La formazione che non serve

Dal 2002 l’obbligo di avere i crediti formativi nel personale sanitario ha costretto molti colleghi
che operano nei servizi pubblici, e che continuano la loro formazione professionale col Ruolo Terapeutico, a frequentare anche molti corsi di formazione/aggiornamento indetti dalle loro stesse aziende sanitarie esclusivamente col fine di avere i fatidici 5 o 10 punti.
L’interesse testimoniato per quei corsi è stato assai labile, quasi tutti i nostri colleghi sostengono che quella non era formazione terapeutica, che al massimo si presentavano relazioni scritte su qualche problema medico e che la psicologia era assai scarsamente presente.
Queste considerazioni ci hanno convinto a chiedere di diventare anche noi un provider delle nostre iniziative formative, cosa che abbiamo fatto ed ottenuto nel 2002.
Praticamente abbiamo chiesto ed ottenuto di aver accreditate con i punteggi ecm tutte le nostre iniziative formative che avevamo in programma nel 2002/2003.
Il dato positivo di questa esperienza è che abbiamo imparato a programmare con largo anticipo le iniziative, migliorando così la nostra capacità organizzativa, ma abbiamo certamente perso in immediatezza.
Una volta accreditato il corso per categorie professionali, esso non si modifica praticamente più.
Per noi è un limite grande, poiché le variabili intervenienti in un progetto formativo non possono essere considerate. Se si ammala un docente oppure un collega iscritto al corso sono dolori, non parliamo poi se si dovesse spostare il corso di una giornata.
L’aspetto più negativo è la frantumazione delle categorie professionali ai fini del punteggio.
Il Ruolo Terapeutico si rivolge, da sempre, agli operatori delle relazioni d’aiuto nel loro complesso (assistenti sociali, educatori, infermieri, medici, psicologi, terapisti occupazionali, ecc) e il dover chiedere l’attribuzione del punteggio per categoria ha comportato un vertiginoso aumento dei costi dei corsi stessi.
In un gruppo dove fanno lo stesso lavoro formativo quattro figure professionali diverse che senso ha far pagare quattro volte il costo dell’accreditamento?
Questo piccolo esempio dimostra come l’attuale organizzazione dell’ecm è pensata più per un aggiornamento di tipo medico che per una formazione psicoterapeutica.

Un altro problema che emerge è la questione se l’aggiornamento riguardi solo i dipendenti e non anche i liberi professionisti.
La legge è all’italiana, sempre da interpretare, e ognuno ci mette o toglie quello che gli conviene, ma io credo che il problema non sia quello di distinguere il pubblico dal privato.
Un professionista è tale perché ha una professione che svolge. Che la svolga nel pubblico o nel privato non cambia niente rispetto all’impegno etico che si è assunto nel fare quella professione. Ciò che va ribadita è l’importanza di una cultura della formazione che non chiuda mai gli orizzonti e i metodi di percorso da cui il professionista deve attingere, in piena libertà, per esprimersi al meglio nel suo mestiere.
Questi orizzonti e metodi soggettivi valgono per il professionista che lavora nel pubblico e per il libero professionista privato. Quale sarebbe la differenza?
Nella stanza di terapia cosa distingue un professionista dipendente da uno libero?
Sono o no le stesse persone?
Fanno o no le stesse cose?
Io credo che non si fa un buon lavoro se si rivendicano separazioni del diritto/dovere alla formazione libera e responsabile.
Quello che bisogna pretendere come professionisti della salute mentale è il diritto alla libertà e alla responsabilità della propria formazione, di esseri riconosciuti nelle esperienze che si concretizzano, ed insieme con questo diritto il compito di non considerare mai esaurita una volta per tutte la propria capacità di miglioramento e di perfezionamento nel proprio mestiere
L’attuale struttura che attribuisce i crediti ecm pochissimo si presta a questo legittimo diritto di un professionista delle relazioni d’aiuto.
Non credo nemmeno che il problema sia nel tipo di commissione che attribuisce i punteggi, non ne farei una questione di principio se debbano essere psicologi, medici o altre categorie.

Nel momento in cui mandiamo in stampa queste riflessioni, più voci cominciano ad affermare che la competenza a funzionare da futuri provider dovrebbe passare dagli attuali soggetti pubblici o dai soggetti privati riconosciuti come formatori dal Ministero della Salute per i provider nazionali a delle strutture regionali per i progetti regionali.
Gli ordini professionali saranno custodi dell’avvenuta formazione dei loro iscritti.
Si richiede ai futuri provider di mettere in piedi una gigantesca macchina burocratica fatta di certificazioni di qualità, di apparati amministrativi adeguati per tener dietro ai pressanti controlli da effettuare sui colleghi in formazione.
I costi di formazione rischiano di impazzire con una simile politica.
Di fatto, sarà possibile solo a grosse organizzazioni gestire una simile formazione.
Altro che libertà e responsabilità del terapeuta.
Soprattutto, per un terapeuta che segue il metodo formativo del Ruolo Terapeutico, che lavora prevalentemente sui casi clinici, tutta questa impostazione burocratica rappresenta un insulto al buonsenso.
Il mondo della psicoanalisi e dintorni non ha niente da dire su queste cose?

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