IL CONCETTO DI PERSONA IN ROMANO GUARDINI

1. Premessa

Spesso nella riflessone abituale c’è una sovrapposizione indebita di tre termini tra loro diversi: PERSONA, SOGGETTO, INDIVIDUO. E se l’età moderna sembrava aver assorbito il concetto di persona in quello di soggetto, l’età contemporanea sembra aver assorbito il concetto di persona in quello di individuo. In realtà la persona e il suo concetto vanno a travalicare sia la dimensione del soggetto che quella dell’individuo. La persona è soggetto ed è individuo ma insieme è più che sog- getto e più che individuo. Cercheremo di chiarire questo nodo che non è solo concettuale ma è an- che esistenziale, vitale e culturale, a partire dal prezioso contributo chiarificatore di Romano Guar- dini (1885-1968) definito dalla sua biografa Hanna Barbara Gerl-Falkovitz il “padre della chiesa” del Novecento oltre che – possiamo dire noi – un’eredità preziosa ineludibile anche di fronte alle sfi- de del nuovo millennio.
C’è un passaggio dell’Etica di Romano Guardini che chiarisce in modo assolutamente puntuale il rilievo, meglio la centralità del tema della persona per il nostro pensatore. È un passo che troviamo non a caso nella Sezione seconda dell’opera dedicata alle condizioni di possibilità del fenomeno eti- co in quanto tale: «L’essere persona è il dato di fatto etico centrale: il comportamento etico è possi- bile solo a partire da esso. Nella misura in cui la persona viene rimossa, il carattere etico scompare»1. Ricostruire il concetto di persona in Guardini è quindi – stando alle sue stesse parole – rintracciare ciò che solo permette un vero e proprio comportamento etico. Ciò non toglie che la pun- tuale definizione della persona sia impresa non esente da difficoltà poiché il «il problema della per- sona, molto importante, simpliciter fondamentale, è di non semplice soluzione»2.
L’itinerario guardiniano per affrontare il problema della persona è quello proprio della prospettiva dialogica. Infatti nell’àmbito complessivo della filosofia dialogica del Novecento Romano Guardini si è posto con particolare vigore l’obiettivo di coniugare tale particolare prospettiva teoretica con quella personalistica fino a costruire un suo originale percorso che, da un lato, lo avvicina ai grandi dialogici di scuola ebraica come Martin Buber e Franz Rosenzweig, dall’altro lo vede situato in sin- golare tangenza con i dialogici cristiani come Ferdinand Ebner, Emmanuel Mounier e Gabriel Mar- cel. Il suo “personalismo dialogico” merita dunque d’esser letto oggi come paradigmatico di tutta una stagione del Novecento filosofico che solo oggi viene còlta come una delle più potenti e meno deludenti eredità di quel secolo.
Una ricostruzione seppur frammentaria della sua peculiare proposta personalistica dovrebbe riferirsi in primo luogo al testo che rappresenta indubbiamente il contributo antropologicamente decisivo di Guardini e ne evidenzia tutta la straordinaria finezza teorica: Mondo e persona. In esso egli conden- sa la sua filosofia della persona che aveva in larga parte affidato anche al manoscritto inedito Der Mensch[L’uomo], che contiene le lezioni antropologiche berlinesi degli anni Trenta e che verrà a breve pubblicato nell’Opera Omnia edita da Morcelliana. In termini generali si può dire che mentre Der Mensch costituisce indubbiamente il progetto più ampio ed ambizioso nella costruzione del personalismo dialogico guardiniano, l’Etica rappresenta una sorta di sigillo nel contesto di una pro- posta morale collegata ad un’evidente tensione drammatica e quasi profetica dinanzi ad un tracollo epocale delle istanze personalistiche (minate da forme sempre nuove e subdole di totalitarismo) sentito come una ferita nella carne e non solo nel pensiero da un Guardini giunto ormai alla fine della sua avventura filosofica. Mondo e persona, unica delle tre opere data alle stampe dal filosofo, è invece la sintesi stringata, essenziale ed efficace che risponde con piena assunzione di responsabilità teorica all’“ansia per l’uomo”. L’orizzonte rimane lo stesso e analoghe sono due premesse di fondo.
La prima vede la conoscenza dell’essenza della persona come compito specifico della filosofia, non della sola fede e quindi della teologia. Non però di una filosofia neutrale o addirittura indifferente in rapporto alla Rivelazione poiché solo la Rivelazione disvela chi è l’uomo dinanzi a Dio e insieme quali siano l’identità ultima, il senso e la collocazione dell’uomo nell’esistenza. Ciò non toglie nulla all’approccio filosofico ma semmai lo porta a pienezza.
La seconda premessa è di carattere metodologico. L’interrogativo kantiano “Was ist der Mensch?” (“Che cosa è l’uomo?”), non va mai declinato in modo astratto, impropriamente oggettivo, avulso dal contesto storico e dall’esistenza concreta, ma in modo diretto. Non più quindi “Che cosa è l’uo- mo?”, ma semmai “Chi sono io in quanto uomo?” oppure “Chi sei tu?” o ancora “Dove sei tu?”… Per muoversi su questo terreno occorre però un metodo adeguato e segnatamente quello storico- narrativo piuttosto che quello semplicemente speculativo: «Ci sono diverse maniere di trattare gli oggetti: la empirico-analitica, la sistematico-astratta e quella corrispondente alle cosiddette scienze dello spirito. Se ognuna di queste forme deve corrispondere adeguatamente al suo oggetto, diremo che le maniere suddette svolgono funzioni molto importanti nella descrizione dell’essere umano. La forma decisiva tuttavia non viene determinata in questo caso dall’oggetto di studio ma da un’al- tra istanza: a riguardo dell’uomo si può parlare solo in forma di narrazione»3.
2. Romano Guardini: l’uomo e l’opera
Romano Guardini nasce a Verona nel 1885 e già l’anno successivo si trasferisce a Magonza con la famiglia4. In quella città conseguirà la maturità ginnasiale .Si iscriverà poi alla facoltà di chimica a Tubinga per passare successivamente a quella di economia politica (1904) presso le Università di Monaco e di Berlino. Ma la sua vocazione lo conduce altrove e nel 1905 studierà alla facoltà teolo- gica di Tubinga e poi di Friburgo fino a ricevere nel 1910 l’ordinazione sacerdotale. Una formazio- ne culturale che avviene dunque interamente in ambito tedesco. Ben diversa era la situazione in fa- miglia dove si parlava in italiano e si veicolava in modo convinto la tradizione culturale italiana.Il padre Romano Tullo ,nato a Verona (1857) , importatore di pollame(per la grande azienda italiana “Import Grigolon-Guardini & Bernardinelli GmbH”) è politicamente un appassionato sostenitore di Cavour e un cultore di Dante5 e nel 1910 diventerà console italiano. La madre Paola Maria Bernar- dinelli è invece trentina, nativa di Pieve di Bono (1862) nelle Valli Giudicarie (anche se la famiglia proveniva da Javrè in Val Rendena), viene da una famiglia che possedeva un’osteria e poi una ma- celleria, studierà nell’istituto delle Dame inglesi a Merano, e nella famiglia rappresenta, ancor più profondamente e fortemente del marito, lo spirito italiano unito ad una posizione anti-asburgica e più in generale ad un rifiuto non privo di risentimento per tutto ciò che è tedesco6. Non potrà quindi che generare perplessità e sconcerto nella famiglia il fatto che il figlio primogenito Romano, memore di questo fatto Guardini dedicherà al padre il primo volume dei suoi studi danteschi (Der Engel in Dantes Göttlicher Kömodie, Leipzig,Hegner, 1937) utilizzando eccezionalmente anche nell’edizione tedesca la lingua italia- na:”Alla memoria di mio padre, dalle cui labbra fanciullo i primi versi di Dante colsi”.
Cfr. Berichte über mein Leben. Autobiographische Aufzeichnungen, Aus dem Nachlass hrsg. von F.Messerschmid, Paderborn, Ferdinand Schöningh Verlag, 1980, p.58, tr. it. Diario. Appunti e testi dal 1942 al 1964, Brescia, Morcel- liana, 1983, p.72:”Mio padre , che aveva trapiantato a Magonza l’attività di mio nonno , stimava molto la Germania , ma si sentiva tuttavia sempre ospite. Mia madre era ancora più radicale. Era nata nel Sud Tirolo[Guardini qui confonde Sud Tirolo con Trentino, anche se i Trentini all’epoca venivano chiamati tirolesi] e aveva sin da bambina sviluppato in sé l’amore appassionato dell’’irredenta’ Italia. Era stata, certo, educata a Merano in un istituto tedesco; ma colà appunto si intensificò ancora di più questa disposizione d’animo. Quando tre anni dopo il suo matrimonio si trasferì con mio padre in Germania , non lo fece volentieri e perciò il suo rifiuto di tutto quanto era tedesco si fece sempre più netto. A Magonza essa, fatta eccezione per alcuni rapporti di cortesia inevitabili, non trattenne relazioni con nessuno”.
