Disavventure letterarie di un terapeuta clinico

Nel mio ultimo saggio clinico, “L’amore nella terapia”, edizioni Albatros, scritto attingendo anche a una lunga corrispondenza mail con una mia ex paziente e alla descrizione di parti di sedute cliniche registrate, è successo un errore.

Un errore che è accaduto malgrado le bozze di questo libro le abbia lette e rilette decine di volte, ed insieme a me le ha lette la mia ex paziente e una nutrita serie di amici e colleghi a cui ho chiesto aiuto e consiglio nella stesura del testo.

Nessuno si è accorto di nulla. Dopo otto mesi dall’uscita del libro mi scrive Federica Santoro, che ha pubblicato una poesia intitolata “La verità”, inserita in una raccolta dal titolo “La permanenza dell’amore”.

La Santoro sostiene che i versi inseriti nel mio libro a pag. 163-164 sono suoi e io non la cito come autrice dei versi.

Caspita! È vero che i versi non hanno un’autrice finale!

Io li avevo attribuiti alla mia ex paziente, che invece mi conferma che non sono suoi.

Adesso si sta vedendo come sanare questo errore con il legittimo riconoscimento a Federica Santoro della sua parte, ma parte della mia riflessione in queste note è su come e perche questo errore è potuto succedere.

Esclusa l’ipotesi di un’omissione voluta, che non avrebbe nessun senso ne logico né affettivo, sono arrivato a queste conclusioni, provvisorie magari, ma che mi sembrano le più plausibili.

Nel lavoro professionale ho svolto anche molto lavoro di supervisore di casi clinici portati da colleghi. In questo caso, molti anni fa, ho ricevuto via mail da una collega in supervisione questa poesia. È uno scambio abbastanza normale nel lavoro, soprattutto quando non ci si può incontrare spesso.

Questa poesia mi era molto piaciuta ed io l’ho salvata tra il materiale clinico importante che mi aveva colpito.

Il guaio che ho combinato è che l’ho messa in una casella sbagliata. Invece che nella cartella “A” l’ho infilata nella cartella “B”. Non solo. Non c’era nessun titolo dei versi né chi li aveva scritti.

Alcuni anni fa ho deciso di dare testimonianza clinica su cosa succede realmente in terapia rispetto all’amore transferale tra paziente e terapeuta.

Il materiale che avevo accumulato nella casella “B”. era significativo per fare questo lavoro e così ho chiesto il permesso alla mia vecchia paziente di poter pubblicare quanto era accaduto in quei lungi anni di lavoro comune.

Il permesso mi è stato accordato, a condizione che non apparisse né il suo nome né alcun riferimento a persone e luoghi che potessero far risalire a lei.

Fatto questo lavoro di revisione, inventando nomi e luoghi diversi dagli originali, scartando circa due terzi delle pagine iniziali che si erano prodotte, sono rimaste le pagine che poi ho consegnato all’editore. Tra le pagine rimaste c’era anche la poesia di Federica Santoro, che mi ero dimenticato di aver ricevuto dalla collega in supervisione.

(Paradossalmente, la collega in supervisione è stata una di quelle a cui ho mandato la bozza del testo del mio libro. Neanche lei si è accorta del mio errore.)

Come ha funzionato il mio inconscio nel fare questa associazione di scritti?  

Spesso le sofferenze emotive e affettive si assomigliano parecchio, anche se, naturalmente, ogni soggetto le vive in modo del tutto personale.

Probabilmente ho registrato nel mio inconscio della casella “sofferenza emotiva ed affettiva di traumi infantili” il materiale clinico di due pazienti diverse.

Inconsciamente registro le storie, ma non necessariamente ricordo il nome dei protagonisti.

È grave? Si, se poi queste storie si raccontano, ognuno vuole essere riconosciuto per quello che scrive.

Beh, quasi tutti, la mia ex paziente non ha voluto il suo nome nel libro.

In questi giorni non ho ancora deciso se confermare il ritiro dal commercio del libro “L’amore nella terapia”, ritiro che pure ho subito ordinato di fare.

Non voglio ulteriori incidenti con nessuno per uno sbaglio di omissione fatto in buona fede.

Questo incidente però mi sta facendo riflettere su tante altre cose, anche decisive per il mio futuro professionale.

Quando l’inconscio parla è meglio ascoltarlo, e l’inconscio mi segnala anche altre questioni.

Però era, intanto, giusto dare a Federica Santoro quanto le spetta, cioè il riconoscimento del suo nome come autrice dei versi sopracitati.

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