cattolico. La testimonianza lasciata da alcuni dei suoi amici, discepoli e colleghi nel volume Scritti in onore di Luigi Stefanini mostra un uomo di grande spirito: «Chi ne ebbe consuetudine —afferma nella prefazione Giuseppe Flores d’Arcais— non soltanto è in grado di metterne in evidenza le elevate doti dell’animo e della mente, ma anche, e più, è nella possibilità di ricordarne la felice sintesi, dell’uomo e del pensatore, del pater e del magister, che in lui trovò rara, se non unica, realizzazione»1. Come non cercare allora di arricchire noi stessi e gli altri con le sue parole e insegnamenti? Non ne abbiamo per caso bisogno nel nostro tempo?

Questo lavoro cerca di portare alla luce soltanto una delle opere del nostro autore, il suo Personalismo sociale. Quest’opera, scritta nel 1952, quattro anni prima della morte, ci offre un frutto maturo del percorso di Stefanini. Non svilupperemo qui questo percorso, il quale va dallo studio di Platone e la maieutica socratica, passando attraverso i grandi maestri medievali dell’immagine come Sant’Agostino e San Bonaventura, la critica all’esistenzialismo ateo, l’analisi dell’opera filosofica di Gioberti,  per arrivare al 1AA.VV., Scritti in onore di Luigi Stefanini, Liviana, Padova 1960, p. 5. Si veda anche il secondo numero della Rivista di Estetica (1956), interamente dedicato a lui. Personalismo in cui si troverà la sintesi finale del pensiero di Stefanini.
Ci soffermeremo piuttosto sulle proposte del Personalismo sociale, cercando di individuare il nucleo antropologico che gli serve da fondamento e di derivarne le conseguenze per le diverse dimensioni della realtà umana in cui il nostro autore si è interessato nel corso della sua vita, come sono la pedagogia, la morale, la vita sociale e la psicologia. Ci serviremo spesso di altre opere di Stefanini, pur cercando di rimanere nell’ambito del personalismo e quindi dell’elaborazione di pensiero lasciato come conclusione della sua prolifica esistenza.
Identità vs. apertura?

«La formula del personalismo sociale è la seguente: “quanto più discendo in me tanto più trovo gli altri: e quanto più mi apro agli altri tanto più approfondisco me stesso”»3. Discendere in sé, aprirsi agli altri. In queste due espressioni troviamo il nocciolo della proposta antropologica di Stefanini. Nelle pagine della sua opera l’equilibrio fra questi due “momenti” dell’esperienza umana si coglie quasi come una certezza alla quale si fosse naturalmente arrivati in un confronto previo con il proprio mondo interiore. Nessun pregiudizio ideologico dovrebbe far dimenticare che «non c’è dato più certamente sperimentato, non c’è fatto più scientificamente provato di quello che si ricava della nostra interna esperienza»4. Ed è da questa esperienza che Stefanini cerca di trarre la sua teoria della persona.

«Si parte dal sum invece che dal esse». Il punto di partenza —afferma egli stesso all’inizio della sua opera— «è l’esperienza che io ho di me stesso». E che cosa trovo in questa esperienza fondamentale?

Una prima rivelazione è la manifestazione dell’essere, non come manifestazione astratta, ma piuttosto nella concretezza dell’essere in me stesso. Secondo Stefanini già nell’alba della nostra esperienza scopriamo i tratti personali dell’essere in noi: «Io sono l’essere che è in quanto si dice, si afferma, nella sua presenza a se stesso: nucleo ed energia insieme, ma energia intrinseca al nucleo e nucleo intrinseco all’energia; non pensiero dell’essere, ma essere che viene a sé dal suo atto e ha perciò a sé intrinseco il pensiero, pensiero nell’essere: sono, in una parola, persona».

2 Per approfondire questo percorso è molto interessante il volume di Luciano Caimi, Educazione e Persona in Luigi Stefanini, La Scuola, Brescia 1985. 3 Luigi Stefanini, Personalismo sociale, 2da. ed., Studium, Roma 1979, p. 50. 4 Ibid., p. 96. 5 Ibid., p. 29. 6 Ibid., p. 7. Non possiamo dimenticare che per il nostro autore risulta essenziale fondare teoreticamente il personalismo: «Il personalismo sociale va, non solo affermato e divulgato come forza operosa del mondo moderno, ma anche fondato in una sicura coscienza critica dei principi che lo sostengono». E in questo lavoro di fondazione —contro l’astrattismo della modernità e in vicinanza alla corrente esistenzialista— il ricorso all’esperienza occupa un posto centrale.  7 Ibid., p. 9.

La  nozione di persona diventa in questo modo centrale come espressione capace di tenere insieme la doppia dinamicità dell’essere dell’uomo. Crediamo che le due parole  scelte per il titolo di questo lavoro (identità e apertura) possano rispecchiare queste due dimensioni che —anche se non sistematizzate— scopriamo centrali nella proposta del personalismo stefaniniano e di ogni personalismo che voglia rendere giustizia all’esperienza che ogni essere umano fa di se stesso.

Prima di entrare nel vivo dell’analisi delle diverse categorie che per il nostro autore mostrano la complessità del microcosmo personale, ci sembra importante accennare l’attualità di una antropologia che non sia vittima della tentazione più forte del nostro tempo: il ridurre la persona a una delle sue dimensioni, trascurandone le altre. L’universo delle antropologie riduttiviste va dai tentativi di dissolvere la persona nel mare magnum della collettività, alle sperimentazioni —forse più riuscite— di chiudere l’uomo egoisticamente in se stesso. Ma le sfumature fra questi due estremi non sono poche e non sono meno pericolose nelle loro conseguenze. Nei nostri giorni, per esempio, contrassegnati dal cosiddetto pensiero postmoderno, l’esaltazione acritica della differenza potrebbe portare alla dimenticanza del fatto —essenziale per ogni persona— che soltanto posso essere diverso nella misura in cui sono me stesso, quindi nella misura in cui affermo la mia identità propria8.