desse, nonostante l’opposizione esplicita dei genitori, di assumere nel 1911 la cittadinanza tedesca compiendo una sorta di “esodo” volontario dalla patria originaria italiana7. Lui solo oltretutto di tutta la famiglia (rientrata poi in Italia dopo l’improvvisa morte del padre avvenuta nel 1919) aveva optato per il Nord. Con la scelta della cittadinanza, Guardini divenne a pieno titolo e con una sorta di sigillo formale un pensatore espressivo della cultura tedesca che egli aveva ormai assorbito in modo irreversibile. Se nella casa paterna di Magonza, nel Gonsenheimer Hohl, egli aveva respirato la cultura italiana oltre ad averne appreso la lingua, al di fuori di essa, a scuola, tra gli amici, nella formazione spirituale, all’università, lingua e cultura furono infatti indelebilmente segnate dal mon- do tedesco8. Certo frequenti furono ancora i viaggi in Italia in visita alla madre (vivrà fino 95 anni morendo nel 1957 quando Guardini aveva già 72 anni), ai tre fratelli Gino Ferdinando, Mario e Aleardo e ai nipoti, con soste prolungate nella residenza materna inizialmente sul lago di Como e poi, soprattutto a partire dalla fine degli anni ‘ 20, a Villa Guardini a Isola Vicentina presso Vicenza dove egli amava preparare le sue lezioni camminando tra gli amati alberi che contemplava senza stancarsi. Una sorta di addio all’Italia sarà l’ultimo viaggio nell’agosto del 1968 (dal 28.8 al 15.9) avvenuto poco prima di morire (morirà il 1 ottobre) con tappe deliberate prima di attraversare il confine a Trento e a Bressanone. Oltrepassato il Brennero egli comunque osservò: «Ho sempre l’impressione che qua nel Nord vi sia una dimensione in più…»9. Ma questa relazione seppur intensa con l’Italia non cambierà mai la sua prospettiva culturale complessiva. Quando durante la prima guerra mondiale dovrà addirittura svolgere il servizio militare come infermiere in un ospedale militare indossando l’uniforme tedesca10 mentre due fratelli prestavano servizio nell’esercito italiano il conflitto latente tra le sue due identità diverrà ancor più lacerante ed esplosivo. Alcuni anni più tardi cercherà di mostrare come aveva vissuto questa singolare conflittualità e come aveva cercato di uscirne. Durante un congresso del movimento giovanile “Quickborn” tenutosi a Grüssau in Slesia nella Pentecoste del’23 dedicato al tema del rapporto tra popolo e politica«ma -si diceva nel programma-non come abitualmente si parla in modo retorico e patriottico di popolo, d’elemento popolare e di patria»11 viene d’improvviso a mancare il relatore e si chiede a Guardini di sostituirlo. Egli si schermisce e appare come titubante ad affrontare da oriundo italiano un tema “così tedesco” ma poi coglie proprio quest’occasione per confessare in pubblico il suo tormento interiore relativo alla scelta del servizio militare con l’esercito tedesco: «Affermò che il suo essere spirituale era radicato nella cultura tedesca e che aveva fatto il servizio militare nell’esercito tedesco; così la guerra e la disfatta lo avevano posto di nuovo davanti al problema di decidere a quale popolo egli appartenesse. Aveva scelto la Germania […]. Stare dalla parte del proprio popolo e contribuire a sostenerne l’opera è un intimo dovere morale. Ciò risulta dal IV comandamento, che chiede di onorare le grandi istituzioni e realtà della vita: Chiesa, popolo, genitori. Questo dovere sussiste nei
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Come afferma lo stesso Guardini a suo padre”sembrava molto difficile concepire il fatto che suo figlio primogenito potesse rinunciare alla cittadinanza del proprio Paese”(in Stationen und Rückblike, Würzburg, Werkbund, 1965, p.13).
Cfr. Europa.Wirklichkeit und Aufgabe in Sorge um den Menschen, Bd.I, Würzburg,Werkbund, 1962, tr. it. di M. Pa- ronetto Valier e di Albino Babolin, Europa-Realtà e Compito in Ansia per l’uomo, vol. I,Brescia, Morcelliana, 1970: pp. 275-292, il riferimento a pp.2 75-276:«Quando venimmo in Germania, io ero nella prima infanzia. In casa si parlava italiano; ma la lingua della scuola e della formazione spirituale fu il tedesco. Questo ebbe il sopravvento, e non poteva essere diversamente, come lingua , con la quale mi pervennero il sapere e la conoscenza della vita. Più tardi fu anche la lingua delle università che frequentai e nelle quali cominciò la mia personale attività creativa spirituale. Da tutta questa situazione sorse un conflitto profondamente sentito, quando alla semplice bramosia di sapere sopravvenne il problema della professione.[…]Dal punto di vista intellettuale, io dovevo esercitare questa professione in Germania, poiché la mia formazione e la mia idea della vita erano tedesche; io pensavo in tedesco, giacché si pensa pure in una lingua. D’altra parte ,però, era sempre viva la mia unione con l’Italia, che per i miei genitori era la patria e perciò la terra in cui, secondo il loro pensiero, doveva vivere e lavorare il loro figlio.[…Oltretutto] i miei genitori erano italiani e patrioti appassionati».
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10. 10 Su questa vicenda cfr. Alfred Schüler, Romano Guardini. Eine Denkergestalt an der Zeitenwende, in “Archiv für mittelrheinische Kirchengeschichte” 21 (1969), p. 134.
11. 11 Josef Aussem, Grüssau, in “Schildgenossen”, 3, 5/6 (1923), p. 191.
Dal resoconto del viaggio del medico personale che l’aveva accompagnato Franz Riedweg redatto nell’estate del 1983 e consegnato alla biografa Hanna Barbara Gerl. Cfr. Hanna Barbara Gerl,Romano Guardini:la vita e l’opera, cit., p.424.
tempi normali, ma più che mai in quelli eccezionali,quando il popolo incorre in difficoltà; allora la fedeltà deve essere doppiamente profonda e l’unità doppiamente grande. Durante la disfatta ci sentivamo come chi affoga, e teme di perdere il proprio onore ed il proprio essere. A chiunque abitasse in un territorio occupato , tutto ciò che era più luminosamente chiaro diventava oscuro , al vedere le uniformi straniere»12. Chiarito il significato di “fedeltà” in specie nel momento della disfatta, emerge però già in questo intervento di Guardini un primo spiraglio di carattere europeistico. La fedeltà al popolo e alla cultura tedesca non gli impediscono di guardare all’Europa come luogo del superamento di ogni forma di sciovinismo che scatena i bellicismi e che divide addirittura i fratelli tra di loro (come era avvenuto proprio nella sua famiglia). Quest’elemento, questa “novità di formulazione” colpì particolarmente gli ascoltatori che sentirono Guardini artico- lare in modo raffinato una relazione dialettica tra fedeltà al proprio popolo e apertura a un contesto superiore:«Non ci riferiamo -e Guardini lo dice nell’anno della terribile inflazione tedesca post- bellica- qua agli arrabbiati , che per risentimento si scostano dal proprio popolo , volgendosi ad altri. Vi sono però persone che hanno un senso dei legami che superano quelli di un popolo. Non si deve scambiare con questo piano spirituale il concetto dell’internazionalismo socialista .[…] Noi vediamo l’Europa viva che in una grande quantità di persone è emersa, vive e s’esprime nell’azione»13. Ed al movimento giovanile consegnava proprio questo impegno peculiare di riconoscere il “fatto spirituale dell’Europa” come proprio destino:«Chi fa parte del movimento giovanile? Colui che è aperto interiormente , che viene inquietato da questi problemi , che diverranno per lui destino. Il suo compito è quello di vedere il fatto dell’Europa. Non se ne può trovare la soluzione traendola da qualche risentimento. Dobbiamo deciderci se agire demagogicamente oppure se vedere le cose in modo essenziale , pensando ed agendo a partire dalla responsabilità di questo nuovo sviluppo»14 ormai ineludibile in direzione europea. Monito che purtroppo rimarrà in larga parte inascoltato in quegli anni che porteranno di lì a poco ai totalitarismi e frantumeranno ogni ipotesi di costruzione europea. Con questo spirito dunque, fedele ed aperto insieme, Guardini aveva prestato con piena coscienza il proprio servizio militare nell’esercito tedesco. Sorprendentemente (sempre in quell’anno) troviamo una riflessione in direzione europeistica in un contesto del tutto inusuale come quello liturgico. Nella monografia del ‘23 Formazione liturgica parlando del concetto di “popolo”Guardini individua l’alba di una feconda mutazione: «La coscienza di popolo sembra subire una trasformazione. Quella nuova, in ascesa, sembra distinguersi della precedente “coscienza nazionale”. [… ] Il popolo si libera dall’individualismo. Si afferma risolutamente , ma al tempo stesso si inserisce in un tutto più elevato. Così per i popoli sembra nascere una coscienza di unità occidentale. Nelle anime sembra diventare viva la volontà di giungere ad una comunità spirituale europea. La volontà esistenziale sembra dilatarsi, non sentir più come sufficiente una comunità di popolo che escluda gli altri popoli. Essa esige un più altro grado di vitalità ,vuole un livello comunitario di maggiore ampiezza e di più vasta possibilità»15. Ciò non ha nulla a che vedere con una qualche forma di internazionalismo o di melting pot. La “comunità dei popoli” che si coglie entro una inedita e feconda capacità di vedere unità sovranazionali non intenziona «come comunità europea alcuna mescolanza di culture o di popoli , né rinnega la storia,né fa una stravaganza campata in aria. […] Tutto questo non ha proprio nulla a che vedere con un certo qual internazionalismo incontrollato che crea confusione di popoli. [… ]Poiché “essere popolo” significa avere una missione presso la comunità più alta. Solo come
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Ivi, p. 192.
Ibidem.
Ibidem. Il corsivo è nostro. Un’eco singolare al discorso di Guardini venne da una aderente al Quickborn di proven-
ienza asiatica che così scriveva:«Ciò che Guardini disse su “Popolo ed Europa” costituì personalmente per me una pura e semplice liberazione dopo che ebbi superato l’iniziale sorpresa per il termine ‘Europa’.Vi era infatti sintetiz- zata una serie di interrogativi , che mi assillavano già da tempo , e si metteva in rilievo l’unità del problema che ne sta alla base”(ivi, pp.200-201).Su questo intervento di Guardini cfr. anche Hanna Barbara Gerl, Excursus: Sul servi- zio alla patria e all’Europa, in Id.,Romano Guardini:la vita e l’opera, cit., pp.106-108.
