Stato e mafia

 

Molti di coloro i quali operano nella zona grigia tra Stato ed antistato vengono spesso condannati non solo e non tanto per aver infranto la legge, quanto per non essere stati capaci di proteggere il labile tessuto posto tra l’opinione pubblica e quelle verità che tanti intuiscono, ma nessuno vuole vedere.

Venendo meno al compito di manutenere una divisone formale tra mondi in superfice antitetici, mostrano invece le porosità e le infiltrazioni della parete divisoria tra buoni e cattivi

La sentenza di primo grado emessa al termine del processo relativo alla trattativa ‘Stato-Mafia’ toglie un velo di ipocrisia che a lungo è stato posato su una verità scomoda e da molti conosciuta: ci fu una contrattazione tra uomini della Repubblica e rappresentanti dell’antistato, entrambi emissari di entità in superfice impegnate a combattersi, che diedero mandato ai propri ambasciatori di sedersi ad un tavolo comune sul quale mettere a punto una strategia di non belligeranza.

Un clamore modesto quello suscitato dalle parole del giudice Alfredo Montalto, forse perché figlio della consapevolezza diffusa di un dato storico consolidato: qualsiasi Stato edificato su basi democratiche ha sempre ‘trattato’ con i mondi fuori legge.

L’Italia non fa eccezione a questa regola a partire dallo sbarco alleato in Sicilia, passando per gli anni di piombo e della morte di Moro attraversando i canali sotterranei del patto Stato Mafia, sino agli odierni legami strutturati con il mondo delle curve e con la ‘terra di mezzo’ di Roma capitale.

In una Nazione che stava lentamente prendendo le misure con la legge non più emanata dal dittatore ma discussa da uno Stato che cercava di darsi un corpus democratico di regole concertate , una parte del ceto politico già iniziava quel pervertimento della legge che porterà poi alla stagione delle trame occulte e delle stragi di Stato, in nome di un obbedienza ad uno scopo, il contrasto al comunismo, in funzione del quale la lex italiana diveniva una sorta di codice di seconda mano, un regolamento formale al quale giurare una fedeltà di ottone, giacché la vera parola era data al Patto Atlantico.

Un progetto parallelo andava così ad iscriversi nel retro dei fogli della costituzione democratica, con la scusa di difenderla da nemici ritenuti troppo pericolosi per la sua incolumità.

Un progetto che vide nell’eccidio di Portella della Ginestra la sua prima attuazione di tipo militare, alla quale fecero seguito le stragi Piazza Fontana , dell’Italicus, passando dalla stazione di Bologna, arrivando sino ai più prosaici movimenti dei forconi.

Un disegno perseguito servendosi ora della malavita organizzata, ora di gruppi eversivi, che inaugurava la strategia della tensione.

Questi mondi opachi con i quali lo Stato stringe patti, complementari a quelli che noi quotidianamente abitiamo quanto l’antimateria lo è per la materia, obbediscono a leggi diverse dalla ‘Lex’ democratica, si sostengono su codici ed usanze quasi sempre non scritte, ma non per questo di minor efficacia simbolica ( basti pensare alla capacità di fare legame sociale della Mafia o della Ndrnagheta.)

Si definiscono e si strutturano in opposizione a quello Stato col quale hanno però bisogno di commerciare.

La legge emanata da un assemblea democraticamente eletta non può permettere che questi satelliti si stacchino e vivano una vita completamente autonoma.

Deve pertanto permettere loro di esistere, garantendo un patto di non intromissione grazie al quale le rispettive leggi si lambiscono e si incrociano nelle zone carsiche fondendosi e contaminandosi, per poi dividersi di nuovo in superfice, fronteggiandosi da sponde opposte del fiume del diritto e della legalità.

È la logica della perversione descritta da Lacan.

Secondo il filosofo Zizek , a guardia del patto tra Stato e antistato sono chiamati obbedienti soldati che regolano la loro esistenza in virtù del motto ‘libertatem silendo servo’, non a caso utilizzato dall’organizzazione Gladio. 

Uomini «ben consapevoli degli interessi particolari che sono alla base degli assiomi ideologici’» sentinelle poste a salvaguardia del tacito patto di non intromissione tra due universi consustanziali.

Questa sentenza ha condannato apparati della Repubblica, politici, vertici del Ros.

Uomini che, posti a guardia di questo patto, non sono riusciti a mantenersi in quell’ombra dalla quale dovevano operare. Hanno dato scandalo, mostrandosi inadeguati al motto pacta sunt servanda, trovandosi nella condizione, volontaria od imposta, di diventare testimoni scomodi di ciò che hanno per tempo visto e custodito.

Scandalo che, per dirla ancora con Zizek: «non consiste nello svelare trame occulte o segreti che pochi conoscono (…) 

Quanto esporre alla luce ‘verità che la suddetta maggioranza della popolazione non vuole sentire, o per le quali la società non è pronta a reggere la verità’». 

