Armando Rigobello
1. Genesi e significato del termine persona
La parola persona non ha un’origine filosofica. È un termine latino con cui si indicava la maschera teatrale. Gli attori nell’antichità classica indossavano una maschera, anzi più maschere a seconda dei sentimenti che dovevano esprimere, e attraverso di esse la voce per-sonat, risuona e si amplifica. Il termine greco è prósopon, anch’esso designa un atteggiamento: lo sguardo rivolto in avanti. Un’altra espressione greca che indica la persona è ipòstasis, il substrato, ciò che sta sotto. Quest’ultimo significato avrà uno sviluppo anche sul piano filosofico: ciò che sta sotto è sub-stantia, sostanza. In ogni modo, ciò che prevale è il significato di proiezione verso l’esterno, un modo di presentarsi, di esprimersi.
Il termine persona acquistò un significato più profondo, interiore, nel contesto teologico che si andava elaborando nei Concili dei primi secoli cristiani. I Vangeli raccontano una vita, quella di Cristo, e annunciano un messaggio di salvezza, occorreva tradurre in termini concettuali i contenuti della fede attraverso una formulazione precisa, definendo le verità rivelate. Si rese necessario il ricorso alla terminologia filosofica greca e alle sottigliezze concettuali della cultura ellenistica. Ciò avvenne soprattutto a proposito del chiarimento della realtà di Cristo: un’unica persone e due nature, e della ancora più ardua questione relativa alla Trinità: tre persone uguali e distinte. Il dibattito in seno ai primi Concili ha quindi spostato, senza tuttavia cancellarlo, il significato di persona come manifestazione esteriore: la maschera, il volto, lo sguardo, l’atteggiamento, per avvicinarsi al nucleo genetico della personalità, ossia alla genesi interiore di ciò che è compiutamente umano in noi. Una frase di S. Giovanni Damasceno è forse quella che più adeguatamente condensa le conclusioni speculative del dibattito dei primi secoli: “persona è chi, esprimendo se stesso per mezzo delle sue operazioni, porge di sé una manifestazione che lo distingue dagli altri della sua stessa natura” (Dialectica, c. 43, PG 94, 613).
La considerazione di S. Giovanni Damasceno riassume i vari elementi che erano andati emergendo dall’uso del termine persona: l’espressione di una realtà interiore sottesa, mediata staticamente dalla “maschera” ed attivamente manifestata attraverso le facoltà proprie dell’uomo. Tale manifestazione, da un lato, accomuna il soggetto umano ai propri simili, dall’altro introduce nell’espressione di sé una nota di irrepetibile singolarità. Gli sviluppi successivi del concetto di persona da un lato approfondiranno l’indagine sulla costituzione ontologico-metafisica del soggetto umano, dall’altro ne preciseranno la rilevanza intersoggettiva sul piano della comunicazione e su quello della sua formulazione giuridica.
La celebre definizione di Boezio: “persona è una sostanza individuale di natura razionale” (persona est naturae rationali individua substantia, in De duabus naturis et una persona Christi, c. 3, PL 64, 1345) esprime efficacemente le dimensioni filosofiche della realtà personale e, allo stesso tempo, ne evidenzia il paradosso e l’enigma. Le dimensioni sono quelle della costituzione ontologico-metafisica, della singolarità psicologica ed estetica, della conseguente libertà e responsabilità. Il paradosso e l’enigma consistono nella compresenza di universalità razionale e di singolarità irrepetibile, di necessità logica e di libertà.
2. La dimensione ontologico-metafisica
La costituzione ontologica e quindi metafisica della persona emerge chiaramente da molte affermazioni di San Tommaso d’Aquino, ne citiamo qualcuna: “Persona significa ciò che è il più perfetto nell’intera natura, cioè la sostanza in una natura razionale” (Persona significat id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet substantia in natura rationali, S. Th., I, q. 28, a. 3). La definizione si precisa ulteriormente: “Tutto ciò che di razionale ed intellettuale esiste in una natura è persona” (Omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est persona, Cont. Gent., IV, c. 35). Lo statuto ontologico e metafisico della persona risulta quindi definito: realtà sussistente, dotata di ragione e di intelletto. Di conseguenza, la persona è capace di agire liberamente superando la dinamica necessitante dell’istintività. Ciò può essere detto anche con la formula del diritto romano del Codice giustitnianeo: è persona chi è conscius sui, autocosciente, e compos sui, ossia padrone dei propri atti e quindi responsabile.
