Un italiano in Danimarca



Da oltre quarant’anni è in atto una fase di transizione, o più propriamente stiamo assistendo a una radicale mutazione del sistema-mondo del capitalismo occidentale.

Tale mutazione è finalizzata alla definizione di un nuovo e più forte sistema di potere che possa durare nei secoli futuri, e ha avuto origine all’inizio degli anni Settanta dello scorso secolo. 

Si tratta di una scelta obbligata da parte del sistema capitalista che, per la prima volta, sì è ritrovato a dover affrontare la concretezza della sua più grande e più grave crisi. 

Il trentennio della grande ricostruzione postbellica, gli anni del Boom economico all’insegna del compromesso tra politica keynesiana e grande dimensione industriale fordista, era di fatto finito e, dinnanzi all’evidente impossibilità di trarre massimo profitto da un’attività di produzione e sfruttamento che aveva raggiunto il suo picco e volgeva al declino,appariva al Capitale estremamente arduo trovare una soluzione. 

E così, sul finire del XX secolo, la soluzione a tale crisi di sistema apparve, come ha di recente sottolineato Wolfgang  Streeck, “guadagnare tempo”, imporre la supremazia assoluta della finanza nell’attesa che negli anni a seguire il capitalismo potesse dotarsi di un suo nuovo e più ed efficiente assetto. 

La vita di Bruno Amoroso, quella dell’economista ribelle e militante, copre i quaranta anni che ho sommariamente descritto. 

Ebbene più di quaranta anni fa un giovane allievo di Federico Caffè̀, tra tutti il più vicino al maestro, lasciava l’Italia per trasferirsi a Copenaghen. 

La Danimarca appariva agli occhi di quel giovane, che vi approdò̀ come lavapiatti assistente, il contesto più idoneo per dare continuità ai suoi studi di economia keynesiana e a quanto aveva appreso a Roma da Caffè. 

Maturare esperienze in un Paese scandinavo, per chi come lui era rimasto affascinato dagli scritti di Gunnar Myrdal, primo tra tutti Beyond the Welfare State del 1960, significava entrare dentro logiche efficienti di Welfare, confrontarsi con una realtà socialdemocratica che basava l’offerta completa di protezione sociale sui requisiti della cittadinanza e della residenza e che aveva ispirato significative modifiche al Welfare corporativo della Germania, della Francia e del Belgio. 

Quel contesto stimolante non lo deluse affatto.

Bruno Amoroso divenne in tempi rapidi, ma non senza sacrifici, professore di economia all’Università di Roskilde, un’università sperimentale che, nata nel 1972 a seguito di una “secessione accademica” sessantottina, si caratterizzava per la sua offerta formativa interdisciplinare. 

Ebbene, senza alcuna enfasi, un giovane economista italiano in una giovane università si rivelò una combinazione perfetta tanto che la sua vita divenne coincidente con la storia della RUC. 

A Roskilde maturò le sue prime significative esperienze d’insegnamento e di ricerca, testimoniate dalla pubblicazione de Lo Stato imprenditore(con Ole Jess Olsen)e del Rapporto dalla Scandinavia, e a Roskilde, nel tempo, Amoroso fece confluire il suo mondo, dal suo maestro Federico Caffè ai suoi colleghi e amici più cari, Pietro Barcellona, Riccardo Petrella, Nico Perrone e tanti altri. 

La Danimarca di quel giovane economista italiano divenne la base vitale per una apertura al mondo inimmaginabile da sperimentare e realizzare a quel tempo in Italia, un’apertura che non si limitava al solo Mediterraneo, ma che riguardava anche l’Asia e che per oltre trenta anni ha dato impulso ad uno scambio continuo e fecondo di pensiero che si è concretizzato in attività di ricerca innovative e in un offerta didattica vivace e sperimentale capace di attrarre studenti da tutto il mondo. 

Amoroso e l’avvio della Globalizzazione 

Troppi eventi erano maturati nell’esiguo arco temporale degli anni Settanta, eventi che non sfuggivano ad Amoroso.