Ed è appunto il concetto di sostanza come essere “in sé” la prima dimensione che Stefanini recupera nella sua analisi. Qui vediamo il nostro autore in polemica con parte del pensiero tomistico del suo tempo. Sostanza non è per lui un «sostrato di manifestazioni superficiali e accidentali», ma «persistenza dell’essere in sé, nel suo non esse in alio». Questa nozione, afferma nella sua opera, «trova conferma inoppugnabile nel modo d’essere personale che di momento in momento sperimento in me: ché io potrò, dovrò essere in rapporto con altro e con altri e con tutti, in rapporto soprattutto con Colui che mi fa essere, ma io non mi risolverò mai in un modo d’essere dell’essere degli altri, nemmeno in un modo di Dio, e accetterò di essere fondato dal suo potere, ma non mai di essere immedesimato nella sua sostanza»9. Questo ripensare in chiave personalistica (vale a dire mettendo nel centro della propria riflessione la persona e la sua esperienza) diverse nozioni metafisiche, fa parte del compito perseguito dal nostro autore di fondare un personalismo che possa servire di base per una cultura ancora in ricostruzione dopo le stragi di due guerre mondiali.

Ancora sulla scia della sua analisi, Stefanini aggiunge «un’altra nota evidente: l’io si manifesta quale unità e quale identità, cioè quale proiezione dell’unità nel tempo»10. Si vede come l’introduzione del fattore tempo nel definire la nozione d’identità introduca                                                  8 Molte delle parole che oggi animano il dibattito pubblico (identità, dialogo, tolleranza, autorità, ecc.) portano già questa carica riduttiva, frutto di uno svuotamento del loro senso in riferimento alla totalità della persona, e dalla loro ri-definizione in base a “nuove” categorie. Il problema è che queste categorie non cercano un confronto con la realtà della persona (la verità della persona non è più un problema da porsi) ma vengono dettate da coloro che detengono il potere ideologico o culturale. 9 Ibid., p. 10. 10 Ibid., p. 10. Corsive nostre.

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quella dinamicità sperimentata nella “permanenza” della propria unità nella storia. Ci troviamo, quindi, dinanzi a una concezione non statica dell’identità, come potrebbe essere la nozione logica di “A=A”, rendendo così giustizia al fatto che il vissuto personale ci offre la possibilità di superare una falsa identificazione tra identità e staticità.

Risulta interessante vedere anche il corollario essenziale al quale Stefanini arriva: la primalità dello spirituale sull’empirico e sul corporeo. Sono nel tempo e nello spazio, ma nella successione di attimi e nella molteplicità spaziale resto sempre me stesso. «Sono nel mondo e sono nel corpo, ma non mi riduco al corpo in cui mi manifesto e al mondo nel quale vado esprimendo la mia attività»11. E quello che «sperimento in me ad ogni istante» è «la produttività dello spirituale». Sperimento in me un centro che è un centro dinamico, un’attività che non dissipa o disperde l’io ma che lo rende possibile e gli dona la densità e la ricchezza che è capace di manifestarsi non solo nel mondo spirituale, ma anche nel proprio corpo e nell’operare esterno.

Potremmo dire che per Stefanini questo centro spirituale sia identificabile con la ragione, ma vediamo subito che la parola diventa fuorviante nel contesto attuale, dove la ragione viene solitamente identificata con la ragione scientifica o discorsiva. Il nostro autore non aveva nessun problema ad autodenominarsi “razionalista” giacché per lui la ragione «è l’attività che, superando il momento della pura spontaneità e vincendo il particolarismo dell’impressione, dell’emozione, dell’impulso, consente all’io di essere se stesso in tutto quello che pensa, vuole e fa». «Essere razionali —aggiunge— è agire e pensare sempre con tutta l’anima, in modo che ogni mia parola, in ogni mio gesto batta il polso della mia vita totale, come in ogni punto delle mie vene e delle mie arterie batte l’unico ritmo del mio cuore; in modo che dall’ultimo momento della mia vita, se anche essa dovesse essere improvvisamente troncata, tutta la mia vita possa essere giudicata, secondo una legge che sembra ingiusta ma che corrisponde ai canoni d’una giustizia superiore, in quanto divina»12.

Un altro concetto «ben più valido a significarmi nella concretezza della mia esperienza» è il concetto di unicità. Con esso designo il mio essere «una realtà irrepetibile, inconfondibile, che non ha il suo perfetto equivalente in nessun’altra e perciò non si può scambiare, commerciare, barattare»13. La persona è unica, e da questa sua unicità discendono il suo valore, la sua dignità e il suo diritto di aspirare all’immortalità: «Se un supremo amore mi ha amato tanto da costituirmi, non come un particolare accanto ai particolari, non come un granello di sabbia sperduto tra le arene del mare, ma come un unico, di cui un altro identico non ci fu né ci sarà in tutta la storia del creato, questo unico, una volta costituito, non può essere distrutto senza che in quell’amore non venga distrutta la possibilità stessa dell’atto che lo esprime. Una specie di argomento ontologico dell’amore sta alla base della mia pretesa all’immortalità»14.