Liturgische Bildung. Versuche., Burg Rothenfels am Main, Verlag Deutsches Quickbornhaus, 1923, tr.it. di Silvana Presbitero e Liliana Zaccarelli, Formazione liturgica. Saggi, Milano, Edizioni O.R., 1988, pp.66-67. Il corsivo è no- stro.
membro di una unità superiore un popolo diviene ciò che deve essere secondo la propria natura , come la mano diventa se stessa solo quando è appunto mano di un corpo, insieme con il corpo e il piede e il cuore. Questa concezione di comunità europea di vita e di destini posta in rilievo da eventi storici , incomincia ad acquistare un intenso vigore»16 .Peccato che di lì a poco una nuova terribile guerra ne avrebbe impedito il decollo. Anni dopo tornerà ancora sull’argomento affermando la problematicità della prospettiva europeistica nell’età della guerra ma nel contempo la sua qualità di stella polare per chi come lui aveva due destini nazionali da portare in sé:«Una volta il legame alla propria terra con tutto ciò che si chiama onore e dovere patriottico, era molto forte: perciò quando mi si affacciò l’idea europeistica, ciò significò per me la possibilità di una conveniente soluzione del conflitto. Io ho compiuto il passo verso la Germania nella coscienza di essere europeo. Certamente anche l’essere europeo aveva le sue difficoltà. Talvolta sorgevano situazioni, nelle quali non si poteva chiarire senz’altro il proprio comportamento. Altre, che mettevano in imbarazzo la coscienza e il sentimento. Ricordo solo la situazione della guerra, e precisamente della prima guerra mondiale, nella quale il nazionalismo era molto vivo, anzi per qualche aspetto era innalzato fino al suo culmine. Tuttavia l’idea di un’Europa ha tenuto duro»17.
3. L’“essere-persona” nel mondo dei viventi
Fedele al proprio metodo precedentemente illustrato Guardini, parlando di persona, non parte più dall’essenza astratta, ma dall’uomo concreto che esiste personalmente.
Ebbene il primo elemento nell’àmbito dei fenomeni che preparano quello della persona e ne indica- no la realtà è il “fenomeno della forma”, il fatto che la persona in prima istanza è una totalità figu- rale. Una totalità che non sorge dalla pura e semplice giustapposizione esteriore delle parti, ma sus- siste in se stessa ovvero è «quel contesto in cui la totalità e i particolari sono dati l’una negli altri e reciprocamente. […] Una totalità, che si realizza nello svolgersi del fenomeno; un contesto di effetti, che non è possibile ricostruire giustapponendo gli elementi, perché in essi è contenuta di volta in volta la totalità»18 .Una realtà è davvero “dotata di forma” e non solo aggregata e assemblata quanti- tativamente quando gli elementi che la compongono non s’ammassano in modo caotico e informe, ma si strutturano secondo la propria specifica funzione nell’intero. Un principio unitario presiede alla connessione delle diverse dimensioni e proprietà specifiche che appartengono a un ente e così lo configura con una propria e specifica identità. Figura in tal senso sono però tutti gli enti come to- talità caratterizzate da una forma (lo sono un cristallo, un organismo vivente, un’opera d’artigianato come un martello, una figura geometrica come il triangolo…) e a tale livello, il suo più basso, la per- sona rimane ancora “cosa tra le cose”, ente tra gli enti, pur nella sua specifica unità “formale” di vita corporea, psichica e spirituale.
La dimensione formale acquista però un nuovo carattere non appena passiamo dall’àmbito di ciò che è inanimato a quello della vita. Qui c’è un decisivo salto di qualità dalla totalità dotata di forma meramente cosale a quella vivente. Già «nella pianta si mostra qualcosa di nuovo:essa vive e cioè ha una interiorità: il cristallo non è tale.[…Si tratta di] quel peculiare salto di qualità che avvertiamo quando osserviamo la germinazione di un seme oppure la fioritura di un bocciolo; nel primo caso [col cristallo] eravamo di fronte ad un unico àmbito: presenza come dato materiale; qui gli àmbiti sono due: quello dell’elemento esteriore corporeo direttamente dato, ma anche, dietro ad esso o al suo interno, quello dal quale scaturisce, ad esempio, il movimento della crescita e s’addentra il pro- cesso dell’alimentazione. Anche qui dunque siamo al cospetto di una totalità, dal momento che i due àmbiti non sono separabili l’uno dall’altro; tutto quanto di esterno osserviamo in una pianta rin- via al suo àmbito interiore, in altri termini, in ogni elemento della sua corporeità appare la sua di- mensione interiore. Ogni forma vivente ha “profondità”, intensità…[…]Abbiamo dunque un’unica totalità, dispiegantesi però in due àmbiti; e tuttavia questa totalità ha una dimensione in più rispetto
16. 16 Ivi, p.68 e p.67.
17. 17 Europa-Realtà e Compito, cit., pp.276-277.
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Etica, cit., p.198.
ad una mera cosa»19.
Un secondo e più elevato elemento qualificante la persona è il suo essere individuo, non generico individuo, ma un’individualità vivente. L’individuo vivente si “autodelimita” e insieme si “autoaf- ferma” in due modi. Anzitutto si crea e si ritaglia un ambiente (Umwelt) riferito a sé, una sorta di ri- duzione del mondo nel suo complesso orientata e diretta agli scopi propri del singolo essere vivente: «L’individuo è dato dal fatto che l’essere vivente sussiste in una forma determinata, si costruisce a partire da se stesso, introduce elementi dell’ambiente circostante in sé medesimo e li rielabora nella propria costruzione, si conserva nel suo ambiente, si adegua alle sue condizioni, si afferma contro di esse.Tutto ciò che vive sussiste nella forma di individui»20 viventi. In secondo luogo si distingue progressivamente dal genere e dalla specie di appartenenza in modo da non essere «soltanto un caso di questo genere [o di questa specie], ma qualcosa d’unico in se stesso»21 con una propria identità. Una tale emersione e distinzione individuale s’accentua di grado quanto più in alto sta l’essere vi- vente. Il disancorarsi da genere e specie con il correlato affermarsi dell’individualità è un valore che nel contempo rende però meno sicuro il sussistere dell’individuo. Individualità viventi sono – sep- pur in modo diverso dall’uomo – anche piante ed ancor più gli animali. Più forte è fuor di dubbio la loro subordinazione alle esigenze della specie e del genere, più limitata la possibilità autoaffermati- va individuale, più circoscritta la porzione di mondo che si possono ritagliare come ambiente pro- prio.
Sia per i viventi non umani, sia per l’uomo, il singolo individuo è sempre definito a partire dal suo centro, che non è spaziale, ma vivente. Il “centro vivente” è interiorità che si rapporta col mondo esterno grazie alla percezione sensibile, alla capacità d’attribuire significati al reale mondano per poter poi orientarsi in esso, alla “spontaneità” dell’azione, progressivamente non necessitata. In tal senso è chiaro che è ben diversa l’individualità vivente di una pianta, di un animale o di un uomo. Il passaggio dalla cosa inanimata all’individuo vivente non è stata (e non lo è ancora) una presa d’atto facile per il pensiero, tentato dal materialismo o comunque da ogni concezione monistica che non intende cogliere «la diversità del linguaggio delle forme, il carattere specifico dei processi e delle modalità comportamentali esistenti tra le due strutture»22 e che determinano un’impossibile conti- nuità qualitativa.
Il passaggio diviene certo ancora più importante anche se non meno impervio sul piano della defini- zione quando si tratta di chiarire la differenza specifica tra l’individuo semplicemente vivente non umano e l’uomo. Abbiamo visto che l’elemento caratteristico dell’essere vivente sta nel fatto che la sua totalità formale realizza una dialettica tra àmbito esterno ed interno con una oscillazione che non è mai casuale ma puntualmente regolata. Essa rinvia ad un’istanza ordinatrice che Guardini chiama “centro della vita” deputato alla strutturazione, conservazione, autoaffermazione e riprodu- zione dell’individuo vivente. Tutto ciò si può cogliere nella “spontaneità” che è diversa nella pianta e nell’animale: nella pianta la necessità si sposa con la “spontaneità” che scaturisce dalla sua inte- riorità e in tal modo instaura la relazione con l’ambiente e con le sue mutazioni, mentre la “sponta- neità” animale sembra già meno gravata dalla necessità. Il rapporto dialettico interno-esterno nell’a- nimale si fonda infatti sui processi della percezione e della memoria e ciò fa sì che la “spontaneità” animale sia, fuor di dubbio, più elastica e sciolta, abbia una mobile produttività, determini un’attivi- tà – almeno nelle specie animali superiori – finalizzata e fortemente differenziata che tuttavia non raggiunge mai una modalità tale da dissolvere il carattere della necessità. Essa, al di là di analogie ardite, mai raggiunge la “spontaneità” propriamente umana: «Una necessità particolare [quella ani- male]che è forse con altrettanta profondità diversa da quella del comportamento vegetale, quanto questa lo è da quella dei processi chimico-fisici, ma tuttavia necessità. Noi abbiamo sempre ragione di definire il principio che governa la spontaneità dell’animale come un Es, e non mai come un “Io”»23.
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Ivi, pp. 201-202.
Ivi, p. 202.
L’esistenza del cristiano, Milano 1985, p. 405. Etica, cit., p.203.