Nixon aveva nel 1971 sancito la fine del sistema di Bretton Woods e imposto il dollaro quale unità basilare dello scambio monetario internazionale al posto dell’oro; lo Shock petrolifero del 1973 e la nascita del’OPEC con le sue ripercussioni sull’Occidente; le politiche di stop agli immigrati in Germania e Francia; 

L’inizio della crisi della grande dimensione industriale e la scoperta della disoccupazione; gli anni di piombo in Italia e le azioni della RAF in Germania; il 1979 della rivoluzione iraniana e dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan, ma anche il passaggio del testimone alla Casa Bianca tra Carter e Reagan. 

Un turbine di eventi tanto straordinari quanto devastanti che a distanza di decenni è facile ricollegare all’avvio del mutamento sistemico del capitalismo occidentale ma che nel loro tumultuoso presente era impossibile ricollegare e comprendere nella loro reale essenza. 

Per Amoroso era comunque chiaro che fosse in atto un cambiamento importante, che si fosse chiusa definitivamente la fase di crescita economica e sociale dei Paesi dell’Europa occidentale. 

Certamente non poteva ancora comprendere la portata rilevante della rivoluzione imposta dal capitale, ma aveva ben chiaro che la finanza avesse preso il posto della produzione quale principale fattore di arricchimento, così come intravedeva le conseguenze della rottura del capitale con lo Stato. 

Era inserito in un contesto, il mondo scandinavo, che gli permetteva di osservare quanto accadeva da un punto privilegiato.

Non bisogna dimenticare, infatti, che già nel1971 alcuni economisti scandinavi paventavano i rischi di una possibile supremazia del capitale finanziario, favorita dalla riforma di Nixon, e invocavano l’adozione di misure di controllo sui capitali, la realizzazione di forme di democrazia economica che fossero gestite nell’interesse pubblico e l’avvio di iniziative di solidarietà internazionale. 

Alla fine degli anni Settanta, come dimostrano le sue pubblicazioni, gli era ben chiaro il destino del settore statale dell’economia.

Aveva già compreso che lo Stato imprenditore avrebbe avuto il tempo contato e che la sua fine sarebbe avvenuta per progressivo indebolimento, determinato ad un livello internazionale.

Al di fuori dello Stato, ingerenze e pressioni che negli anni sarebbero state sempre più forti, erano esercitate dai monopoli internazionali.

In altri termini, prima di molti altri economisti e studiosi, quell’italiano che insegnava da pochi anni a Roskilde, e che aveva appena dato alle stampe Lo Stato Imprenditore, iniziò a parlare di Globalizzazione, sebbene come tutti, in un tempo in cui non esisteva tale definizione, non la nominasse affatto. 

Aveva intuito che un processo economico, oscuro e tutto da scoprire, era stato avviato e che alla guida vi fossero poteri economici che oltrepassavano i confini degli Stati, un processo che nel corso della sua vita Amoroso avrebbe approfonditamente analizzato e messo in discussione, e al quale avrebbe criticamente e in radicale contrasto legato il suo nome.  

Si legga a tal proposito l’articolo di Bruno Amoroso, Ricostruire dal basso un sistema monetario internazionale in Europa e nel Mondo, pubblicato online da Inchiesta online (Edizioni dedalo):

htp://www.inchiestaonline.it/economia/bruno-amoroso-ricostruire-dal-basso-un- sistema-monetario-internazionale-in-europa-e-nel-mondo/ 

Gli anni Ottanta e l’abisso neoliberista 

Gli anni Ottanta furono per Amoroso un decennio fondamentale, la decade nel corso della quale la svolta impressa dal sistema ha iniziato a produrre le sue prime azioni destabilizzanti. 

Il neoliberismo era in azione negli Stati Uniti con Ronald Reagan e in Gran Bretagna con Margaret Ilda Thatcher, ed era stato appena sferrato un violento attacco al settore pubblico con gravi ripercussioni sociali. 

L’acronimo thatcheriano TINA, There Is Not Alternative (Non c’è alternativa), legittimava una corsa sfrenata alla privatizzazione, la chiusura delle imprese pubbliche, i tagli alla spesa sociale e altre bieche azioni, presentate come inevitabili per fronteggiare la crisi da soggetti politici che in realtà operavano per liberare quanto più spazio possibile agli interessi economici e alla speculazione dei grandi soggetti privati. 

Gli anni ottanta furono gli anni delle grandi speculazioni finanziarie, del oyuppismo, ma anche gli anni di terribili eventi. 

