La bellezza

                             


“… Però a differenza delle altre realtà che ho appena menzionato, nessuno nega l’esistenza della bellezza.

Si può negare l’esistenza di Dio, dell’anima, della giustizia, persino dell’amore, ma non della Bellezza.

La bellezza è lì e basta aprire gli occhi per vederla, anzi talora si rivela anche a occhi chiusi perché rispunta della nostra memoria.
Quale bellezza salverà il mondo?

Per rispondere a questa domanda è necessario anzitutto chiarire da che cosa può salvare la bellezza.

Io sostengo che la bellezza ci salva dalle tre minacce che incombono sulla nostra esistenza, due delle quali sono strutturali per la condizione umana in quanto tale, mentre la terza è legata alla particolare congiuntura di questo momento storico. 
La prima minaccia è l’aggressività, la rabbia, la violenza, la volontà di potenza, la sete di dominio, di oppressione, la logica del branco, del clan, insomma in una parola sola la cattiveria. 
La seconda minaccia è la depressione interiore, l’assenza di significato, il collasso interiore, il nulla nichilistico, in una parola sola: la paura.
La terza minaccia è la tecnocrazia incombente che può derivare dall’immenso potere della tecnologia.

La tecnologia già oggi vince la mente degli umani, in particolare la mente dei più giovani, da essa il rischio dell’estinzione della libertà e quindi della qualifica essenziale di noi che ci siamo qualificati Homo sapiens.

Questa terza minaccia è la prigionia.
La prima minaccia, che ci può portare alla perdizione, è la cattiveria, ma la bellezza ci può salvare; nel senso che l’incontro con essa ci rende in grado di uscire dall’angusta logica noi o loro, la logica del branco, la logica del clan.

Se Infatti amo la bellezza la saprò riconoscere dovunque, anche in colui che avverso come nemico, con il risultato che costui non sarà più tale per me. Molto spesso ciò che dà identità a un essere umano è anche ciò che lo divide da tutti quelli che non condividono le sue caratteristiche, contrapponendolo in modo ostile in una logica imprigionante; ciò fa sì che la più forte identità genera spesso anche la più forte intolleranza.

Ebbene è da questo nesso identità-violenza che la bellezza può salvare, con il suo potere trasfigurante che dilata e allarga il nostro io e lo spinge, direi quasi lo costringe, a superare se stesso nel proprio ristretto orizzonte.
Dalla paura di vivere la bellezza può salvare, nel senso che l’incontro con lei riempie la vita di meraviglia e così rende in grado di sconfiggere il non senso, l’assurdo, il nulla, che deprimono in noi l’istinto vitale.

Fare esperienza di bellezza può davvero significare ricevere una specie di relazione che a partire dalla bellezza di qua giù ci parla di un’altra più vera bellezza che scriverei con la maiuscola e che, come diceva Platone, ci mette le ali e così la vita acquista slancio, direzione, significato, sapore. 
La bellezza può essere davvero una rivelazione, può essere davvero l’annuncio del vero mondo al quale apparteniamo e al quale possiamo ritornare mettendo, come diceva Platone con questa immagine bella quanto naturalmente fantastica, mettendo le ali volando verso di esso.
C’è un aspetto sconosciuto alle generazioni precedenti rispetto al quale la bellezza può essere salvifica, mi riferisco alla tecnologia e all’immenso potere che essa sempre più esercita sulla mente e sulla libertà umana con il pericolo di passare da tecnologia a tecnocrazia.

Il mondo perfetto e forse impeccabile che la tecnologia sta preparando per noi potrà essere più comodo più efficiente, ma io penso che certamente non sarà più bello.

Anzi è probabile il contrario perché adesso mancherà quell’elemento costitutivo della bellezza che è l’irregolarità, l’unicità, la singolarità irripetibile.

La Natura lo insegna, la bellezza esiste solo dove si dà caos, irregolarità, imperfezione, un po’ di disordine, ovviamente in concordanza con la legge opposta, quella del logos, della regolarità, della perfezione, dell’ordine; anche per la bellezza insomma, come per ogni altro fenomeno, vale la formula caos più logos.

Senza caos nulla è vero ed è bello, così come non lo è senza logos.