11 Ibid., p. 11. 12 Ibid., p. 13. 13 Ibid., p. 15. 14 Ibid., p. 17. Insistere su questa dimensione della persona ci sembra fondamentale in una società in cui una specie di “ideologia tecnologica” cerca di imporre sempre con più forza le categorie di

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Arrivati a questo punto, in cui l’intuizione della propria specificità potrebbe comportare il rischio della chiusura solipsista, si apre davanti a noi la presenza di tutto ciò che ci precede, invitandoci ad assumere una portata cosmica, sociale, storica. «Mi precede il mondo e mi colpisce con i suoi stimoli che modificano il mio modo di essere. Non sono me stesso finché non metto dopo di me ciò che è prima di me, cangiando la impressione in espressione e traendo da me un significato della natura fisica che mi circuisce e vorrebbe imprigionarmi… Mi precedono la società e la storia, e giungono a me, da ogni rude traccia segnata su antiche pietre e da forme squisite modellate nel verso nel colore nel marmo, da antiche carte o recenti, da ogni labbro che modula un suono e da ogni volto che si esprime in un sorriso, voci di esseri che parlano come io parlo»15. Queste realtà che mi precedono e quindi trovo dinanzi a me, fanno parte —in qualche senso non soltanto metaforico— di me stesso. La mia situazione nello spazio-tempo storico fa parte della mia identità personale, senza però determinarla.

E fra queste realtà legate intimamente alla mia identità Stefanini riflette specialmente sull’altro, con cui si stabilisce un rapporto di comunione che genera ciò che possiamo chiamare la socialità. Questa dimensione sociale, secondo il filosofo veneto, si deve intendere «come endogena nella persona, non nel senso immanentistico e monistico dell’idealismo assoluto, ma nel senso che la persona contiene in sé la sua destinazione sociale, e nemmeno potrebbe compiersi come persona se contravvenisse a tale sua destinazione»16.

Vi è anche un altro livello di apertura sul quale Stefanini si sofferma: l’apertura alla trascendenza e più precisamente a Dio come quell’Altro personale che fonda e spiega la mia esistenza. Stefanini arriva a Dio partendo dall’esperienza di finitezza che segna l’essere umano ed è evidente a tutti: «Ad occhi aperti, invece, constato che con le estreme propaggini del mio atto non riesco a nutrire le mie radici». In questo modo, per il nostro autore la finitezza dell’uomo «sta tutta in questa incisione tra l’in sé e il per sé». Comunque sappiamo che «per quanto io sia incapace di sostenermi nell’essere con l’atto mio, io persisto e insisto nell’essere, librato nella realtà dell’esistenza per virtù di un potere che è altro dal mio. Ad ogni instante, se non cado nel nulla, io sperimento in me la creazione: la creazione nella pienezza del suo significato, quale relazione assoluta che non dissolve i suoi termini ma li costituisce»17.

A nostro avviso in questo breve passo del Personalismo sociale si intravede l’intuizione fondamentale del nostro autore riguardo al tema che ci occupa in questo lavoro: «Sono sostanzialmente diverso da tutti gli altri per il fatto che sono identico soltanto a me stesso: ed è appunto questo fatto, che mi differenzia da tutti, quello che mi rende simile a tutti, perché tutti sono anzitutto, ciascuno per proprio conto, un’identità con

sostituibilità e ripetibilità (proprie del contesto tecnologico) alle realtà personali. In un contesto simile, il funzionamento del sistema diventa la giustificazione ultima di ogni azione o politica. 15 Ibid., pp. 18-19. 16 Ibid., pp. 49-50. 17 Ibid., p. 20.

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se stessi. La categoria della comunione umana è la similarità, e nella similarità si celebra quella che P. Claudel chiama “la magnifica diversità dei simili”. In quanto sono simili s’avvicinano, s’intendono, si congiungono; in quanto sono diversi ciascuno protegge in sé e rispetta nell’altro la unicità intangibile»18.

Non si può intendere veramente l’uomo estrapolando ingiustificatamente uno dei due dinamismi. Non posso essere me stesso senza aprirmi agli altri e all’Altro, ma non posso vivere la comunione autentica —né con gli uomini né con Dio— se non in virtù della consapevolezza e attuazione della mia identità personale.

L’antropologia che Stefanini svolge nel Personalismo sociale, con tutti i limiti che racchiude ad altri livelli, sa tenere insieme le due dimensioni che abbiamo descritto19, illuminandole persino con ragioni teologiche: «Ben so che sarei eretico se dicessi che la Trinità è una società. Ma certo, per quello che il mistero di sé concede al nostro intendere, s’intende che l’Unico né è solo rispetto agli esseri che può suscitare fuori di sé, né è solitudine nei recessi della sua indivisibile natura. La libera creazione segue ad un’interna generazione, per la quale l’essere in tanto è in quanto si manifesta e si dichiara a se medesimo, e questa automanifestazione determina la consustanziale personalità della sapienza e dell’amore. Tutto ciò che di più alto si avvera in noi reca qualche traccia di codesta sovrabbondanza che si effonde dall’intimità e di codesta intimità che si approfondisce coll’effusione»20.

  1. Conseguenze per la morale

Il personalismo tracciato da Stefanini come “teoria della persona” nella prima parte dell’opera qui analizzata, non rimane senza conseguenze o applicazioni per la vita concreta. Il fatto che lui si sia dedicato senza soluzione di continuità all’approfondimento della pedagogia (ed evidentemente alla sua pratica nell’insegnamento scolastico e universitario), è a nostro avviso un pregio piuttosto che una mancanza: l’uomo non è una teoria, e quindi non lo si capisce senza un contatto diretto di cui il rapporto educativo è un momento privilegiato.

In questo modo, dopo aver concentrato la nostra attenzione su ciò che a nostro parere è l’elemento essenziale del personalismo di Stefanini, vogliamo adesso cercare di illuminare da questo punto di vista alcune dimensioni della vita umana, iniziando dalla vita morale.