Prima dell’epilogo del 1989, del crollo del Muro di Berlino che avrebbe poi dato pieno impulso al’azione globale del neoliberismo, le speranze per la realizzazione di un’Europa diversa, realmente comune e pacifica, influenzata dal socialismo scandinavo  dello svedese Olof Palme e dei danesi Anker Jørgensen e Lasse Budtz, furono brutalmente cancellate. 

Il sistema di potere del più ampio sistema capitalista occidentale, incarnato dal Presidente statunitense Reagan, infatti aveva già deciso di attuare la sua strategia per il crollo dei Paesi socialisti dell’Est, e a tal fine era divenuta priorità assoluta la drastica rimozione all’interno dell’Europa occidentale del socialismo scandivo e di altre possibili scomode interferenze. 

L’atto più drammatico – lo ha ricordato bene Amoroso – fu l’omicidio di Olof Palme, al quale seguì un terremoto politico devastante così da lui riassunto anni dopo: 

Tolti di mezzo gli scomodi scandinavi, la campagna di destabilizzazione si estende al Regno Unito, muove verso il Sud dell’Europa, passando per la Germania e la Francia.

Fatto crollare il sistema dei paesi socialisti e dei paesi del terzo mondo che ad essi si appoggiavano nel corso degli anni Ottanta-Novanta venne il momento della resa dei conti con i paesi del sud, l’Italia e la Spagna in particolare.

Inizia cioè l’operazione «mani pulite»che consegnerà il sistema politico italiano e spagnolo ala fedeltà indiscussa alle nuove strategie del capitalismo e cioè alla loro adesione acritica e servile ala globalizzazione e a una Europa «occidentalizzata».

Al termine degli anni Ottanta la Globalizzazione neo liberista era pertanto ben avviata e per di più nel mondo occidentale era sostenuta culturalmente, legittimata da un mondo accademico colonizzato dal neoliberismo e dalla convinzione di massa che il benessere avesse trionfato sullo spettro della recessione del decennio precedente. 

Ad Amoroso tutto ciò appariva mostruoso, oltre che ingiusto. 

Innanzitutto non poteva accettare un’idea di benessere che rimandasse ad un consumismo becero, finalizzato all’idiozia di individualità atomizzate che nel loro appagamento effimero, principalmente quello della loro immagine e del loro apparire,si conformavano ad un sistema che traeva ricchezza dalla loro conformità.

Il benessere, quello vero, era per lui esclusivamente quello risultante da uno Stato del benessere al quale, come tanti suoi colleghi scandinavi, aspirava.

Ma poi, sopratutto, era consapevole che era entrato a pieno regime un processo iniquo e persino criminale, la Globalizzazione, nelle cui dinamiche non solo era impossibile creare una separazione tra legale e illegale, ma si realizzava anche un’assoluta connivenza tra potere economico e finanziario e criminalità organizzata. 

Il crollo del Muro di Berlino, l’implosione dell’Unione sovietica e la fine definitiva della guerra fredda non erano i grandi eventi che rappresentavano la “quadratura del cerchio” di una rivoluzione europea, e neanche erano il preludio di una fine del la storiache aprisse ad un futuro assai prossimo per l’umanità di pace, democrazia e mercato.

Il neoliberismo aveva, piuttosto, ottenuto l’accesso al’intero pianeta e si aprivano opportunità straordinarie di arricchimento derivanti da una possibilità di sfruttamento e di saccheggio, sia di risorse umane sia di risorse ambientali, senza precedenti.

Altro che “villaggio globale”!

Altro che prospettiva neokantiana di pace perpetua! 

Il mondo nelle mani delle forze economiche e finanziarie neoliberiste dell’Occidente triadico non era altro che un mondo di miseria e di sfruttamento, di marginalizzazione e saccheggio. 

E il nome che Amoroso diede ad un simile inferno fu, appunto, Apartheid globale. 

Ebbene gli anni Ottanta si rivelarono determinanti perché lo indussero ad occuparsi totalmente della globalizzazione, avviando un percorso di studio e di ricerca, ma anche di azione, 

Era in tal modo che nei suoi libri Bruno Amoroso definiva il sistema-mondo del capitalismo occidentale.

La Triade Occidente triadico era costituito dagli Stati Uniti, dall’Europa occidentale e dal Giappone, realtà all’interno delle quali aveva avuto origine un sistema di potere costituito dall’insieme della finanza,delle multinazionali, della grande industria militare.