Questa è la dottrina classica sulla persona che ci delinea la condizione umana nel suo “dover essere” (ciò che ha il diritto di essere per sua natura), anche se nel concreto esercizio della sua esistenza l’uomo può, per deficienze oggettive o per emergenze irrazionali, trovarsi in condizione di privazione, in uno stato di semplice “essere di fatto”. Qui si inserisce il discorso sulla natura decaduta, sul dramma della colpa, sulla possibilità di redenzione. Antonio Rosmini nella Filosofia del Diritto, su cui ci soffermeremo più innanzi, distingue persona umana da natura umana, la prima è “il principio supremo” delle operazioni dell’uomo, la seconda si estende all’aspetto corporeo e alle attività secondarie. Natura e persona tuttavia sono “intimamente legate” (Diritto derivato, cap. III, com. 53). L’attività spirituale intelligente e libera vive all’interno di un contesto psicofisico che ne limita l’autonomia. Una indiretta conferma che la dottrina della persona è complessa e incompatibile con una concezione metafisica immanentistica, viene dalla affermazione di Spinoza che ne sottolinea l’oscurità e ritiene che sia un espediente dei teologi per spiegare quello che non comprendono (Cogitata metaphisica, II, c. 8).
3. Strutture e singolarità
Persona e natura umana sono “intimamente” connesse ma non coincidono, a meno che la chiara distinzione concettuale sia di fatto superata dal concreto esercizio della soggettività propria. Dalle definizioni si passerebbe alle descrizioni, dalle dottrine alla fenomenologia. Di ciò comunque si può ancora dare una spiegazione teorica: la nota qualificante della insuperabile singolarità personale. Duns Scoto giunge a dire che la persona è incommunicabile, naturalmente nella sua essenza, essa è ultima solitudo (Rep. Par., III, d. I, q. 1, n. 4). L’espressione della persona è, d’altra parte, un’esigenza ineludibile, anche se la comunicazione non può essere mai esaustiva, spesso è comunicazione interrotta o trasfigurata nella creazione artistica, nell’evasione onirica, nella gestualità allusiva o nell’uso simbolico del linguaggio. La connessione tra il nucleo metafisico, interiore della persona e le sue manifestazioni è stata variamente spiegata attraverso la “materia signata”, come “principio di individuazione” in San Tommaso; il “sentimento fondamentale corporeo” in Rosmini; la distinzione di Husserl tra Körper, il corpo fisico, e Leib, il corpo vissuto. Le indagini sulle manifestazioni della persona caratterizzano l’ampia area delle scienze umane dalle ricerche psicologiche e psicanalitiche alle analisi linguistiche, dalla sociologia alla bioetica e investono la problematica educativa.
La riflessione sulla centralità della persona ha dato vita, nei decenni centrali del secolo XX, a varie correnti personalistiche. Citiamo alcune posizioni emblematiche. Per Max Scheler, ad esempio, la persona non può ridursi ad essere semplice “punto di partenza di atti personali”, non è pura sostanza, quanto piuttosto “l’unità, immediatamente vissuta del vivere spirituale, non già cosa pensata dietro e fuori l’immediatamente vissuto” (Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 160). Luigi Stefanini approfondisce il discorso insistendo sulla singolarità presente in ogni manifestazione della persona. Il nucleo speculativo del suo pensiero si riassume nell’enunciato: “L’essere è personale e tutto ciò che non è personale nell’essere rientra nella produttività della persona, come mezzo di manifestazione e comunicazione delle persone” (Personalismo sociale, p. 7). Si può ricordare anche l’opera di Karol Wojtyla, Persona e atto. Pur entro un quadro sistematico aristotelicotomista, si risale dall’atto alla persona, anzi si coglie nell’esperienza originaria dell’atto lo statuto ontologico della persona e se ne esplicitano gli esiti nella dinamica della stessa vita morale.
Sul piano speculativo, ed insieme etico-politico, ci limitiamo ad indicare le due più note forme di personalismo: un personalismo in senso lato, cui può essere ricondotta la posizione di Maritain e il suo Umanesimo integrale, e un personalismo in senso stretto che potremmo individuare in E. Mounier nel movimento “Esprit”. Mentre nel primo caso la concezione della persona ha una chiara base classicotomista, nella seconda la persona viene concepita come interiorità dinamica che si intuisce in forma originaria nella esperienza esistenziale situata storicamente. Vi si può notare qualche affinità con la posizione di Scheler. Entrambe le due forme di personalismo, ampio e ristretto, che convergono in un comune orientamento di fondo, si differenziano per il differente modo di valutare la legittimità e la funzione dei livelli intermedi della stessa struttura intellettuale della persona (intuizione, attività discorsiva, inizio del discorso) e della società (corpi intermedi, forme di democrazia).