Il nostro autore cerca nella sua riflessione di passare da una metafisica della persona a un’etica della persona. E qui, diciamolo subito, il suo impegno sarà rivolto a

18 Ibid., p. 19. 19 Parlando ancora della persona nella sua dimensione sociale afferma: «Una forza di concentrazione la richiama su se stessa per custodire e rafforzare la propria singolarità; un impulso diffusivo la porta fuori di sé per completarsi con ciò che le manca» (Ibid., p. 50). 20 Ibid., p. 51.

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tenere insieme autonomia ed eteronomia della morale, impegno che vediamo essere coerente con le premesse metafisiche sviluppate nella prima parte della sua opera.

«Il fondamento primo della moralità è l’io, con i suoi caratteri di unità, identità, spiritualità, unicità, razionalità e via dicendo. Siamo, sempre e in primo luogo, responsabili verso noi stessi e non potremmo essere responsabili verso nessun altro potere se non ci sentissimo anzitutto responsabili verso noi stessi… La moralità è, quindi, anzitutto, autonomia, cioè autorità che l’io esercita su se stesso, dettando norme a se medesimo, giudicando, condannando, assolvendo se stesso: giudice e parte, nello stesso tempo. Siamo responsabili verso la nostra coscienza»21. In questa sua insistenza preliminare sull’autonomia, Stefanini non fa altro che proseguire la scia di tutta una tradizione cristiana che potrebbe riassumersi nelle parole (da lui citate) di San Bonaventura: «Conscientia habet virtutem ligandi»22, tradizione nella quale il valore della coscienza deriva evidentemente dal valore della persona, creata ad immagine e somiglianza del Creatore e redenta da Dio fatto Figlio dell’uomo. La stessa visione del peccato viene da Stefanini riproposta seguendo questa idea: «Nella vita morale la colpa è incisione del nostro connettivo spirituale, operata dalle nostre stesse mani: et peccatum meum contra me est semper»23.

Ancora una volta il nostro autore è consapevole che questa sua posizione preliminare, in cui il primo enunciato della massima morale è “sii te stesso” o “agisci secondo coscienza”, se presa come una totalità, può portare al solipsismo morale oppure ad un arbitrarismo nel quale si mette in pratica il motto protagoriano: L’uomo è la misura di tutte le cose24. Così, «se l’interna legislazione si rendesse opaca e quindi si chiudesse nell’assolutezza dell’essere finito, essa sarebbe legittimazione di quanto avviene nella contingenza dell’atto umano e giustificazione dell’arbitrio». Ecco perché è fondamentale passare dall’autonomia alla teonomia, la quale per Stefanini «è l’unica specie di eteronomia che, anziché opporsi all’autonomia, la rende necessaria»25. La persona umana è il fondamento della morale, ma la persona umana è un fondamento a sua volta fondato dall’atto di Colui che nel donargli l’essere gli dona anche il suo valore. La creazione diventa in questa prospettiva «esperienza del nostro essere personale il quale, incapace di sostenersi nell’essere per virtù propria, riconosce che la virtù che lo sostiene non si sostituisce ad esso nell’intendere, nel volere, nell’agire. Il concetto e l’esperienza della                                                  21 Ibid., p. 30. 22 In II Sent., dist. XXIX, a.1, q.1. 23 Luigi Stefanini, Personalismo sociale, p. 32. 24 Nell’individualismo e nel relativismo morale dei nostri giorni vediamo l’equivoca estrapolazione di questa autonomia. Essa, intesa in maniera sbagliata come indipendenza da qualsiasi fondamento, lascia la persona inerme e disorientata davanti al potere della cultura imperante. Ma la domanda da porsi adesso è: Sarà l’estrapolazione dell’eteronomia in una morale meramente comunitaria la soluzione al problema che abbiamo davanti a noi? Stefanini ribadisce tra l’altro che «le vie della coesistenza e della comunione con gli altri non sono praticate se non da chi coesista anzitutto con se stesso nel vigore coesivo della sua personalità morale» (L’educazione umana nel sistema esistenzialistico, in Actas del I Congreso Nacional de Filosofía [Marzo 30 – Abril 9, 1949], Mendoza 1950, vol. III, p. 1843). 25 Luigi Stefanini, Personalismo sociale, p. 36.

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creazione costituiscono il vincolo che congiunge e distingue autonomia e teonomia, facendo intendere come l’uomo non possa rispettare la propria coscienza se non venerandola come altare di Dio (sit ara Tua conscientia mea), rendendoci responsabili verso Dio quanto più ci sentiamo responsabili verso di noi e tanto più responsabili verso di noi quanto più ci sentiamo responsabili verso Dio»26.

E la responsabilità verso gli altri? Questa è una domanda che ci è venuta spontanea nello scorrere questa sezione del Personalismo sociale. E siamo dell’opinione che qui ci sia un vero vuoto nelle conseguenze tratte dal filosofo veneto dalla sua posizione metafisica riguardo alla persona. Di fatto, il riconoscimento del proprio valore porta al riconoscimento della dignità dell’altro e viceversa, restando comunque chiaro —e in questo siamo d’accordo con Stefanini— che soltanto l’Altro (con A maiuscola, cioè Dio) può fondare la paradossale “assolutezza relativa” della persona a livello morale27.