23 Ivi, p. 205.
Oltre che figura e individualità vivente la persona è “personalità” (Persönlichkeit). A questo punto – e solo a questo punto- diviene finalmente evidente lo scarto e la discontinuità tra l’uomo e gli altri individui viventi vegetali e animali e decolla il senso proprio della persona umana. La personalità è infatti quella particolare forma dell’individualità vivente, in quanto è determinata dallo spirito: «In cosa consiste l’ultimo fondamento reale del carattere di persona? Che cosa deve essere l’uomo per potere esistere come persona? […] Egli deve essere spirito. […] Nell’uomo esiste ciò che chiamiamo “spirito”, non solo lo “spirituale”, ma lo spirito reale, individuale; non lo “spirito tout court”, ma lo spirito finito. […] Il mio spirito non è legato entro i contesti e i limiti di ciò che ha carattere di res, ma è semplice, indissolubile, indistruttibile e si muove in libera iniziativa di per sé. […] È in virtù dello spirito che l’uomo ha la capacità di prendere le distanze dalla realtà immediata, di trascenderla verso l’alto e verso l’interno»24. L’uomo non possiede solo delle qualità o determinazioni spirituali, ma è un soggetto spirituale. Infatti la qualità spirituale possiamo rintracciarla in ogni elemento della natura. Basti pensare, dice il filosofo, a quanto spiritualmente satura e ricca sia semplicemente la struttura di un atomo! Ciò che è diverso è che l’atomo non sarà mai soggetto, ma solo oggetto. Un atomo non è mai un essere spirituale ma l’opera dello Spirito creatore che vi lasciato il suo stigma. La persona è invece spirito proprio in quanto soggetto spirituale, quale spirito individuale incorpo- rato lasciato libero d’attuare il proprio essere: «Ciò che sostiene il carattere di persona è lo spirito che come tale è reale, individuale, finito. Lo spirito umano occupa una posizione peculiare nel mon- do, da un lato, è legato al corpo, di cui costituisce l’anima, l’interiorità, e in questo senso è nel con- testo della Natura; dall’altro, esso può svincolarsi da questo contesto e contrapporsi ad esso, proprio in questo modo facendo del corpo fisico in genere un corpo vissuto, in tutto e per tutto diverso dal corpo di un animale. Questo spirito individuale e finito è tale da fondare quella possibilità di stare in se stesso e di agire su di sé,che non può essere creata a partire dal solo àmbito materiale: la persona»25. Proprio perché la persona in quanto spirito è soggetto e non oggetto non può mai essere maneggiata e quindi manipolata, è sì finita ma ospita in sé qualcosa di incondizionato, reca in sé un accento di assoluto. Tale approdo pneumatologico della visione della persona in Guardini è conse- guito con passaggi successivi. Anzitutto l’essere della persona come “essere-Io”. Non c’è persona che non sia contemporaneamente un Io: «Quando domando: “Chi è là?” si risponde: “Io”, o forse, se si vuole essere più precisi: “Io, nome e cognome”. Quando domando: “Chi ha fatto questo?” si ri- sponde: “Io”. […] Questo però significa che la domanda e la risposta, in quanto costituiscono un rapporto fondamentale dell’esistenza umana, si muovono fin dal principio all’interno di un carattere definito dall’“essere-Io”»26. Ciò non avviene mai di fronte ad un animale, tanto meno di fronte ad una pianta. Lirismi ed antropoformismi possono sentimentalmente individuare nello stormire di fo- glie e fronde o nell’abbaiare di un cane un “Io” ma si tratta di analogie che, soprattutto in riferimen- to all’animale, superano positivamente una concezione meramente biologistica ma con il rischio di incorrere in un’impropria e affrettata assimilazione dell’animale all’elemento umano. O, che è lo stesso, ad una assimilazione dell’uomo all’animale. Modalità comportamentali apparentemente ana- loghe assumono una valenza effettivamente spirituale solo nell’uomo: «Gli stessi movimenti, atteg- giamenti, forme di azioni possono riproporsi su piani diversi: in condizioni di siccità, l’albero lascia cadere le foglie; il cane che ha combinato qualche guaio abbassa le orecchie e la coda; l’uomo che ha commesso qualcosa di proibito, a meno che non persista pervicacemente nell’ostinazione, esibi- sce dei gesti che esprimono abbattimento e sprofondamento; questi tre fenomeni di depressione sono assai simili, ma hanno un significato ogni volta diverso: a livello dell’albero, quello di affati- camento fisiologico causato da una diminuzione della pressione linfatica; nell’animale, quello del rimpicciolirsi per la sensazione della simbiosi [con il padrone] disturbata; nell’uomo, quello della coscienza: “Io ho mancato” »27. Solo il comportamento umano induce a porre sempre un Io come centro da cui viene la “spontaneità” dell’uomo e l’Io ci dice che il carattere di necessità vegetale e animale nell’uomo è superato: l’uomo sta in se stesso e le sue azioni derivano da un’iniziativa auto-
24. 24 Ivi, p. 219 e pp.193-194.
25. 25 Ivi, p. 220.
26. 26 Ivi, p. 205.
27. 27 Ivi, pp. 207-208.
noma ovvero da un “inizio o principio suo proprio”. Tale inizialità e principialità rivela che l’uomo possiede se stesso, dispone di sé, gli appartiene il suo agire in un modo del tutto particolare poiché esso ricade in toto sulla sua responsabilità. La “personalità” è dunque l’autonomia dell’uomo, il modo in cui l’uomo e solo l’uomo sussiste e si atteggia nel mondo dei viventi.
Una tale autonomia umana segnata dalla “personalità” ha, per Guardini, tre caratteristiche fonda- mentali: è conoscenza e auto-conoscenza, è libertà-volontà, è creatività.
1) La conoscenza umana è diversa dalla semplice percezione animale poiché essa «presuppone che chi conosce prenda le distanze dal diretto contesto della natura, che si allontani dall’oggetto che si propone di conoscere e lo comprenda da questa distanza. Ovvero comprenda l’oggetto nella sua es- senza, come verità, a partire dalla libertà di questa distanza, prescindendo dalle funzioni che quel- l’oggetto potrebbe avere per la vita. Agire così è possibile solo all’uomo ed anche all’uomo solo in un particolare atteggiamento, quello del confronto interiore tra l’Io e il suo oggetto»28. Non è più semplicemente in gioco dunque, come per l’animale, un potere percettivo più o meno sofisticato con una sorta di rimbalzo interiore, un potere che rimane del tutto funzionale alla sopravvivenza, ma si tratta di una vera e propria consapevolezza del proprio stesso atto percettivo, razionale, valu- tativo. Una piena coscienza di quell’atto decisivo e fondamentale insieme che comprende e ricono- sce pienamente l’altro da sé: in ultima analisi un’autocoscienza che è insieme anche autogiudizio29. Conoscenza umana in senso proprio è la capacità consapevole di comprendere i significati e insie- me di attribuirli, di emettere quindi un giudizio di verità e di valore. Potenza d’attribuzione semanti- ca e veritativa insieme: qui è di fatto il discrimine tra uomo e scimmia, qui è il vero salto nella cate- na evolutiva. Una vera e propria conoscenza si dà solo quando la semplice percezione viene com- piutamente elaborata intellettualmente e conduce a capire il senso; ovvero fin dall’inizio è ordinata all’atto di capire il senso. Ma è appunto ciò che, solo, fonda l’autentica “interiorità di coscienza”, premessa di ogni conoscenza umana. Questo costituisce un confine che non viene mai oltrepassato da qualsiasi genere di prestazioni d’adattamento da parte di scimmie superiori. Guardini vuol così frantumare una lettura dogmatica dell’evoluzionismo: nessuna “interiorità biologica più evoluta” potrà mai condurre là dove sono in atto l’effettiva potenza d’attribuzione veritativa e semantica, la capacità di cogliere e valutare il reale per il solo e gratuito amore di conoscerlo e non tanto per il mero bisogno di sopravvivere. Autocoscienza e conoscenza in senso vero e proprio si danno poi sol- tanto quando il processo della percezione e la serie degli atti che si costruiscono su di esso sono ef- fettivamente determinati dal valore della verità: «La persona, essendo riferita in modo essenziale alla verità, giunge al senso del prorio essere esclusivamente mediante la realizzazione della verità: essa esiste in vista della verità e come possibilità permanente di realizzarla. Vi può essere la persona solo se c’è la verità, perché un essere che appartiene a se stesso è pensabile soltanto in quanto consapevole di se stesso. Di conseguenza, la persona è responsabile anche della verità, e nella verità ha il suo sostegno e la sua difesa… La persona e la verità si coappartengono essenzialmente e ne è prova il fatto che ogni atteggiamento che rinnega la persona, rinnega, se fa sul serio, anche la verità stessa»30 come avviene in tutti i regimi politici totalitari dove alla verità si sostituisce lo slogan come dottrina comandata e come prescrizione per il pensiero. Cancellando la verità si cancella in- sieme la persona consegnata in balìa del potere come misera cellula impotente d’un ingranaggio esteriore. Invece la conoscenza orientata al vero fa sì che l’uomo non possa mai essere sostituito da nessuno, egli solo può istituire il confronto tra sé e l’oggetto. L’animale invece nel suo atto percetti- vo può sempre essere surrogato come quando un membro del branco ha il sentore del pericolo e tut- ti i componenti reagiscono all’unisono. Anche l’uomo può entrare in questa logica divenendo così una sorta di patetico grammofono che ripete passivamente altrui affermazioni, ma in tal modo non realizza né conoscenza autentica né rapporto autentico con il vero poiché ogni atto conoscitivo im- plica l’assunzione in proprio della responsabilità del giudizio. Ciò significa che la persona si realiz- za nella conoscenza a patto però che ciò implichi effettiva autonomia, un essere interiormente soli con se stessi, l’impossibilità d’essere in ciò surrogati o rappresentati da alcuno. E il giudizio verita-
28. 28 Ivi, p.209.
29. 29 Cfr. L’esistenza del cristiano, cit., p. 407.
30. 30 Etica, cit., p. 211. Il corsivo è nostro.
tivo è ovviamente più importante e richiede un effettivo azzardo esistenziale, un giocare ed un arri- schiare se stessi, quando non si limita più ad un’osservazione obiettiva del reale ma implica una decisione sul senso della vita: rilevanza meramente conoscitiva e rilevanza personale non sono certo la stessa cosa.