Una parte limitata del pianeta incamerava con la Globalizzazione una ricchezza difficilmente quantificabile, ma soprattutto godeva di ogni vantaggio derivato dal suo essere interessata da una rete fittissima di flussi materiali e immateriali a fronte di un intero pianeta segregato e sfruttato oltre ogni limite, che si concretizzò pienamente nel corso degli anni Novanta e che culminò nella pubblicazione di Della Globalizzazione. 

Le sirene non incantano e i ruggenti anni Novanta non esistono. 

Se dovessi definire gli anni Novanta di Bruno Amoroso li definirei senza dubbio gli anni del grande sforzo per il policentrismo come risposta al’apartheid della Globalizzazione guidata dall’Occidente triadico. 

L’età dell’accesso, della quale parlava con eccessiva enfasi Jeremy Rifkin, riguardava esclusivamente una parte esigua del pianeta dal momento che le infinite opportunità offerte da internet e dalla tecnologia, così come la libertà di movimento, erano appannaggio esclusivo del mondo occidentale che aveva potuto estendere oltre misura la rete dei Mussi delle merce del capitale. Il mondo globale si espandeva e arricchiva di fatto grazie al’immediatezza garantita dallo sviluppo tecnologico. 

Della Globalizzazione è un libro che ha fatto storia, sia perché fu uno dei primissimi testi scientifici che affrontavano esaustivamente, con ricchezza di fonti e dovizia di dettaglio, il processo della Globalizzazione sia perché la sua uscita rappresentava la  critica più forte mossa contro tale processo.

Ancora oggi, a distanza di anni questo libro di Amoroso, tradotto in inglese e in altre lingue, ristampato di recente negli Stati Uniti (ma non in Italia!), resta un fondamentale riferimento per comprendere cosa sia stata e abbia rappresentato la Globalizzazione tra gli anni Ottanta e Novanta.

L’operazione, dall’acquisto di beni allo spostamento di capitale da un luogo ad un altro, era a portata di click e non conosceva barriere perché, come sosteneva Zygmunt Bauman, la forza della Globalizzazione consisteva nel’affrancamento dai limiti-vincoli dello spazio e del tempo, e in ciò a trarne il massimo vantaggio era il capitale. 

Per Bruno Amoroso la Globalizzazione,che era «la forma assunta dal capitalismo per controllare il mercato e le risorse a disposizione e per poter ottenere profitti su scala mondiale», si basava sulla «coesione tra strati sociali e gruppi di potere privilegiati che sfruttano a proprio vantaggio principi di pianificazione, coordinamento, centralizzazione ed autorità», ricorrendo in modo strumentale all’ideologia della concorrenza e del libero mercato per accedere agevolmente nel sistema mondiale e per acquisire sempre più potere sui cittadini e i lavoratori. 

Tale processo non realizzava un mercato mondiale ma creava, invece, un vantaggio di grandissima proporzione alle forze economiche e finanziarie che la sostanziavano. Concretamente, più che acuire il divario tra centro (l’Occidente) e periferia (il resto del mondo), la Globalizzazione stava favorendo negli anni Novanta la concentrazione della ricchezza all’interno delle aree più ricche della Triade e, di conseguenza, estendeva lo spazio di sfruttamento e marginalità economica, oltre al Sud del mondo, anche alle realtà meno solide dell’Occidente. 

Era stata imposta una unidirezionalità di tutti i Mussi verso il centro, e si impediva che la totalità del mondo asservito potesse anche limitatamente essere interessato dai processi di crescita e sviluppo.

Era stato istituito un regime di Apartheid su scala planetaria che sarebbe divenuto sempre più duro e che, nella dilatazione della frattura all’interno dell’Occidente, avrebbe anche riguardato gli Stati meno forti dell’Europa, continente nel quale la quasi totalità della ricchezza ottenuta si concentrava nell’area assai ristretta della “Banana blu”o“Banana europea”. 

Rispetto a tale pericolosa realtà che andava sempre più concretizzandosi, Bruno Amoroso ha proposto una sua alternativa politica alla Globalizzazione neoliberista, basata sulla realizzazione del policentrismo delle meso regioni in risposta alla tendenza accentratrice e sui quattro anelli concentrici della solidarietà. 