Crediamo anche che il nostro autore colpisca nel segno quando afferma che la causa prima della dissoluzione morale del tempo presente sia «lo smarrimento del senso della persona», smarrimento che porta a trasferire indebitamente dalle scienze della natura al senso corrente dell’umana esistenza «un relativismo che dissolve i termini, un funzionalismo che volatilizza il principio, un’energetica che scinde l’atomo in linee di forza»28. «Ma nella vita dello spirito ci sono nuclei che non si possono scomporre senza che si dissolva la realtà morale e umana. Tutto è perduto se l’uomo si sente soltanto il punto d’incontro fortuito di mille traiettorie di cui non può controllare il corso o l’intreccio casuale di mille fila che s’annodano e si sciolgono in un lavoro inutile e fatale»29. E forse questa inutilità e fatalità della vita umana non sono che espressioni della perdita di senso che oggi troviamo come il segno della nostra epoca.

III. Conseguenze per la vita sociale

Siamo nell’Italia del dopoguerra, in una situazione di letterale ricostruzione del tessuto sociale di una nazione. Le ideologie vincenti: il liberalismo e il comunismo, individualista la prima, collettivista la seconda. Si cerca un ritorno alla democrazia dopo lunghi anni di dettatura. Qual è la risposta del pensiero cattolico?

Potremmo parlare del ruolo fondamentale di un De Gasperi e delle forze —a quel tempo compatte— della Democrazia Cristiana, ma ci limiteremmo alle risposte intellettuali che si trovano come sfondo ai cambiamenti. Come afferma Luciano Caimi, in quei tempi «il sempre problematico rapporto tra persona e società aveva avuto significativa composizione nella nostra Carta costituzionale, dove il progetto di democrazia emergente

26 Ibid., pp. 36-37. 27 Questo riconoscimento dell’altro come luogo d’incontro e apertura non solo verso la propria dignità ma anche verso il mistero stesso di Colui che fonda il “volto” dell’altro ci sembra il grande contributo della filosofia di, per esempio, autori come Lévinas o Buber. 28 Ibid., p. 45. 29 Ibid., p. 46.

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mirava, com’è noto, ad armonizzare le istanze del singolo con quelle della comunità, temperando quindi gli eccessi dell’individualismo liberale e del collettivismo marxista»30.

In questo contesto, furono accolte con grande entusiasmo le opere di Maritain e di Mounier, i quali —in Umanesimo Integrale il primo e in Rivoluzione personalista e comunitaria il secondo— facevano una proposta sociale in apparenza conforme all’ideale cristiano di vita. Il gruppo di Gallarate si riunì nel Convegno di 1950 per affrontare questa tematica. In questa sede il nostro autore sviluppò le linee della sua proposta sociale in una relazione intitolata “Persona e società”, diventata poi la terza sezione di Personalismo sociale. Stefanini, che stimava molto l’opera di Mounier, fa al personalista francese ciononostante una chiara critica nell’introduzione di questa opera: «Chi scrive ha grande ammirazione per il personalismo sociale che viene di Francia sotto l’insegna di E. Mounier e fa capo al centro animatore di Esprit. Riconosce che questo movimento è animato da una fede, che è ansia di combattimento e realizzazione. Però ritiene che convenga anche porre un momento d’indugio all’ansia diffusiva, affinché non avvenga che il personalismo sociale, non abbastanza controllato nella sfera dei principi, ammetta con eccessiva facilità accostamenti a tendenze di tutt’altro segno, le quali agiscono purtroppo nel mondo moderno con una forza d’urto che non lascia tempo a riflettere sulla nostra condizione d’uomini e sulle leggi a cui la natura umana deve obbedire per non corrompersi»31. Dinanzi a questa debolezza teoretica dell’opera di Mounier, Stefanini cercherà di «ancorare, meglio di quanto non avesse fatto l’autore transalpino, il personalismo sociale a quello metafisico»32.

Quali, quindi, le conseguenze sociali di una metafisica della persona dove identità e apertura trovano un giusto equilibrio? La prima e fondamentale conseguenza risulta evidente: tenere insieme persona e comunità, respingendo allo stesso tempo l’individualismo e il collettivismo.

Stefanini si confronta in primo luogo con la tesi marxista del primato della comunità sulla persona, secondo la quale “l’uomo è l’insieme dei suoi rapporti sociali”. Secondo il nostro autore la conseguenza di tale tesi sarebbe che «la persona umana risulterebbe un fenomeno di convergenza collettiva, il derivato effimero dell’interferenza di mille fattori ambientali, nella stessa guisa che un fenomeno fisico è il punto d’incrocio di mille linee di tensione, lungo le quali si scarica l’energia cosmica»33. Egli propone quindi la tesi contraria: «Non l’essere sociale determina l’essere umano, ma l’essere umano connota umanamente la società in cui partecipa»34. È interessante notare anche la consapevolezza di Stefanini durante gli anni della Seconda Guerra, quando scrive contro il rischio dell’assolutismo anti-religioso che deriverebbe da una concezione sociale di stampo collettivista: «La prevalenza del collettivo sull’individuale tende alla conquista delle

30 Luciano Caimi, op. cit., p. 210. 31 Luigi Stefanini, op. cit., pp. 1-2. 32 Luciano Caimi, op. cit., p. 211. 33 Luigi Stefanini, op. cit., p. 47. 34 Ibid., p. 47.

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coscienze ad una suprema idealità accentratrice della comunità popolare, nell’orbita della quale non trova posto una professione religiosa, quale idealità concorrente e rivale»35.