2) La persona si realizza anche nella libera volontà. L’atto libero-volitivo autentico non è semplice- mente l’impulso all’autoconservazione e all’auto-affermazione che caratterizza anche l’animale. Li- bertà significa nell’uomo la capacità di procedere da sé in autonomia decisionale, la possibilità di prendere posizione e di decidere in rapporto a una propria valutazione della situazione. Peculiar- mente umana è in particolare la decisione che esige una valutazione con implicazioni morali. L’ani- male non può scegliere, decidere, volere e soprattutto valutare eticamente. Si scambierebbero in tal caso dei semplici meccanismi funzionali di adattamento all’ambiente vitale con il deliberato confe- rimento di senso che travalica ogni meccanismo funzionale d’adattamento e impegna la libera e ponderata – sul piano valutativo e valoriale – decisione dell’uomo. Solo l’uomo può dire sì o no, può decidersi di fronte ad un’istanza, può in ultima analisi dire sì o no al Bene (meglio aderire al bene benché si possa anche defezionare volontariamente da esso). La libera decisione non avviene infatti nel vuoto valoriale ma bene e libertà sono per Guardini connessi da un legame indissolubile. Anzi, sottolinea il filosofo, «senza il Bene la persona non può essere assolutamente. Il rapporto con il Bene, come quello con la verità, è la forma essenziale della sua sussistenza e del suo comporta- mento»31. Come già per la conoscenza orientata al vero, la controprova che il Bene è costituivo del- la dimensione personale (della “personalità”) è data dal fatto che ogni totalitarismo per cancellare la persona deve favorire la denegazione del Bene a vantaggio dell’utile, di ciò che promuove esclusi- vamente il potere. L’opzione per o contro il Bene è comunque e sempre personale: «Nessuno può volere il Bene al mio posto: devo farlo io stesso; il Bene si realizza nella misura in cui io- proprio io stesso, e non un altro -, mi addentro in questo volere e cioè la mia persona si colloca in questo vole- re. […] Da questa solitudine deriva l’indizio più importante del comportamento morale, vale a dire la responsabilità. Essa significa che la mia azione scaturisce dalla mia decisione e non da quella di un altro, che perciò essa mi appartiene nel senso che è moralmente imputabile a me e che devo per parte mia rispondere di essa»32.
3) La persona infine s’esprime soprattutto nell’attività creativa, che si distingue in modo radicale da quella animale perché è effettivamente “creazione” e non semplice “produzione”. L’opera d’arte in senso lato (anche artigianale) e la tecnica sono le forme proprie di questo creare dietro cui sta l’inte- riorità umana definita dallo spirito che esperisce il senso e gli dà forma esprimendo in ciò la propria energia creatrice. Le perfezioni che lasciano stupefatti delle “produzioni animali” sono reduplica- zioni d’uno schema già insito nell’istinto vitale come il formicaio per la formica, splendenti “prose- cuzioni degli organi animali”, mentre l’opera creativa dell’uomo travalica le opere animali perché scaturisce dallo spirito, dalle sue tensioni e dal suo azzardo33. In tale rischio originario e strutturale la tecnica, in senso immediato, è di certo meno sicura nei suoi esiti, fuoriesce dal grembo della na- tura, non è più insolcata nei suoi ritmi e nelle sue dinamiche. Essa non è in primis per il benessere e per la sicurezza come invece l’opera animale, anzi talora può opporsi nel modo più evidente ai bisogni vitali immediati, poiché non è più in gioco l’utile, ma l’opera in sé, la fascinazione esclusi- vamente umana per l’opera senza sapere se da essa verrà promossa la vita o non piuttosto messa in pericolo. Anche il “germe di creatività” che sorge nell’uomo è sempre di carattere personale, appar- tiene soltanto ad ogni singolo individuo umano che ne è responsabile, non è mai delegabile. Con- troprova anche in quest’àmbito è lo spirito totalitario che spegne ogni forma di creatività e in tal modo schiaccia la persona. Resteranno soltanto una scienza di stato, un’arte di regime, una Weltan- schauung fissata e cristallizzata una volta per tutte, un controllo universale che può divenire in ogni momento pura e semplice coazione.
In virtù dello spirito che la definisce, l’interiorità personale nell’uomo è assolutamente immisura- bile, sfugge al dominio, possiede un nucleo spirituale libero e imprevedibile. A partire dallo spirito
31. 31 Ivi, p. 213.Il corsivo è nostro.
32. 32 Ivi, pp. 212-213.
33. 33 Cfr. Mondo e persona, cit., p. 144.
muove verso l’altro da sé, ha coscienza dell’intero, non si imbatte soltanto nel mondo ma può in- contrarlo e in tal modo può incontrare anche se stessa invece di viversi passivamente. Infatti la «persona [è il] contro-polo del mondo: il primo fuoco dell’ellissi dell’esistenza – l’altro è tutto ciò che esiste “oltre” e “fuori” dell’uomo»34.
Riassumendo: totalità figurale, individualità vivente, personalità come spiritualità autocoscienzial- e-conoscente, libero-volitiva e creativa, non sono però per Guardini ancora la persona “in senso proprio”. Sono ancora approssimazioni, per quanto importanti, poiché tutto ciò suona ancora in ulti- ma analisi impersonale, chiarisce solo “che cosa è lì” ma non dice ancora “chi è” quella realtà.Infat- ti, còlta nella sua essenza, la persona possiede «una sua peculiarità di tipo formale: non è un “che cosa”, ma un “come”, e un “come” di specie particolare, quello che è identico al “chi”. Quando do- mandiamo: in che modo esiste l’uomo? possiamo rispondere: come persona, e cioè sempre come un “Io”»35. La persona “in senso proprio” è in definitiva l’Io inteso come quell’essere in grado davve- ro di autoappartenersi, che «sussiste in sé e dispone di se stesso. L’Io indica che […] l’uomo sta in se stesso e le sue azioni derivano dall’iniziativa, e cioè da un inizio o principio suo proprio. [L’Io dice] il fatto di possedere se stesso e di poter disporre di se stesso, con la conseguenza che anche il suo agire gli appartiene in un modo particolare: ne è responsabile.Tutto questo equivale a dire che l’uomo è persona ”36. Se l’Io si possiede nessuno può più espropriarlo della propria identità perso- nale e attentare ad essa. Potrà forse essere soggiogato esteriormente, schiavizzato, ma il potere al- trui può esercitarsi sull’essere psico-fisico, mai potrà sequestrare l’Io personale che io sono, che nessun altro può utilizzare e che rimane solo a me e per me quale mio fine: «Nessuno ha il potere di annientare il carattere di persona: si può uccidere un altro, lo si può mortificare, si può cercare di mutarlo negli aspetti organici o psichici attraverso qualche misura di una scienza e tecnica pervertit- e, ma, finché l’uomo resta uomo, resta una persona; e quindi, per quanto grandioso sia l’effetto pro- dotto dalle teorie, ogni concetto di questo genere è un sacrilegio»37.
Questa dimensione dell’Io autoappartenentesi che caratterizza in definitiva la persona fa sì che essa non sia mai surrogabile da alcuno, né che qualsivoglia altro la possa mai rappresentare. L’Io non può “essere abitato” da nessuno, perché è unico ed irripetibile. Se la persona è essenzialmente au- toappartenenza, tale peculiarità si declina sia sul terreno numerico-quantitativo (impossibilità del- l’Io di essere raddoppiato) che su quello qualitativo (impossibilità dell’Io di essere riprodotto)38. Il senso dell’Io, e di conseguenza della persona, sarebbe tolto se io ci fossi due volte: è l’incubo del sosia o del clone. Analoga eclissi della persona si dà in ogni forma di schizofrenia esistenziale, in cui io possa percepirmi come diviso e non più unito con me stesso, non più unico, ma due persone39. Oltre a tale scissione un ulteriore rischio che può incontrare l’effettiva identità personale è quello di cadere nel potere totalitario di un altro: in tal caso non si potrebbe più tenere in mano se stessi così come accade, dice Guardini, nelle fiabe in cui l’uomo vende la sua ombra ed essa vien ri- succhiata dallo specchio fatale. Sono tutti fenomeni analizzati in àmbito psichiatrico e definiti impropriamente e affrettatamente come disturbi della personalità, mentre sono semmai perturbazioni delle funzioni psichiche che sono alla base della coscienza identitaria della persona. Tale vissuto psichico patologico – o anche la sola apprensione che esso possa verificarsi – illumina per contrasto l’autentica identità della persona, il fatto che la persona non può esserci più volte, non può scindersi, non può perdersi di mano come invece può avvenire del mero individuo40. L’“essere-persona” significa dunque che l’uomo sta in se stesso e vive sussistendo in sé: grazie a tale autonomia e solo a partire da essa conosce, decide ed agisce. Non occorre essere dei grandi per- sonaggi per “essere persona”, non servono particolari performance, poiché quello di persona «è un concetto ontologico, e non di filosofia della cultura o pedagogico, che si riferisce all’uomo come
34. 34 Etica, cit. , p.894.
35. 35 Ivi, p.221.
36. 36 Mondo e persona, cit., p. 148 e Etica, cit., pp. 208-209. Il corsivo è nostro.
37. 37 Etica, cit., p.218.
38. 38 Cfr. Sulla sociologia e l’ordine tra persone, in Natura – Cultura – Cristianesimo, Brescia 1983, pp. 7-35.
39. 39 Cfr. Mondo e persona, cit., p. 149.