La prospettiva di Emmanuel Mounier ha avuto un singolare sviluppo speculativo in Paul Ricoeur che, pur rimanendo fedele all’ispirazione personalista, intende realizzarla con strumenti metodologici tipici del pensiero contemporaneo (filosofia analitica, psicanalisi, ermeneutica) giungendo a posizioni di notevole interesse per le questioni emergenti nelle scienze umane, soprattutto in relazione alle dinamiche della soggettività. Esse vanno studiate con il rigore del metodo scientifico che le caratterizza ma con l’avvertimento (l’attestazione della coscienza) che ogni struttura, e la stessa configurazione concettuale della nozione di persona, lasciano fuori dal proprio ambito la “parte più intima e più fragile” di noi stessi. Il nucleo profondo dell’interiorità personale sfugge alla presa della ricerca analitica. Occorre una “rottura metodologica” che, ai limiti della conoscenza scientifica, apre la strada della interpretazione: dal metodo trascendentale o da quello analitico occorre passare al metodo ermeneutico e correre il “bel rischio” dell’interpretazione (Fedone, 114 d 6).
4. Considerazione conclusiva
Le dimensioni speculative della persona delineano un preciso statuto teoretico organicamente connesso con la dimensione morale, investono quindi e necessariamente la condizione etica intersoggettiva, pubblica, giuridica e sociopolitica. Possiamo rilevare la complessità di questa situazione speculativa con due riferimenti: la concezione della persona in Kant e in Rosmini. Il rispetto (Achtung) della persona è l’unico elemento contenutistico della filosofia morale kantiana, espressa in una delle celebri enunciazioni dell’imperativo categorico: “agisci in modo tale da trattare l’umanità, nella tua persona come in quella di qualsiasi altri, sempre e contemporaneamente come fine e non come mezzo” (Fondazione della metafisica dei costumi, ed. Acc. Berlino, IV, 429). La persona in quanto fine e non mezzo, non ha un prezzo, ma dignità. Non può essere merce di scambio. Una analoga dottrina la troviamo, arricchita da una profonda spiritualità cristiana, in una celebre pagina della Filosofia del Diritto di Antonio Rosmini: “se dunque la persona è attività suprema per natura sua, è manifesto che si deve trovare nell’altra persona il dovere morale corrispondente di non lederla, di non fare pure un pensiero, un tentativo volto ad offenderla o sottometterla, spogliandola della sua supremazia naturale, come si scorge applicando il principio morale da noi stabilito ‘di riconoscere praticamente le cose per quello che sono’. Dunque la persona nella sua natura stessa ha tutti i costitutivi del diritto: essa è dunque il diritto sussistente, l’essenza del diritto” (cit. Cap. III, art. 48-52). Poco prima Rosmini aveva affermato che il lume della ragione, essendo alla base della persona il principio personale “è principio naturalmente supremo, di maniera che niuno ha il diritto di comandare a quello che sta ai comandi dell’infinito” (ibid.). La fondazione metafisica della persona diventa così principio di precise garanzie di ordine giuridico e, in senso lato, politico.
Occorre comunque ricordare che, come osserva il Rosmini, la persona non è tutto l’uomo. Una serie di sue manifestazioni e conseguenti atteggiamenti vanno quindi accuratamente studiati nell’ambito delle scienze umane, secondo i principi autonomi di tali discipline. I risultati di queste ricerche (psicologiche, psicanalitiche, bioetiche, sociologiche) vanno tuttavia valutati in necessaria connessione con valori espressi nelle posizioni di Kant e di Rosmini, che potrebbero essere anche di San Tommaso e di molti considerati nel corso di questa “voce”.
Riferimenti bibliografici
J. MARITAIN, La persona e il bene comune, ed. it., Morcelliana, Brescia 1948.
M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, ed. it. a cura di G. Alliney, Bocca, Milano 1944.
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AA.VV., Lessico sulla persona umana, a cura di A. Rigobello, Studium, Roma 1986.
P. RICOEUR, La persona, a cura di I. Bertoletti, Morcelliana, Brescia 20023.