Perché, vi chiedo, le città costruite artificialmente di punto in bianco per volontà governativa, magari anche progettate dai migliori architetti, quanto a bellezza non valgono una sola piazza di Roma, un solo canale di Venezia?

A mio avviso perché esse sono così logiche da manifestare solo il logos e da risultare prive della fantasia imprevedibile del caos.

La vera bellezza invece è sempre fatta a mano; il fare a mano richiede tempo, il tempo lungo imprevedibile sempre caotico della storia e fare a mano lascia spazio all’irrompere del caos, delle imperfezioni, degli errori; la macchina con la sua velocità certo può imitare la bellezza, ma con le sue molte riproduzioni tutte perfette alla fine la serializza, quindi la consuma e la esaurisce.”

“A essere sincero io non so se la bellezza salverà il mondo, sono però sicuro che può salvare quel piccolo pezzo di mondo che è in ognuno di noi, nutrendosi di bellezza il nostro io a poco a poco si libera delle sue ristrettezze, dalla sua volontà appropriativa, nonché dalle sue paure e dalle sue ansie, si libera insomma da tutto quel magma incandescente, e a volte anche marcescente, il cui insieme denominiamo Ego, spesso all’origine del cosiddetto male di vivere e di tanto squallore interiore.

Per questo Platone fa dichiarare nel Simposio alla misteriosa straniera di Mantinea “è questo il momento nella vita che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un essere umano, quando contempla il bello in sé”.

Quando Benedetto Croce dice “ciascuno ha la filosofia e la religione di cui è degno” intendeva dire che il senso della nostra vita dipende da noi, dai nostri desideri, dalle nostre abitudini, dalle relazioni che scegliamo di coltivare e da quelle che scegliamo di troncare.

E’ dall’insieme della vita concreta che scaturisce la filosofia o la religione di un individuo, cioè la sua filosofia di vita.

E’ quindi probabile che quelli che negano all’essere umano capacità di giustizia, di bene e di bellezza interiore, siano proprio nella situazione di non vedere né il bene né la giustizia né la bellezza interiore, perché non le conoscono; cioè mediante la negazione teoretica del bene, della giustizia e della bellezza interiore, essi esprimono la loro disposizione pratica e operativa verso l’esistenza, una disposizione plasmata da un costante orientamento calcolante, utilitaristico, talora predatorio, l’utilitarismo professato a parole dalla mente e prima ancora praticato nei fatti dallo stile di vita. 

Per quanto mi riguarda la filosofia e la religione di cui vorrei essere degno consistono nel fare della Bellezza lo scopo del mondo, o forse più semplicemente, del mio essere al mondo.

Di quella bellezza che compete a un essere umano, non può che risiedere qui il senso della vita.

Io sono convinto che la condizione umana ai nostri giorni sia giunta a un punto tale che o facciamo un salto di qualità, diventando più spirituali, cioè più veri, più buoni, insomma più belli e umanamente migliori, oppure le nostre esistenze saranno sempre più inquiete, depresse, vuote, violente.

Il dramma però è che la gran parte delle proposte che ci potrebbero far compiere questo salto spirituale è insufficiente.

Le religioni, posso sbagliare naturalmente, ma le religioni per me sono per lo più impreparate, anacronistiche, incapaci di offrirsi come rimedio alla futilità e hanno un senso di cui spesso siamo preda, anzi non sono rari i contesti in cui esse contribuiscono ad alimentare l’odio e la violenza.

Quanto alle filosofie, o sono intrappolate in un lessico e in argomenti che le rendono autoreferenziali e incapaci di comunicare al di fuori del ristretto ambito accademico, quindi poco utili, oppure sono così pervase dal nichilismo da risultare lontane dal poter offrire prospettive di salvezza, semmai acuiscono il problema.

Che fare quindi, come recuperare la gioia di essere uomini o anche solo la gioia di essere?

Perché di questo c’è bisogno per sanare la malattia che incombe sulla condizione umana qui in Occidente, della gioia naturale di essere, gioia che è più del piacere, più della felicità perché abbraccia tutte le dimensioni dell’esistenza umana, cioè il corpo, la psiche e lo spirito. Io penso che al riguardo la ricetta sia la bellezza, concordo in questo con Simon Weil.”

Filippo Mancuso

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