40. 40 Cfr. ivi, p. 150.
tale e non alle sue doti e prestazioni. L’uomo in quanto uomo è persona anche se scarsamente dota- to, anche se non còlto, anche se insignificante»41. Anche l’uomo che appartiene alla massa, nell’accezione spregiativa del termine, è persona. Anzi, al di là di ogni aristocrazia, l’idiota come caso-limite, dice Guardini, può essere il paradigma paradossale della persona: «Fondamentale è ri- flettere sull’idiota, poiché il carattere di persona in lui è difficilmente riconoscibile, è nascosto, la- tente. Ma, che esista la persona latente, in verità si mostra continuamente: per esempio quando un uomo dorme o quando, per un effetto qualsiasi, perde conoscenza, perché in tal caso, egli non può porre in atto l’autonomia personale, ma essa è presente: anche chi è addormentato, l’idiota, l’ipno- tizzato, anzi persino colui che non è più capace di consapevolezza è persona»42.Inermi, incapaci, minorati mentali, incurabili,criminali abbruttiti perfino, sono in qualche modo la forma di resistenza provocatoria dell’ “essere persona” dinanzi al principio centrale della teoria totalitaria per la quale l’uomo non è persona, non ha un valore incondizionato ma è solo e semplicemente un “individuo biopsichico” o un caso sociologico. Quando Guardini afferma che il carattere di persona è un che di “categorico” che lo sottrae ad ogni diritto e presa su di esso di un’ istanza di potere non ha presente solo gli orrori del nazismo o di altre forme di totalitarismo politico, ma anche la società contempo- ranea con il suo sottile totalitarismo delle prestazioni, dell’utile economico, del salutismo: «In ulti- ma analisi la persona non è valutabile in base al criterio di valore dell’utilità, ma è assoluta…L’esi- stenza umana non è soggetta al criterio del benessere, ma è una entità tragica…che non deve esistere per necessità; ma se esiste, deve essere posta sotto la norma dell’inviolabilità»43.
La persona è data ad ogni uomo come diritto inalienabile ma nel contempo gli è affidata come com- pito etico, cui non può sottrarsi al punto che essa è in certo modo il suo “destino”: non è mai possi- bile togliere di mezzo il proprio originario carattere di persona e quindi l’uomo è persona e tale ri- mane, lo voglia o no…Subdola appare la tentazione d’evadere da se stessi e dalla propria coscienza di persona con la connessa responsabilità etica nelle forme dell’ebbrezza in tutte le sue tipologie, della dichiarazione d’impotenza dinanzi ad un troppo impegnativo stato di vigilanza, dell’oblio, del travestimento, della maschera. Tentazioni di “ricreazione”che finiscono con l’essere un tradimento perpetrato contro la persona. Mentre il primo compito di fedeltà nei confronti di se stessi è com- prendere appieno se stessi, stare in se stessi, attraversare a fondo se stessi, sostenere se stessi, essere intimi a sé, con quello stupore fecondo che cerca di far sì che il proprio Io coincida sempre con il «proprio nome, dove il nome rappresenta l’essenza (il Kim di Kipling)» e quindi la segreta identità spirituale-personale 44. È questa la valenza essenziale del rapporto di “cortesia” il cui soggetto per Guardini è sempre la persona, non solo la persona dell’altro che va rispettata, ma anche e anzitutto la propria che, nel rispetto dell’altra, onora se stessa. Non a caso ogni totalitarismo ha in odio la cor- tesia, vista come virtù da smidollati45 mentre proprio la cortesia richiede una grande finezza, sicu- rezza ed indipendenza interiori.
Come può reggere l’uomo questa sorta di imperativo categorico dell’essere persona in sé e poi an- che in riferimento agli altri? Se la persona ha un che di categorico, se essa è il modo in cui la totalità corporea-spirituale dell’uomo sussiste indipendentemente dal suo modo d’atteggiarsi nei confronti degli altri e da quello degli altri nei suoi confronti e finanche indipendentemente dal suo proprio modo di rapportarsi al suo stesso essere-persona, ciò significa che c’è un nucleo ontologico indispo- nibile. La persona è un che di possente, stupendo o spaventoso a seconda delle situazioni, ma va sempre sperimentata come un che di dato e proprio per ciò di ineludibile: «precisamente ricevo me stesso come questa determinata persona»46.La ricevo nella relazione con la Persona assoluta e infi- nita. Il carattere di persona si radica nell’essere la persona umana appellata dal Dio vivente che è un Dio personale e nella risposta che le è richiesta, cioè nel dover cor-rispondere ai criteri della Sua verità e santità. Ogni uomo, dice Guardini, è posto da Dio quale suo “Tu”, anzi «Dio è quell’Essere
41. 41 Etica, cit., p. 215.
42. 42 Ivi, p.216.Cfr. su questo anche il paragrafo Il medico e la persona, ivi, pp. 916-920.
43. 43 Ivi, p.218.
44. 44 Ivi, p.225.
45. 45 Cfr. ivi, pp.860-861 e pp. 873-874.
46. 46 Ivi, p. 507.
che è capace di fare di ogni uomo il “Tu”»47. Ciò è determinante per la costituzione della persona: «Ne risulta chiaramente che ogni uomo è unico nel suo carattere di persona e che nessuna persona può essere rappresentata da un’altra né rimossa né sostituita, perché ciascuno si trova nella singola- rità irripetibile della risposta responsabile di fronte a Dio che lo chiama. […] Non c’è persona senza Dio; poiché la natura ontologica della persona sussiste nel fatto che l’uomo è chiamato da Dio, che Dio si è posto in relazione con l’uomo dandogli del Tu. A partire da Dio l’uomo è persona- e a par- tire da Dio egli è libero. Non c’è libertà senza Dio. Di qui il rifiuto istintivo di Dio ovunque non si vuole la persona e la sua libertà. Dio sta alla persona come lo spirito sta al corpo. Egli è, se è con- cesso dir così, l’anima della personalità e della sua libertà»48.
Per Guardini l’uomo antico non possedeva tale nozione di persona che è peculiarmente ebraico-cri- stiana, poiché l’autentico concetto di persona, egli sostiene, non affiora neppure al di fuori del rag- gio di azione della Rivelazione e l’autentica consapevolezza della persona rimane viva solo dove e quando la fede nella rivelazione mantiene fermo il rapporto tra il singolo e Dio come persona.La persona infatti è “risvegliata dalla Rivelazione”49 e rimane possibile solo a partire da essa. Ma «la crisi postmoderna della vita sociale, economica e statale »50 sembra compromettere tale consape- volezza e provocare una nuova drammatica letargia per quanto riguarda la persona. Ciò si coglie nel fatto che gli atteggiamenti personali recedono sempre più e il comportamento umano assume un carattere sempre più meccanico mentre il fine a cui tutto sembra tendere è la funzione impersonale: «La persona viene devalorizzata davanti a sé stessa, fino a ritrarsi sempre di più e a divenire gra- dualmente latente»51.
Chiariti questi tratti decisivi (con le possibili cadute patologiche), la persona possiede e mantiene una sua peculiare inafferrabilità. Interrogato relativamente al mio “essere-persona” non troverò mai la risposta adeguata: essa infatti non è né il mio corpo, né la mia anima, né il mio intelletto, né la mia volontà, né la mia libertà, né il mio spirito. Meglio, tutte queste realtà sono la “materia” su cui e a partire da cui si può realizzare quell’evento fondamentale per il fenomeno della persona che è l’autoappartenenza, la presenza originaria di sé a se stesso da parte dell’Io. L’evento epifanico in cui si realizza la persona è “il fatto di poter e dovere insieme sussistere in se stessa”52. In tale conte- sto, e solo in esso, figura-individuo-personalità si intersecano e assumono il vero vólto personale. Vólto personale che è dato da due qualità irrinunciabili: la qualità dello stare in sé in autonomia on- tologica e la capacità di iniziativa autonoma, inedita e mai obbligata53.
4. L’autorealizzazione della persona
Dopo aver disegnato l’identità essenziale della persona, una domanda decisiva si impone: «Se la persona è veramente come l’abbiamo definita, e cioè il fatto che l’uomo sta in se stesso, è padrone di se stesso, entra in attività muovendo da sé e deve prendere posizione per se stesso, se è vero che colui che esiste in questo modo non può essere rimosso né rappresentato da altri e neppure annientato e sostituito da altri, se dunque ogni uomo è in via di principio un essere unico, non in vir- tù di doti e prestazioni straordinarie, per la posizione privilegiata o i possessi, ma proprio in quanto è persona, allora in che modo si trova fra tutti gli altri uomini? »54. La realtà della persona così con- figurata da Guardini nella sua autonomia originaria e strutturale, nella sua unicità ed irripetibilità, potrebbe esser fraintesa in senso autarchico, monadico e solipsistico. Nulla di più lontano dalla sua filosofia personalistica che non coglie certo né l’autoappartenenza della persona né la centralità dell’Io come indicatori di autosufficienza. In realtà la persona nella sua concreta attuazione sconta anzi una sua strutturale dipendenza indigenziale, è inserita in una dimensione relazionale:
47. 47 Etica, cit., p.244.
48. 48 Ivi, p.222 e p.835. Il corsivo è nostro.
49. 49 Cfr. ivi, pp. 825-826.
50. 50 Ivi, p.234.
51. 51 Ibidem.
52. 52 Cfr. Mondo e persona, ed. ted. di riferimento, cit., p. 129.
53. 53 Cfr. ibidem.
54. 54 Etica, cit., p.230.
«L’“uomo” è quell’essere che sta in se stesso e nel contempo è in relazione con altri»55.Anche su questo terreno avviene uno scarto decisivo in rapporto agli altri viventi: «Un’autentica relazione tra persone, come tale consiste nel fatto che all’interno del contesto oggettivo che di volta in volta si dà, un essere umano in quanto “Io” chiama un altro “Io” e quest’ultimo risponde come tale. La for- ma fondamentale della relazione intepersonale è proprio questa: l’“Io” della prima persona si rivol- ge a quello della seconda come al proprio “Tu”; quest’ultimo dal canto suo risponde come un “Io”, facendo del primo il suo “Tu”. Questo inserire in un rapporto, la relazione “Io-Tu”, non è possibile né tra cose né tra individui biologici, ma soltanto tra persone»56. Tale relazione Io-Tu è essenziale per l’attuazione della persona, per la sua stessa autoappartenenza poiché è «proprio nell’instaurare una relazione con un altro “Io” che l’“Io” attua in assoluto il proprio “essere-Io”»57. La relazione Io-Tu non è un tipo di rapporto analogo a quello che può esserci nello scambio o nell’influsso re- ciproco tra due sostanze che realizzano in tal modo effetti di carattere meccanico o chimico l’una sull’altra. Neppure è assimilabile a quello scambio tra animali che avviene per reciproca attrazione o per repulsione escludente tra due sistemi biologici ognuno dei quali dotato di una propria specifica teleologia: «Tutti i rapporti propriamente umani si fondano sul fatto che in essi non sono messi in relazione due oggetti o due esseri viventi, ma un “Io” e un altro “Io”»58. Certo anche il rap- porto tra le persone può ridursi ad un semplice “urto esteriore” come fossero due complessi sostanziali meccanici o chimici così come, nella lotta per la sopravvivenza, può generarsi un rapporto meramente animale che si limita alle logiche attrattive o più di frequente repulsive. È questa, per Guardini, non solo una prospettiva del passato ma soprattutto per il futuro postmoderno che ci sta dinanzi: «Le relazioni personali sono anche complesse e impegnative: esse devono creare convinzioni e mettere in moto la libertà dei partners… Ecco perché si cerca continuamente di sostituirle con rapporti di tipo meccanico; le conseguenze che derivano da questo fenomeno costituiranno la tragedia dell’epoca a venire»59.