Le verità, vere o presunte di uomini come Massimo Ciancimino , hanno finito per mettere in vetrina gli interessi corrotti che si celano dietro le dichiarazioni ideologiche smascherando la sceneggiata dei buoni contro i cattivi.

Tommaso Buscetta era solito affermare che «Lo Stato Italiano non è pronto a conoscere queste verità che non reggerebbe». 

Apparati dello Stato, servizi segreti deviati e parte dell’apparato politico, patteggiavano con esponenti di un Anti Stato per mantenere una sorta di pace armata, un accordo che permettesse ad entrambi di vivere nei propri spazi, ridefinendo le proprie zone di influenza, recitando ciascuno il proprio ruolo.

Cosa era il ‘papellu’ fatto avere dai Corleonesi allo Stato dopo la morte di Falcone, se non la testimonianza scritta di questo legame, il contratto vergato a mano, con tanto di richieste, che ufficializzava questo rapporto non scritto?

Molti di coloro i quali operano nella zona grigia tra Stato ed antistato, sovente vengono condannati non solo e non tanto per aver infranto la legge, quanto per non essere stati capaci di proteggere il labile tessuto posto tra l’opinione pubblica e quelle verità che tanti intuiscono, ma nessuno vuole vedere.

Venendo meno al compito di manutenere una divisone formale tra mondi in superfice antitetici, mostrano invece le porosità e le infiltrazioni della parete divisoria tra buoni e cattivi, e vengono sorpresi mentre tengono i piedi in due staffe.

Peppino Caldarola scrive a proposito del generale Mori: «Io non credo alla colpevolezza di Mario Mori.

So che il mondo dell’ investigazione comprende anche momenti di trattativa col nemico, ma non so se è vero che ci siano stati con la mafia ».

Questo è il destino della manodopera utilizzata dagli apparati dello Stato quando il loro compito è finito, quando vengono bruciati, o quando chi manovra dietro le quinte ha ottenuto quello che voleva : l’isolamento e l’oblio.

Abbiamo avuto un esempio recente di legame tra politica e sottobosco illegale, meno eclatante del patto con i corleonesi, ma egualmente penetrante. In Italia ha conosciuto il suo momento di celebrità il cosiddetto ‘movimento dei forconi’.

Un fenomeno comparso simultaneamente in diverse Regioni, composto da gruppi autorganizzati di cittadini radunatisi sotto il segno della protesta.

Le battaglie cavalcate spaziavano dalla lotta alla disoccupazione alla critica verso il sistema creditizio delle banche, sino ai licenziamenti di aziende locali passando per la protesta no tav.

Il tutto condito da dichiarazioni politiche di indirizzo rilasciate dai capi autonominati di ciascun gruppo.

Uscire dall’Euro, fare guerra alla banche, accenni di nostalgia del ventennio e qualche residuo di antisemitismo: questo il composito nocciolo teorico dello squinternato progetto politico sul quale si basava questa rete di protesta.

Ho assistito di persona ad una delle loro adunanze nel profondo nord: mentre volenterosi locali distribuivano volantini che spronavano ad aderire alla protesta, dietro ai fuochi accesi per strada si potevano scorgere le defilate ombre nere di attempati agitatori di popolo, poco propensi a bussare ai finestrini e infastiditi da chi girava con la reflex per immortalare l’evento.

Molti di essi da tempo conosciuti alla forze dell’ordine come appartenenti ad organizzazioni di estrema destra, altri veri e propri fossili dello squadrismo veneto che già erano anziani ai miei tempi universitari padovani.

Le cronache riportano che dietro alle gemelle forche siciliane, coperti dalla medesima ombra, si muovevano vecchi arnesi ben conosciuti nell’isola: picciotti e soldataglia occasionale delle mafie, caporali del malcontento post crisi da incanalare in serbatoi di populismo, spesso agli ordini di qualche vetusto ‘mammasantissima’.

Clemente Pistili scrisse : «sin dalla sua nascita il movimento dei Forconi ha però suscitato l’interesse di Cosa Nostra, la stessa organizzazione che controlla parte del trasporto su gomma in Italia, a volte alleata in tale settore con i Casalesi, unica a decidere chi far passare e chi no, quali merci far arrivare a destinazione e quali far marcire sui piazzali.

Al centro a sfruttare la ghiotta occasione è invece quell’estrema destra che fa del populismo una bandiera.

Vicino ad agricoltori e camionisti sono stati così fotografati dagli investigatori esponenti di Forza Nuova, di Casapound e dell’Ms».

Alcuni dei capi di queste adunanze hanno oltrepassato la zona di penombra loro consentita, e sono andati incontro ad una morte mediatica precoce, dopo un breve transito sotto la luce dei riflettori in procinto di compiere il grande passo della auto consacrazione a leader maximi di questi movimenti.

