La Sardegna ha le risorse per essere indipendente? Di Franco Manca

Per rispondere a questa domanda occorre in premessa spiegare in quale contesto economico è situata la Sardegna e offrire i numeri del residuo fiscale: la differenza fra il pubblico prelievo all’interno e ciò che lo Stato investe nell’Isola:
•Anno 2012. Il Veneto ha un residuo di + 18,2 miliardi di euro. La Lombardia di + 54 miliardi di euro, pari a + € 5.511 per cittadino; L’Emilia + € 4.700 per cittadino.
•La Sardegna ha invece un residuo negativo, esattamente come il tutto il sud dell’Italia, pari a – € 2.566 per cittadino e – € 4,2 miliardi totali.
•La Sardegna è al penultimo posto nella graduatoria del PIL italiano e, nell’ambito privato ha retribuzioni del 30/40% inferiori rispetto ai lombardi.
•In Sardegna ci sono 600.000 pensioni per € 4,0 miliardi.
•La Sardegna vive di 65% del PIL di spesa pubblica.
•Ogni sardo spende 290 euro per pagare la P.A. e la Politica contro € 61 della Lombardia (sigh!)

Dal quadro di questi numeri è evidente che nel contesto siffatto in assenza dei flussi finanziari dallo Stato centrale verrebbe a mancare gran parte dell’economia della Sardegna e la risposta alla domanda posta non può che essere negativa.
Il meccanismo in cui siamo inseriti è un sistema di assistenza/dipendenza.
Si pensi solo che il deficit agroalimentare ammonta a 2,6 miliardi.
Tutto ciò è stato determinato dalle scelte politiche effettuate con i vari piani di rinascita, dove la Sardegna diventava il centro delle produzioni industriali energivore e altamente inquinante, a discapito dell’agroalimentare e in definitiva anche del turismo.
(Contemporaneamente diventava anche il poligono di mezza Europa ndr)
Con la crisi delle industrie, causata anche dagli alti costi energetici, le produzioni sono state portate altrove con il lascito, però, di un ambiente devastato dai residui di lavorazione e dai depositi nel suolo e nel sottosuolo.
Allora ho chiesto a Franco Manca: “Prima di quegli anni eravamo forse economicamente indipendenti?”
Risposta: “In parte si, perché pur poveri mangiavamo ciò che veniva da noi prodotto, mentre oggi le produzioni sono tutti in mani esterni (e anche il valore aggiunto e le basi di conoscenza sono altrove. Ndr)!”
In altro contesto, la Sardegna, avrebbe le risorse per esserlo, nonostante noi sardi ci mettiamo tanto di nostro per essere dipendenti. Questo lo si crea con la capacità politica, priva di subalternità e meschina sudditanza agli interessi romani, succubi facilmente di monopolisti o di multinazionali, che veda la Sardegna rivendicare, unita, un futuro di maggiore equilibrio e di pari opportunità, come nel proprio diritto.
Occorre quindi creare una situazione di rottura e di diversa negoziazione con lo Stato centrale e chiedere un riequilibrio fra produzione e consumi, con trasferimento in loco di parte delle produzioni, questa volta però non quelle più impattanti per l’ambiente.
Le filiere chiave sono i trasporti, l’energia, l’agroindustria, il turismo e infine la cultura identitaria che, finalmente, faccia di noi un popolo coeso e meno meschino.
Infatti anche le attuali discussioni sulla riforma degli Enti Locali stanno mostrando tutti i nostri limiti e la follia di certe richieste/pretese.
In questo contesto esiste anche un problema di redistribuzione del reddito e di riequilibrio fra spesa improduttiva e investimenti.
La risposta in sostanza è positiva perché mutando le condizioni (liberandoci dalla catena della pressoché totale dipendenza economica) la reale autonomia, la capacità di autodeterminazione possono essere realizzate.

E’ seguito un dibattito nel quale ho chiesto a Franco Manca, vista anche la sua esperienza da politico, assessore (tecnico) al lavoro della RAS, come mai accade che la maggior parte dei politici, pur dimostrandosi illuminati a parole, quando entrano nelle stanze del potere in qualche modo si corrompono.
Qui ho portato l’esempio, vissuto in prima persona, delle fonti rinnovabili, dove, davanti all’esistenza di proposte che prevedevano la possibilità di realizzare un sistema di generazione e piccolo capitalismo distribuito (Rifkin), la storia ha voluto che il presidente di allora si riunisse con i noti faccendieri Verdini e Carboni per decidere come assegnare i quattro miliardi di incentivi delle tariffe alla produzione.
Successivamente, scoperto e inquisito, affidò una delega all’assessore all’agricoltura che sostanzialmente “aprì le stalle” per farvi entrare gli investitori di tutto il mondo per le serre fotovoltaiche di misura incredibilmente sovrabbondante e insostenibile.
Oppure gli esempi dei trasporti, laddove falliscono le imprese ma politici e dirigenti comprano ville e auto lussuose (affermazione volutamente populista e demagogica ndr).
La risposta è stata che la subalternità è tangibile e questi sono degli esempi che la dimostrano.
Infine ho ribattuto che oggi, nonostante esistano dei ricercatori e dei tecnici illuminati, che si dicono certi della possibilità di rendere la Sardegna un’avanguardia nel campo energetico e delle fonti rinnovabili, mirando a un sistema di integrazione dei consumi della mobilità e del residenziale, la Regione sta scegliendo di realizzare l’anacronistica filiera del GNL, con la costruzione di rigassificatori lungo costa.
Eppure, ho concluso, abbiamo mandato i filosofi di platoniana memoria al potere, i professori delle università, ma non sembra che il discorso sia cambiato.

MA QUALI FILOSOFI! Ha commentato Franco, concludendo l’incontro.

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