D’altra parte, ad una concezione sociale di stampo individualista si contrappone direttamente quella “vocazione sociale” della persona, di cui abbiamo già parlato prima e che Stefanini sviluppa a lungo nella sua opera. Il filosofo veneto fa anche una distinzione —presente già in altri autori cattolici come, per esempio, Jacques Maritain— fra persona e individuo. «Questa concezione personalistica —afferma— differisce dall’individualismo e dal liberalismo politico quanto la persona differisce dall’individuo. Stabilito che l’individuo è il soggetto particolare di beni sensibili e la persona è il soggetto singolare di valori universali, s’inferisce che la società è preordinata all’individuo come la persona è preordinata alla società. Tutto ciò che è permutabile nell’ordine dei beni sensibili deve essere subordinato dal privato al bonum commune; ma non può essergli subordinato quello che non sopporta permuta o baratto, in quanto non è merce o moneta, ma dignità. Da questo punto di vista, il bonum commune coincide esattamente coll’espressione, l’esercizio e la preservazione dei valori della persona umana»36.

Ed è anche su questa base metafisica che si può proporre un’autentica democrazia. Per Stefanini, la «legittimazione di un ordinamento sociale democratico della società» si fonda sul «concetto dell’universale comprensività dell’ordine sociale in ogni singola persona», concetto che si può riassumere in queste parole: «per ogni persona passa tutta la società»37. Nel socialitarismo personalistico (come Stefanini denomina la sua proposta sociale), è fondamentale che la persona «permanga nel tutto» con la sua specificità e con la sua azione. Così, «l’unità articolata della molteplicità e la partecipazione vitale di ogni elemento alla comunità organica restano le qualità istituzionali della democrazia»38.

Senza dilungarci troppo sulle diverse intuizioni di Stefanini riguardo alla società e al suo rapporto con la persona, vorremmo soltanto soffermarci su due idee, a nostro avviso di grande attualità, della proposta sociale del nostro autore.

La prima è questa: «nessuna società umana si costituisce se non in forma personale»39. Una simile intuizione mostra tutta la sua ricchezza nell’odierno dibattito intorno alla “personalità” delle diverse culture. Questo non vuol dire —e lo vedremo chiaramente più avanti— che non ci possa essere una società spersonalizzante. Semplicemente significa che nell’atto di convivenza sociale la persona «imprime il suo segno di unità e singolarità sulla molteplicità umana consociata», creando in questo modo diverse individualità specifiche che si trovano tra il singolo e l’umanità. Esse hanno un proprio stile, il quale «a sua volta, non dilania il tessuto dell’umanità, ma lo rende prezioso con la nota della differenza armonica»40. Stefanini parla nella sua opera della famiglia e

35 Luigi Stefanini, La Chiesa Cattolica, 2da. ed., Morcelliana, Brescia 1952, p. 302. 36 Luigi Stefanini, Personalismo sociale, p. 49. 37 Ibid., p. 53. 38 Ibid., p. 55. 39 Ibid., p. 55. 40 Ibid., pp. 55-56.

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della nazione, ma potremmo anche parlare delle diverse “culture”, segnate da uno stile proprio che si esprime nelle tradizioni artistiche, linguistiche, sociali, ecc.

A nostro avviso una concezione della diversità culturale in questi termini eviterebbe sia la tendenza ad appiattire ogni differenza culturale, sia quella ad assolutizzare le differenze con la conseguente incomunicabilità fra culture diverse. Un’altra volta viene in primo piano l’importanza della nozione di somiglianza di cui abbiamo già parlato, in quanto accomunante e diversificante allo stesso tempo.     La seconda intuizione su cui ci soffermiamo traspare in queste parole del nostro autore: «La formula, la legge, l’istituzione, le così dette strutture impersonali del vivere sociale, sono tutte contenute nel “sabato” evangelico, e per tutte vale la parola del Cristo che il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il Sabato»41. Stefanini vede nel pensiero contemporaneo (parla di Heidegger, Berdiaeff, Marcel) la consapevolezza e la denuncia del progredire di forze spersonalizzanti nella società. Dinanzi a questa realtà, però, egli si domanda: «Ne accuseremo, dunque, la tecnica? l’industria?»42, e più avanti: «Dovremmo abolire l’industria e ritornare all’artigianato per salvare la persona?… Dovremmo abolire le banche per salvarci della estraniazione della moneta?»43. No, è la risposta del nostro autore, ma «bisogna che l’utensile resti nelle mani dell’uomo»44.

Il problema sarebbe il capovolgimento del rapporto: cioè, la subordinazione della persona con i suoi aneliti più profondi ad esigenze economiche, politiche o sociali che siano. In questo senso la posizione di Stefanini riguardo alla tecnica è molto interessante: «Anche qui la formula evangelica è risolutiva. La tecnica è per l’uomo, è gloria dell’uomo, è accrescimento di agi, risparmio di fatica bruta. Essa deve rimanere, come le sane abitudini, strumento dello spirito, limitando la sua efficacia alla sfera di sua competenza, senza imprimere il marchio del prodotto industriale su ciò che l’arte, la scuola, la religione, la psicologia elaborano con mezzi propri»45.
Conseguenze per l’educazione

«Quando si fa scuola, ci si sente sempre bene». Con queste parole si rivolgeva Stefanini a un suo collega poco prima della morte precoce46. Esse rivelano l’importanza che ebbe sempre per lui l’insegnamento e l’approfondimento nella dinamica educativa. Come afferma Giuseppe Flores d’Arcais, la pedagogia «diventa elemento essenziale per la chiarificazione non soltanto teoretica, bensì anche pratica, anzi, pragmatica di quel 41 Ibid., p. 64. 42 Ibid., p. 64. 43 Ibid., p. 64. 44 Ibid., p. 63. 45 Ibid., p. 64.
Nel dibattito attualmente in corso intorno alla tecnologia e le sue conseguenze, sarebbe saggio ricordare alcune parole del filosofo veneto: «I mostri che l’uomo ha nutrito del suo stesso vigore e ha scatenato nella vita sociale debbono essere ricondotti in suo dominio e piegati alla volontà energica e retta dell’uomo» (p. 65). 46 Cf. Anna Maria Checchini, Luigi Stefanini, maestro, in Scritti in onore di Luigi Stefanini, p. 43.