Tentativi naufragati, spesso in tv, perché i novelli Massimo Decimo Meridio si sono ritrovati soli rispetto a quei cittadini che non gli hanno perdonato il momento di celebrità, o perché accusati dalle controparti di essere portatori di idee tutto sommato banali e razziste, così come disconosciuti dalla loro stessa base, che li ha tacciati di voler aspirare a quella ‘casta’ tanto deprecata.

Colpevoli soprattutto di essersi esposti alle luci della ribalta , tradendo il progetto dei loro manovratori occulti, così come il Golem di Praga pagò con la messa a riposo eterna la sua disobbedienza al rabbino Loew.

Nulla si è saputo invece degli uomini ombra che mai hanno rilasciato un intervista ad un qualche quotidiano, e nemmeno si sono prodotti in comparsate televisive.

Sono tornati nella dimensione di ‘conosciuti da tempo alle forze dell’ordine’.

Essere conosciuti, frase che tradisce un senso di intimità inviolata, testimonianza dell’ aver avuto contatti, scambi, aver vissuto protetti da una connivenza che ha tutelato costoro dal cadere nelle maglie della legge, se non per poco tempo.

Essere conosciuti dice di quel segreto ipocrita che solo chi sta a cavallo tra la legge e la non legge conosce e custodisce. Sono conosciuti i capi delle curve facinorose degli stadi, era conosciuto Jenny ‘la carogna’.

Così’ come lo era Massimo Carminati, gran giostraio di Mafia Capitale.
Nel film ‘Romanzo di una strage’ emerge chiaramente la differenza netta tra Freda e Ventura ( esagitati fascistelli, bramosi di sangue, a viso scoperto sempre, anche quando vanno ad acquistare i timer per la bomba) e gli uomini degli apparati deviati dello stato, uno dei quali dice ‘ io sono un animale che non lascia traccia’ a un Ventura che si sente braccato.

‘Certo che sono stato io! Cosa credi!’ sbotta spazientito Jack Nicholson, il colonnello Jessep, provato dalla fatica di dover sostenere l’interrogatorio al processo per l’omicidio di un soldato, da lui ordinato secondo il ‘codice d’onore’, legge interna al sistema militare che permette qualsiasi nefandezza verso i sottoposti in nome del mantenimento dell’ordine interno.

Anche l’uccisione.

Un codice militare antico, strutturale, di natura opposta alle leggi democratiche che regolano la quotidianità americana, dai militari difesa e salvaguardata.

Quando spiega al novello avvocato Tom Cruise che cerca di incastrarlo applicando il codice penale, il comandate svela la sua natura di guardiano dell’ordine parallelo, custode di regole che quell’avvocato non vedrà mai .
Ordinò lei il codice rosso?’ chiede l’avvocato Tom Cruise
‘Io voglio la verità!’ .
‘Tu non puoi reggere la verità!’ grida Nicholson
Viviamo in un mondo pieno di muri, e quei muri devono essere sorvegliati col fucile.

E chi lo fa questo lavoro. Tu ?Io ho responsabilità più’ grandi di quello che voi possiate mai intuire! (….) Vi permettete il lusso di non sapere quel che so io.

Cioè che la morte di Santiago probabilmente ha salvato delle vite. E che la mia stessa esistenza, benché grottesca ed incomprensibile ai vostri occhi, salva delle vite. Noi usiamo parole come codice, onore, fedeltà.

Usiamo queste parole come spina dorsale di una vita spesa per difendere qualcosa. (…) Io non ho la voglia, nè il tempo, di venire qua a spiegare me stesso ad un uomo che passa la sua vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco, e poi contesta il modo in cui glie la fornisco! 
Il colonnello, splendido e muscolare esempio di soggetto cinico, ben consapevole della necessità di mantenere il silenzio sull’operato delle leggi perverse, strappato lui nonostante all’ombra sotto al quale opera, da un giovane convinto che lo svelamento di quel mondo possa finalmente fare luce e dare ‘giustizia e verità’.

Nel film I tre giorni del Condor troviamo un magistrale esempio di trama nascosta, ma necessaria al legame sociale, nel il dialogo tra il giornalista sfrontato e gli uomini che agiscono nell’ombra:
 «Higgins: Il problema è economico.

Oggi è il petrolio, tra dieci o quindici anni il cibo, plutonio, e forse anche prima.

Che cosa pensi che la popolazione pretenderà da noi allora?
Joe: Chiediglielo
Higgins: Non adesso, allora! Devi chiederglielo quando la roba manca, quando d’inverno si gela e il petrolio è finito, chiediglielo quando le macchine si fermano, quando milioni di persone che hanno avuto sempre tutto cominciano ad avere fame.

E vuoi sapere di più? La gente se ne frega che noi glielo chiediamo, vuole solo che noi provvediamo»:

  • Maurizio Montanari

 

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