Tale alternativa politica riguardava l’Europa, e più specificatamente la possibilità di dare origine ad un soggetto politico  continentale che realizzasse al suo interno i fondamenti traditi dall’Unione Europea, e che fosse in grado di relazionarsi con i grandi spazi regionali che la circondano e dei quali avrebbe dovuto riconoscersi parte: la regione mediterranea, quella baltica e quella danubiana. 

Come ha scritto nel suo Della Globalizzazione: In un contesto così ampio, in cui esistono forti asimmetrie di sviluppo tra paesi, aree e regioni, costituisce obbiettivo di primaria importanza il superamento della centralità dell’Unione Europea, assestata sul vecchio schema centro-periferia ad essa funzionale, sul quale si sono basate tuttele politiche economiche dagli anni sessanta in poi. 

L’alternativa a questo tipo di sviluppo e a queste politiche va cercata nella direzione di un sistema europeo basato sula cooperazione e sulla solidarietà invece che sulla competizione e sul con Mito: il disegno della nuova Europa che emerge da queste ipotesi piene di speranza appare fortemente basato sulle diversità delle sue maggiori regioni e culture e perciò naturalmente policentrico. 

L’Europa alternativa all’UE da lui proposta a metà degli anni Novanta avrebbe dovuto favorire lo sviluppo e la ripresa dei suoi Stati membri del Sud e del Nord secondo principi e criteri diversi da quelli nati, che hanno accresciuto la ricchezza del centro. Contestualmente ad un elettivo riequilibrio interno, il Sud e il Nord avrebbero dovuto integrarsi con i Paesi terzi del Mediterraneo, del Baltico e del Danubio.

«L’ipotesi solidaristica tra l’Unione e di paesi attualmente esterni ad essa si basa su una tradizione di cooperazione e mediazione tra i paesi interessati dimostrata durante l’intero periodo del dopoguerra che ha favorito, mediante i “contratti sociali” stipulati di fatto in ogni paese dalle forze sociali rilevanti, l’affermarsi agli inizi degli anni’80 di varie forme di Stato del Benessere». 

Bruno Amoroso e il Mediterraneo

Al centro delle tesi di Bruno Amoroso c’è sempre stato il Mediterraneo che, fin dal1991, anno di uscita del Primo rapporto sul Mediterraneo, era da lui considerato il più importante spazio regionale, e ciò sia in ragione delle sue ingenti risorse sia delle sue molteplici criticità. 

 B.AMOROSO (a cura di), Primo rapporto sul Mediterraneo:nuove prospettive di cooperazione economica, tecnologica ed istituzionale, Centro Studi sull’Europa del sud e il Mediterraneo-Università di Roskilde, Roskilde, 1991. 

L’interesse per il Mediterraneo divenne più forte a partire dal novembre del 1995, quando a Barcellona si tenne la conferenza per l’avvio del partnerariato Euro-Mediterraneo per la realizzazione entro il 2010 di un’Area di libero scambio Euro-Mediterranea. Si trattava di un’iniziativa che rispondeva ad un progetto marcatamente neoliberista e che, qualora avesse avuto successo, avrebbe realizzato uno scambio ineguale tra l’UE e i Paesi terzi mediterranei. L’Unione Europea, infatti, aspirava a divenire un potente Global competitore puntava alla sponda Sud del Mediterraneo quale suo spazio privilegiato al quale attingere per tale obiettivo. 

Rispetto ad una simile prospettiva Amoroso entrò nel dibattito in corso, al lo scopo di rettificare l’agenda seguita dai firmatari del processo di Barcellona. L’iniziativa di Barcellona, infatti, poteva a suo parere rappresentare una straordinaria opportunità per dare origine alla meso regione Mediterranea da lui auspicata e, quindi, avviare un reale processo di pacificazione dei con Miti che infiammavano la regione, incentivare il dialogo interculturale tra i popoli mediterranei e dare impulso alla cooperazione per uno sviluppo economico, sociale e ambientale equilibrato. E così non solo curò una ricchissima serie di rapporti interdisciplinari sul Mediterraneo, coinvolgendo esperti da tutto il mondo, ma, attraverso il Centro da lui diretto a Roskilde (Federico Caffè Center), diede impulso ad una serie di progetti che coinvolgevano direttamente partner della sponda Sud, creando una solida rete internazionale. 