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concetto di persona, alla cui indagine lo Stefanini aveva dedicato l’attività dei suoi ultimi anni, nel tentativo di un autentico superamento della problematica idealistica in una prospettiva compiutamente cristiana»47. Ogni pedagogia ha alla base un’antropologia, e ogni antropologia cerca di farsi concreta in una proposta pedagogica. Vediamo, dunque, alcune conseguenze pedagogiche comportate dalla visione dell’uomo che abbiamo cercato di esporre prima.

Stefanini assegna all’educazione un compito fondamentale nel combattere quello «smarrimento del senso della persona» che, come abbiamo visto, viene da lui considerato il nucleo della crisi dei nostri giorni. «Il compito dell’educazione nell’attualità —scrive nel 1954— è il ricupero dei valori per mezzo del ricupero della persona. L’uomo moderno va invitato a non tradire se stesso nella sua scelta»48. E possiamo dire che in questo invito il nostro autore scopre l’essenza dell’educazione stessa: essa sarà sempre un rapporto tra l’insegnante e lo scolaro, il quale viene invitato ad una autentica libera crescita come persona49.

Risulta molto interessante come nel giovane Stefanini si vedano già tracce delle sue intuizioni più importanti sul rapporto educativo. Così, ad esempio, nel 1927 «il giovane studioso reputava opportuno precisare che nel rapporto tra docente e discente occorre non tanto credere di poter pervenire a una “sintesi” (per l’appunto impossibile), quanto fare in modo che ciascuno, nel reciproco vincolo di carità, custodisca e sviluppi la propria fisionomia spirituale. In simile prospettiva risultava perciò plausibile anche per lui la tesi, cara a Lombardo-Radice, dell’educazione come apostolato, mentre gli appariva inaccettabile quella sorta di “nirvanismo” attualistico tra maestro e alunno, a seguito del quale si dimentica che “educare o essere educato è diventare pienamente se stessi, nutrendosi della verità e del bene che è di tutti, perché è di Dio”»50.                                                 
Giuseppe Flores d’Arcais, La pedagogia di Luigi Stefanini, in Scritti in onore di Luigi Stefanini, pp. 171-172. 48 Luigi Stefanini, Personalismo educativo, Fratelli Bocca Editori, Roma 1955, p. 29. Nella stessa opera, il nostro autore richiama l’attenzione un’altra volta sul funzionalismo e la missione che l’educazione deve realizzare nei suoi confronti: «Il compito più grave della educazione ai giorni nostri è di affrontare una situazione spirituale diffusa per cui il singolo, non sentendosi più nucleo di dignità e responsabilità, si funzionalizza sul piacere, sull’emozione, sull’affare, sul guadagno, sul fine contingente che lo attrae e lo assorbe, sul dispositivo burocratico che lo imprigiona, e accetta la condizione con abbandono languido e rassegnato o con leggerezza dilettantistica o con la protervia consapevole di chi non ha più nulla di sacro da custodire in sé, perché ha faustianamente venduto l’anima al diavolo. L’essenza del funzionalismo, appunto, è l’anima ridotta, da dignità senza prezzo, a merce da potersi barattare; e quando l’anima si vende non si può venderla che al diavolo. A Dio l’anima non si vende, si dona» (p. 20). 49 «E perciò possibile concludere riconoscendo che l’educazione è, secondo il Cristianesimo, arricchimento e potenziamento dell’essere con l’esercizio della libertà, ed è perciò perenne innovazione per ogni persona che, nella sua singolarità, aderisce e acconsente. Non si tratta di intendere l’educazione come accettazione inerte di forze naturali, o come semplice potenziamento di esse, ma si tratta di una vera crescita spirituale, di quell’autentico guadagno personale che si compie anche, anzi soprattutto, nella obbedienza: l’obbedienza alla legge, in quanto obbedienza all’Essere» (Giuseppe Flores d’Arcais, op. cit., p. 179). 50 Luciano Caimi, op. cit., p. 48.

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Appare ancora una volta il binomio che abbiamo cercato di mettere a fuoco in questo lavoro: identità e apertura, questa volta impostato nel rapporto pedagogico. E la risposta del filosofo veneto sarà ancora la stessa: «La proporzione tra l’approfondimento personale e la diffusione sociale non è inversa, ma diretta»51. E questo criterio è da applicarsi sia all’allievo sia all’educatore: «La mancanza del senso sociale nell’allievo (insocialità) deriva da un eccesso d’individualismo o da un difetto di personalismo»52. «La “estroversione” non caratterizza il tipo ideale dell’educatore, se non è assunta congiuntivamente con la “introversione”. Il processo transitivo è in proporzione diretta col processo riflessivo, la diffusione con la concentrazione»53.