Ogniqualvolta il rapporto è assimilabile a quello tra neutre sostanze o tra animali l’altro non è mai il Tu e – di conseguenza – neppure l’Io conosce la relazione vitale con il Tu. Per Guardini il rapporto Io-Tu richiede il superamento di ogni logica esperienziale soggetto-oggetto: finché l’altro è mero oggetto e non piuttosto centro autonomo e costitutivo d’un mondo proprio non sarà mai per l’Io un Tu. L’altro diviene Tu per l’Io solo quando, cessata la relazione asimmetrica soggetto-oggetto, ab- bandonata un’ottica esperienziale che vuol catturare l’altro nel mio mondo, nella persona dell’altro emerge l’Io dell’altro che è fine a se stesso e non più a me. Allora soltanto l’Io si imbatte nell’Io dell’altro e vi si relaziona e quell’Io diviene per lui un Tu60. Proprio perché quello che gli sta di fronte non è più l’oggetto ma il Tu, anche l’Io può finalmente disvelarsi e “apparire” così come ve- ramente è, cioè la realtà unica ed irripetibile che appartiene a sé, non come tesoro geloso, ma como dono per il suo Tu61. La relazione con il Tu è l’unica e autentica possibilità per l’epifania dell’Io, fe- nomeno che subito svanisce non appena subentra la mera relazione soggetto-oggetto…
Occorre dunque far spazio al Tu per incrociarlo con giustizia ontologica che scarta ogni mira annes- sionistica e con un amore che non vuol avvolgere l’altro in una prospettiva fusionistica ma che opta per la direzione opposta, rimane semplicemente in attesa come un Io mendicante in cerca del Tu che ammette la propria debolezza: «Il vincolo derivante da questa relazione non è più debole di quello fisico dell’essere incatenati o di quello biologico della dipendenza dall’istinto, o ancora di quello psicologico della suggestione, ma semmai è più forte di questi. Per essere più precisi: è un legame più debole nel senso della forza: se afferro una persona, essa non può opporre resistenza se io ho la forza necessaria, ma l’effetto della violenza esercitata si estende sempre e solo quanto la forza fisi- ca; se invece mi rapporto all’altro come persona e colgo la sua persona, entrano in movimento la
55. 55 Ivi, p. 231.
56. 56 Ivi, p. 233.
57. 57 Ivi, p.235.Il corsivo è nostro.
58. 58 Ibidem.
59. 59 Ivi, p.236.
60. 60 Cfr. L’esistenza del cristiano, cit., p. 288.
61. 61 Cfr. Etica, cit., p.235.
sua libertà, coscienza, carattere, e posso instaurare un rapporto con il mio, la cui qualità è di tipo eti- co e il cui raggio di azione è imprevedibile»62.
Guardini vede il muovere incontro al Tu da parte dell’Io come un’apertura che mostra il proprio “vólto interiore”: cade così quella barriera sottile, quello schermo illusoriamente protettivo che con- sisteva nell’“oggettività cosale (Sachlichkeit)” del mio atteggiarmi verso l’altro e finalmente mi mo- stro nella mia nudità di vólto inerme. Un’apertura, un’autorivelazione di quanto è proprio e abitual- mente segreto, di ciò che è autenticamente umano il che equivale a dire non solo: «“Tu sei là: io sono io; rivolto verso di te, così come la situazione impone di volta in volta, nel rispetto, nella fiducia, nella fedeltà, nell’amore”, ma anche: “Io sono quest’uomo, ti mostro il mio vólto, ti svelo la mia interiorità che si può rivelare solo in tale volgermi (e corrispondente rivolgermi a te…” »63. Cer- to perché ciò si compia occorre reciprocità: solo quando l’altro mi consente di diventare a sua volta il suo Tu così come io sono davvero e non come egli mi vorrebbe la relazione può davvero decolla- re. L’Io si apre al Tu, esattamente come fa il Tu nei suoi confronti: solo in tal modo si dischiude quella dimensione d’interiorità dell’Io che altrimenti rimarrebbe del tutto inaccessibile e sigillata. Quando tale reciprocità accade la persona può conoscere la propria feconda attuazione ed anzi solo ora è presente l’atteggiamento pieno di chi è persona e si annodano i destini in senso personale64. Ciò non vuol dire che l’Io possa relazionarsi al Tu solo avendo già in tasca la cambiale della reci- procità. Occorrono sempre una dimensione fiduciale e insieme un azzardo: «Questa relazione com- porta naturalmente il suo rischio: la persona che è là può anche chiudersi in se stessa e rifiutare la nostra chiamata, può rimanere nell’atteggiamento di semplice oggetto senza mai diventare un “Tu”: tutto allora rimane silenzioso ed io ho sprecato quanto è mio; l’interlocutore può anche far cadere in rovina la relazione dopo il suo sorgere, la può interrompere, la può tradire: questo rischio inerisce a tutte le relazioni personali, che, appunto per questa ragione, sono rischiose; esse non si fondano mai sulla certezza, ma solo sulla fiducia, la “certezza” è data solo nell’àmbito di necessità, è calcolabile e ottenibile a forza, la “fiducia” si riferisce invece alla libertà e deve essere osata»65.
La relazione Io-Tu e di conseguenza l’attuazione della persona conosce gradi diversi: inizia dalla se- rietà con cui si prende l’altro, prosegue nell’attenzione, nella dichiarazione di disponibilità, nel col- loquio, nella “sympatheia”66 nel suo significato letterale, per finire con l’incontro vero e proprio, nella promessa, nell’intesa, nella comunione di vita e d’opera, nell’annodarsi di un’amicizia, nelle relazioni fiduciali e nell’amore. Relazioni che possono durare un attimo come nel fugace incontro che s’esprime in un semplice incrocio di sguardi e in un saluto, ma che possono anche fondare la comunione d’una vita intera e saldare comunanze d’azione e d’opera molto durature67.
5. Persona e incontro
La relazione Io-Tu ci porta dritto alla visione personalistico-dialogica guardiniana che vuol marcare una propria specificità in due direzioni: contro il personalismo attualistico, ad esempio di Max Scheler, e contro l’individualismo. Prospettive opposte e purtuttavia reciprocamente dipendenti. Entrambe, per Guardini, dissolvono la realtà della persona. Per il personalismo attualistico non solo la persona si attua nella relazione dialogica Io-Tu, ma sussiste e consiste solo in tale relazione, tolta la quale è tolta insieme la persona nella sua vera essenza. Per l’individualismo che equipara persona ed individuo la persona sta bene nella propria crisalide e non ha bisogno di attuarsi fuoriuscendo da sé e andando incontro al Tu per cui tale direzionamento dialogico è sempre opzionale, mai essenzia- le e tanto meno costitutivo. Per Guardini invece, la persona ha sì sempre bisogno dell’altra persona per pervenire alla pienezza di sé e per attuarsi compiutamente, ma non per essere in quanto tale per- sona. Si attua certo nella relazione Io-Tu, ma non sorge ontologicamente da tale rapporto. Ha un suo
62. 62 Ivi, pp.235-236.
63. 63 Ivi, p.235.
64. 64 Cfr. Mondo e persona, cit., pp. 164-165.
65. 65 Etica, cit., p.236.
66. 66 Possibilità e limiti della comunità, in Natura – Cultura – Cristianesimo, cit., pp. 36-54; in part. p. 50.
67. 67 Cfr. Etica, cit., p.237.
presidio ontologico indipendente dalla prospettiva relazionale-dialogica anche se ciò non significa che il rifugiarsi in esso in modo autoreferenziale sia il destino proprio della persona nella sua verità. Questo semmai sarà la derìva patologica individualistica. La posizione equilibrata di Guardini è quella che vede nella persona un patrimonio ontologico pregresso che certo è già dato ad essa (frut- to della relazione primaria e creante con il Tu divino) ma che troverà il proprio inveramento e la propria autenticazione solo nel rapporto dell’Io con il Tu. La persona non sorge nell’incontro anche se si attua davvero solo in esso. Ciò non toglie che in linea di principio non esiste in senso pieno un essere della persona nell’unicità solipsistica: priva dello sbocco relazionale essa si rattrappisce in una sorta di entropia ontologica.
