“Nella partita contro il bene, il male parte sempre in vantaggio grazie all’antica confidenza con la fragilità dell’uomo”. Questo concetto di Cassano fa da guida ad un ragionamento che ci riguarda come persone che si offrono di curarsi personalmente e di curare i limiti che attraversiamo verso la salute esistenziale.
Bastano alcune minoranze illuminate per salvarci? Parrebbe di no, stando all’inarrestabile discesa verso l’inferno dei viventi di questa epoca e che ci vede spesso spettatori inermi, e qualche altra volta anche protagonisti attivi.
Primo Levi è stato uno dei più lucidi protagonisti della narrazione dell’inferno dei viventi lo scorso secolo. Nel suo “I sommersi e i salvati” ricorda come nei lager nazisti chiunque si ribellasse, sotto qualsiasi forma, era eliminato per primo. Il senso di vergogna che ha distrutto la vita anche di chi è stato liberato dall’arrivo delle truppe sovietiche di allora sta anche nell’aver vissuto questo martirio dei migliori. Tutti i migliori sono stati sommersi e la vergogna e la colpa dei sopravissuti è proprio questa: qualcuno è morto prima di loro e ha reso i salvati ancora più deboli e annichiliti. Questa vergogna atavica che ci accompagna è destinata a durare per tutto il tempo in cui la debolezza umana darà ragione al potere dei più violenti e prepotenti e non al senso di giustizia dei giusti.
Il Grande Inquisitore di Dostoevskij né “I Fratelli Karamazov” rimprovera a Gesù, ritornato in mezzo agli uomini e fatto prontamente arrestare, di aver scelto la salvezza solo per alcuni santi e di aver lasciato al loro destino la maggioranza degli uomini. Anche il Grande Inquisitore era sulla via dei santi, ma vedendo dietro di se la folla immensa degli uomini lasciati indietro ha scelto di ritornare verso di loro e di non lasciarli soli. Egli è stato giusto con gli uomini, non Dio.
Certo, gli uomini sono umili, hanno bisogno di sognare e di sperare, sono superstiziosi e adoranti e cercano un potere che li guidi. E’ così che il Grande Inquisitore ha assunto il potere sugli uomini, consentendo loro di rimanere nella fanciullezza e di assumere come eroi i rappresentanti di ogni volgare rappresentazione del potere.
Non basta che chi possiede le virtù fissi il proprio sguardo solo sul bene e si accontenti di andarci.
“Se essere significa sempre dover essere, questo porta a isolarsi rispetto agli altri che ci stanno intorno e consegnare alla sconfitta la maggioranza degli uomini.” Cassano prosegue il suo ragionamento prendendo in esame due pensatori che hanno contribuito il secolo scorso a delineare strategie opposte rispetto a come approcciarci alla natura umana, Theodor Adorno e Arnold Gehlen.
La capacità di autodeterminazione degli uomini è un assoluto oppure non lo è? La risposta a questa domanda non è accademica, poiché mette in moto visioni diverse nei due pensatori.
Secondo Gehlen “l’uomo è un essere organicamente manchevole”. Rispetto agli altri animali “ha un costante bisogno di istruzioni che gli consentono di rendere stabile la sua condotta” e Adorno concorda con lui che “l’uomo non è fissato una volta per tutte in una struttura invariante, ma è costretto ad impegnarsi costantemente nella costruzione della realtà che lo circonda.” Gehlen sottolinea che gli esseri umani tendono ad affermare la propria soggettività ed hanno l’ambizione di essere qualcuno, e questo giustifica la nascita di istituzioni che siano dotate del potere necessario di controllo affinché non ci sia un eccesso di soggettività a scapito di tutti gli altri. Le istituzioni devono avere un potere forte, carismatico e indirizzare i comportamenti delle masse. Si può tranquillamente affermare che questa visione si è realizzata nel corso degli ultimi decenni nelle civiltà dello spettacolo, dove i più mediocri e i più spregiudicati hanno le vetrine più usate e visibili e orientano il resto degli uomini a un consumo sempre più compulsivo di cose e di rapporti umani.
Ma anche Adorno non è esente da appunti. “Pur ammettendo la capacità degli uomini di autodeterminarsi, non credeva che essi si prendessero la libertà di farlo, ma pensava che tale libertà occorresse loro darla”.
Chi si occupa della cura umana ha materiale su cui riflettere. Chi è l’uomo che abbiamo in mente di curare? Che libertà possiede? C’è qualcuno che deve dargliela? C’è un Grande Inquisitore dentro i curanti? Se così fosse, i terapeuti li accompagnano nel diventare adulti o rappresentano la figura del Grande Inquisitore che si accontenta di lasciarli nell’eterna fanciullezza?
Franco Cassano- L’umiltà del male- pagg. 93- € 14,00-Laterza 2011