Nella sua opera più importante di pedagogia —Il rapporto educativo. Proemio alla scienza dell’educazione— Stefanini si rivela consapevole del rischio di cadere in false antinomie quando si studia il rapporto tra insegnante ed allievo: «Alla base del problema che ci interessa, dunque, si accumulano istanze contraddittorie, ognuna delle quali, presa a sé, varrebbe a costituire sistemi filosofici e programmi educativi, necessariamente incompleti, unilaterali»54. E dopo interessanti analisi di alcuni elementi di questo rapporto, come la parola, il pensiero, la realtà sensibile e l’immagine, il filosofo veneto cerca di risolvere l’apparente contraddizione, corrispondente nel piano educativo a quella fondamentale tra identità personale e apertura agli altri nella comunione del piano antropologico: «L’insegnamento particolarizza il sapere negli individui. —L’insegnamento esige fusione e identità delle anime. —Queste proposizioni contraddittorie, che al principio del capitolo furono ricavate da osservazioni superficiali, ora invece, dopo che fu approfondita l’indagine, si manifestano quali espressioni imperfette di due esigenze che si conciliano nell’altra proposizione: —L’insegnamento presuppone una reale molteplicità delle anime e la loro comunione attraverso il segno sensibile. —È vero che non esiste un pensiero impersonale, che non sia atto di una mente, particolarizzato in essa; ma d’altronde esiste la possibilità di partecipare un pensiero da una mente all’altra, sincronizzandole nella pulsazione della medesima vita interiore. È vero che questo risultato non è ottenuto se non con un’intima comunione delle anime; ma d’altronde questa comunione non importa fusione e identità, anzi presuppone la distinzione»55. Distinzione e comunione che sono il segno del vero amore, in cui Stefanini vedrà la perfezione della vita e dell’educazione stessa. «Ci educhiamo in quanto amiamo e siamo amati»56. Non si esclude l’amore verso

51 Luigi Stefanini, Personalismo educativo, p. 10. 52 Ibid., p. 10. 53 Ibid., pp. 11-12. 54 Luigi Stefanini, Il rapporto educativo. Proemio alla scienza dell’educazione, CEDAM, Padova 1932, p. 139. 55 Ibid., p. 152. Luciano Caimi ha ribadito rispetto a quest’opera di Stefanini che «sulla scorta di analisi fenomenologiche e teoretiche circa l’irrepetibile originalità dei singoli spiriti e la propensione all’apertura reciproca, lo Stefanini ribadiva, in perfetta sintonia con idee svolte sin dal primo confronto critico con l’attualismo, sia la necessità di tutelare nel rapporto educativo la distinzione fra educatore ed educando sia l’esigenza di rinsaldare la loro intima comunione» (Luciano Caimi, op. cit., p. 87).  56 Luigi Stefanini, Il rapporto educativo, p. 155.

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se stesso, tante volte messo in opposizione all’amore verso gli altri, anzi, si parte da esso57: «Se ci amiamo veramente, amiamo ciò che in noi consona con la vita più alta dei nostri simili: ciò che è vero ed è bene. D’altronde, se ci educhiamo amando, con lo stesso processo, senza nulla mutare o invertire, educhiamo anche gli altri, in quanto ne siamo amati… Non facciamo mai il bene per noi soli, ma ci educhiamo educando, perché la perfezione della vita è amore»58. E il cerchio dell’amore si chiude un’altra volta con l’equilibrio, giacché il soggetto «mentre cerca se stesso, deve cercare altro da sé; mentre conosce se stesso e per conoscersi veramente deve conoscere i suoi simili e Dio»59.

Conclusione

Dopo questo percorso, senz’altro sommario ed incompiuto, possiamo avviarci ad una conclusione semplice ma a nostro avviso essenziale date le circostanze culturali dei nostri giorni. Come abbiamo cercato di mostrare, per Luigi Stefanini non c’è opposizione fra vera identità ed apertura autentica della persona. Anzi, non soltanto non c’è opposizione, ma c’è un rapporto di proporzione diretta fra una dimensione e l’altra, e questo a tutti i livelli della vita umana.

Crediamo che mettere al centro dell’attenzione odierna questo rapporto e le sue conseguenze sia essenziale per contrastare quello “smarrimento del senso della persona” già tante volte menzionato lungo questo lavoro come il nocciolo del dramma culturale che oggi viviamo.

Vogliamo, dunque, concludere ripetendo quella che Stefanini chiama “la formula del personalismo sociale”, che rappresenta secondo noi il contributo essenziale di quest’opera, in quanto indirizzato alla radice del problema antropologico: «Quanto più discendo in me tanto più trovo gli altri: e quanto più mi apro agli altri tanto più approfondisco me stesso»60.

57 Non poche volte, infatti, ci si dimentica la totalità del secondo comandamento dell’amore cristiano: «E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22, 39).  58 Luigi Stefanini, op. cit., pp. 155-156. 59 Ibid., p. 153. È inoltre interessante ciò che segnala Luciano Caimi riguardo a un altro angolo del rapporto, non poche volte messo pure in opposizione: «Lo Stefanini precisava quindi che l’amorevolezza del rapporto interpersonale, la quale dovrebbe essere particolarmente intensa in famiglia, costituisce anche la condizione necessaria per avviare a soluzione l’antinomia pedagogica di autorità e libertà» (Luciano Caimi, op. cit., p. 55). 60 Luigi Stefanini, Personalismo sociale, p. 50.

Bibliografia

LUIGI STEFANINI, Personalismo sociale, 2da. ed., Studium, Roma 1979.

LUIGI STEFANINI, Il rapporto educativo. Proemio alla scienza dell’educazione, CEDAM, Padova 1932.

LUIGI STEFANINI, La Chiesa Cattolica, 2da. ed., Morcelliana, Brescia 1952.

LUIGI STEFANINI, L’educazione umana nel sistema esistenzialistico, in Actas del I Congreso Nacional de Filosofía (Marzo 30 – Abril 9, 1949), Mendoza 1950, v. III.

LUIGI STEFANINI, Personalismo educativo, Fratelli Bocca Editori, Roma 1955

LUIGI STEFANINI, Personalismo filosofico, Morcelliana, Brescia 1962.

AA.VV., Scritti in onore di Luigi Stefanini, Liviana, Padova 1960.

LUCIANO CAIMI, Educazione e Persona in Luigi Stefanini, La Scuola, Brescia 1985.

ARMANDO RIGOBELLO, Il personalismo, 2da. ed., Città Nuova, Roma 1978.

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