In tal senso, come già affermava Ebner, l’essenza della stessa esistenza spirituale della persona si svolge e si realizza costitutivamente come parola e come linguaggio. E il linguaggio non è sempli- cemente un sistema segnico d’intesa mediante il quale due monadi entrino in scambio ma lo «spazio di senso e la struttura di forme nel quale l’uomo si muove»68. Infatti «l’uomo vive nel linguaggio; ma, siccome il parlare è sempre un parlare diretto a un altro, l’uomo vive nel dialogo; non esiste la persona isolata […] in ragione della sua intima essenza»69verbale. Grazie al linguaggio l’Io si rivol- ge sempre ad un Tu: parlare è sempre dialogare tra un Io e un Tu. La vita e l’attività spirituale e rela- zionale della persona si attuano dunque nella parola e grazie alla parola e proprio la parola è ele- mento distintivo della persona che ne marca l’abissale distanza dall’animale. Grazie al linguaggio può verificarsi l’incontro tra le persone, incontro nella parola e grazie alla parola che è però parola autentica soltanto nell’opposizione polare con il silenzio70. Solo alimentandosi di silenzio la parola non decade a chiacchiera e solo sfociando nella parola il silenzio non diventa misantropico muti- smo. Grazie alla parola appellante e a quella di risposta sorge tra l’Io e il Tu la comunione nel senti- re, si crea una comunanza di rapporti con reciproca e feconda dipendenza, si determina un vitale “spazio di senso” tra chi parla e chi ascolta, anzi tale “spazio di senso”sorge solo in virtù di questo reciproco parlare ed ascoltare71. Parlare significa manifestare noi stessi nella parola, quando l’inter- iorità non vibra più solo in se stessa e l’anima non si ritrae consegnandosi al silenzio. Ma «non esi- ste forse anche il monologo? non è forse possibile che io parli con me stesso? Il silenzio non com- porta in senso assoluto, l’ingresso nella solitudine interiore? […In realtà] non esiste un monologo perfetto: esso è almeno sulla via di diventare un dialogo; non posso dire qualcosa a me stesso se mi trovo, come parlante, nello stesso atteggiamento e funzione di chi ascolta: parlare è sempre un pas- sare oltre, trasmettere oltre, un aprirsi all’altro»72. Ed anche il silenzio, se non è la cupa prigionia del mutismo, può essere un che di assolutamente positivo e pregnante proprio sul terreno dialogico: «Nel rapporto che si può instaurare tra due persone il tacere insieme è una tra le cose più belle, quindi non soltanto il fatto che i due non si disturbano l’un l’altro con la loro parola, ma proprio che i due entrano insieme nel silenzio. Il fatto che possano farlo dice molto sulla loro coappartenenza costitutiva, mentre, se non ne sono capaci, è il segno che anche il loro colloquio non è autentico né plenario, ma è solo una chiacchiera, e che perciò tra di loro non c’è una vera comunione»73.
Se con la parola autentica e dialogica la persona si rivela all’altro, incontra l’altra persona, con tale umano balbettante parlare e dialogare diventerà imago Trinitatis, fragile immagine del dialogo ar- chetipo intratrinitario: infatti «lo stesso carattere di persona di Dio si compie nella forma di un eter- no dialogo tra Padre e Figlio, nell’energia creatrice di fecondità e unità dello Spirito»74 A ragione Hans Urs von Balthasar ha còlto come in Guardini ed esplicitamente solo in lui «venga alla luce una traccia della reale immagine trinitaria della persona»75.
La lettura verbale e dialogica della persona fa sì che «connesso al fenomeno della persona, se ne fa
68. 68 Ivi, p.242.
69. 69 Ivi, p.244.
70. 70 Per la filosofia della parola e la correlata filosofia del silenzio in Guardini mi permetto di rinviare al mio volume:
Silvano Zucal, Romano Guardini, filosofo del silenzio, Roma 1992.
71. 71 Cfr. Etica, cit., pp.237-238.
72. 72 Ivi, p.243.
73. 73 Ivi, p.244.
74. 74 Ivi. p.243.
75. 75 Hans Urs von Balthasar, Homo creatus est, Brescia 1991, p. 108.
chiaro un altro che è della massima importanza per la comprensione dell’esistenza umana, e cioè l’incontro (Begegnung)»76. Realtà molto ricca e complessa oltre che potenzialmente ambigua. L’in- contro non è un impatto fisico od un urto reciproco come avviene quando due palle da biliardo mes- se in moto da due giocatori si scontrano né il convergere di due organismi come accade quando un seme di vischio cade sulla corteccia d’un albero. Non si tratta di incontro neppure quando un anima- le s’imbatte in un altro e ne sorge una lotta. Incontro vero e proprio è l’incontro d’un uomo con un altro ma non quello che accade quando incontra un altro uomo che, girando velocemente dietro un angolo , si scontra con lui. Può però accadere «che i due viandanti, dopo la prima sorpresa, si fermi- no l’uno di fronte all’altro, si guardino negli occhi e si riconoscano come due persone che non si sono viste da lungo tempo: in tal caso, ci sarebbe un incontro. […O anche con uno sconosciuto] pos- so ad esempio accorgermi improvvisamente del vólto della persona alla quale sto dando un’infor- mazione, posso notare un dispiacere, una paura, la bontà, ed ecco si compie l’incontro»77. Perché ciò possa accadere deve esserci, come condizione fondamentale la libertà in entrambi i protagonisti dell’incontro. Non può esserci incontro in un’azione reciproca meramente meccanica, biologica, psicologica, istintuale. Tale libertà per l’incontro la possiede solo l’uomo, mai l’animale: l’uomo non è mai costretto ad entrare nella relazione d’incontro Io-Tu ma può farlo. Il Tu, conosciuto o sco- nosciuto che sia, nell’incontro diviene una persona precisa con la sua energia, la sua intensità, il suo carattere, la sua bellezza interiore che io sperimento nella sua irripetibilità. Tanto più vado incontro al Tu «con forza originaria […]tanto più profondamente, non appena il percorso dell’esperienza inte- riore mi vi conduce, comprendo l’uomo in generale. Se l’incontro è completo, anche l’altra persona mi nota: si verifica allora l’incontro tra due vólti, tra quanto è più proprio dell’uno e dell’altro; uno sguardo trapassa nell’altro; possono sorgere relazioni del tipo più vario e si può attuare un destino»78.
L’incontro non riesce sempre, il momento deve essere favorevole. Per momento favorevole non va inteso solo un che di esteriore (una particolare atmosfera, una tonalità emotiva particolare), ma, da parte e dell’Io e del Tu, l’atteggiamento d’apertura maturato, la deposizione di ogni obiettivo, l’at- tenzione, la disponibilità, la disposizione ad aiutare e il riconoscimento del bisogno d’esser soccors- o, una capacità di condivisione di gioia e di dolore: «L’incontro non viene combinato, messo assie- me, ma scaturisce nei mille momenti che lo costituiscono […]. Ci accorgiamo dunque che il fenomeno dell’incontro tende a confluire in quello più comprensivo della disposizione superiore o del destino»79. Un incontro non può mai essere costruito a tavolino, poiché nessuno può mettere in conto tutti i fattori necessari al suo felice accadere e ciò determina il fallimento di tutti i tentativi fatti per favorire incontri tra persone, poiché anche la scelta e la preparazione più accurate si scon- trano con la molteplicità di tali fattori e la sottile mobilità di un’autentica combinazione d’incontro. Ogni vero incontro richiede anche creatività, un aprirsi degli occhi, dello spirito e del cuore, un es- serre afferrati e un afferrare, una risposta non affettata ad una sollecitazione: tutto questo in modo assolutamente spontaneo e scaturente dalla libertà. Per questo vale l’antico monito che ogni incon- tro autentico vien disturbato quando lo si vuol troppo e soprattutto lo si programma. Ed è una derìva tipica della contemporaneità la logica degli incontri costruiti e programmati.
I grandi incontri possono solo essere un dono, mai ottenuti per diritto o tanto meno estorti con la forza ed infatti «ogni genuino incontro desta anche una sensazione di qualcosa di immeritato, un sentimento di riconoscenza o almeno di stupore nella considerazione del modo in cui esso si sia combinato tanto singolarmente o tanto bene. Queste reazioni non affiorano sempre necessariamente alla coscienza, ma costituiscono un atteggiamento, un elemento che, a seconda di ciò che emerge e dalle circostanze, può diventare qualcosa di interamente soverchiante»80. Nell’evento dell’incontro l’esistenza si fa finalmente piena, giusta, sana e integra. In esso non emerge solo ciò che è essenzia- le ed unico ma anche il mistero, l’indisponibile, che chiede stupore, riconoscenza, scossa interiore.
76. 76 Etica, cit., p.245.
77. 77 Ivi, pp.246-247.
78. 78 Ivi, p.250. Il corsivo è nostro.
79. 79 Ivi, p.251.
80. 80 Ivi, pp.252-253.
In fondo l’incontro tra Io e Tu ha il suo punto di riferimento nel passo evangelico (Mt 16,25) in cui si dice che chi si tiene stretto il proprio Sé lo perderà, mentre chi lo sacrifica, lo ritroverà in pienez- za: «L’uomo non sussiste in se stesso, da se stesso, per se stesso, ma “in direzione di”, nell’arri- schiarsi verso l’altro da sé. L’uomo è se stesso e lo diventa sempre più in quanto rischia di non essere se stesso […]; volendo esprimersi con il linguaggio quotidiano, possiamo dire: l’uomo diven- ta se stesso nella misura in cui abbandona se stesso, non però nella forma della leggerezza, del vuo- to d’esistenza, ma in direzione di qualcosa che giustifica il rischio di sacrificare se stessi»81. Senza questo distacco ed abbandono di sé, senza l’ingresso convinto nella dedizione, l’Io rimarrà abbarbi- cato a se stesso, si sarà certo tenuta stretta la sua anima, ma si sarà smarrito nell’impossibilità del- l’incontro con il Tu. Se invece si dà, si apre, diventa lo spazio recettivo in cui si potrà manifestare anche l’altro. Occorre una sorta di ék-stasis, una fuoriuscita da sé, uno star fuori da sé: ogni incontro è sempre l’incrocio di una duplice ék-stasis, dell’Io e del Tu . Le relazioni instaurate e gli incontri potranno essere di volta in volta diversi, ma essi avvengono sempre grazie a questa capacità della persona di trascendere se stessa, divenendo solo grazie a ciò pienamente persona. Solo quando la persona rinuncia a sé e si allontana da sé, ponendo il proprio baricentro fuori di sé, si immette in di- rezione di chi gli viene incontro e gli si apre. E scopre la gioia e la fecondità della propria vera auto- realizzazione.
81 Ivi, p.256.

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