Il processo di Barcellona però venne arrestato nel 2006 a seguito della decisione presa da Presidente della Commissione europea Romano Prodi di basare le relazioni tra l’UE e i paesi terzi mediterranei esclusivamente sulla sottoscrizione di accordi bilaterali tra singole parti. Si trattava di una decisione che poneva fine in maniera definitiva ad ogni speranza cooperativa nella regione e che, sopratutto, sanciva l’ufficiale disinteresse dell’Unione Europea riguardo al Mediterraneo, preferendo invece l’apertura ad Est fortemente voluta dalla Germania. 

L’Europa aveva in maniera scellerata deciso di non impegnarsi per la risoluzione dei gravi squilibri e delle criticità della regione mediterranea, preferendo una formula (quella dei rapporti bilaterali) che fosse aderente agli specifici interessi di un suo singolo Stato membro in un contesto specifico della sponda Sud. Si trattava di una decisione sulla quale pesavano certamente le conseguenze del post 11 settembre. La guerra lanciata da George W. Bush al terrorismo di Al Qaida, che aveva i suoi teatri di guerra in Afghanistan e in Iraq, aveva da una parte spaccato l’Europa occidentale sulla legittimità del sostegno agli Stati Uniti, creando una frattura tra l’asse franco-tedesco e quella pro-guera dell’Italia, della Spagna e della Gran Bretagna, dall’altra aveva contribuito ad alimentare forti contrasti con i Paesi arabi della sponda Sud in un Mediterraneo che era divenuto nella celebrazione dello sconto delle civiltà di Sam e l P. Huntington 20 il punto di massimo attrito tra l’Occidente e il mondo islamico. 

Per Amoroso era stato compiuto un gravissimo errore, poiché disinteressarsi delle criticità economiche, sociali, demografiche, ambientali e contrattuali che affiggevano la sponda Sud, lasciando che nel loro corso si aggravassero ulteriormente a causa dei nuovi conflitti, significava creare i presupposti di una catastrofe regionale che inevitabilmente avrebbe avuto gravissime conseguenze per l’Europa.

6 L’impegno di Amoroso nel mondo degli esclusi

L’opposizione di Bruno Amoroso alle iniquità e allo sfruttamento violento e intensivo della Globalizzazione non si è limitata al Mediterraneo. Amoroso, infatti, è stato attivo anche in altri contesti dell’apartheid globale, e in particolare in Asia.

La Cina, il Sud-Est asiatico (sopratutto il Vietnam), al pari di altre realtà ghettizzate entrarono pienamente nella sua vita e furono al centro dei suoi progetti e piani di azione finalizzati alla riduzione della marginalità economica e sociale, al riconoscimento delle libertà e dei diritti fondamentali negati. Ai rapporti che scrisse, alle sue denunce, si è aggiunto il suo agire concreto, quasi sempre lontano dai riflettori. Per intenderci insegnava all’Università di Hanoi ma poi lavorava attivamente nelle ONG in Vietnam, battendosi per il riconoscimento dei diritti negati, per il diritto allo studio dei minori e la loro tutela contro ogni forma di abuso.

E la medesima cosa accadeva in altre parti del Mondo e qualche volta riusciva ad ottenere ciò per cui si batteva. Era del resto un uomo risoluto, determinato nel cercare di creare contatti e relazioni, nel forzare l’isolamento e la ghettizzazione imposta ai Paesi nei quali operava. 

I suoi progetti realizzavano l’incontro e la cooperazione, coinvolgevano cinesi, vietnamiti, maghrebini, italiani e danesi, creando legami importanti e realizzando una vitale circolazione di idee e conoscenze-competenze. Era divenuto, in un certo senso, uno straordinario mediatore culturale, un promotore instancabile del dialogo e fermo sostenitore del bene comune in un mondo fortemente diviso dall’assolutismo di una privatizzazione globale e strangolato dal potere finanziario. 

Un inganno chiamato Euro e un progetto chiamato“Crisi”

Che “la coda del cane”, la finanza, guidi e orienti l’economia a Bruno Amoroso, da buon conoscitore di Keynes e al livello di Caffè, non poteva stare bene, ma ancora di più era per lui inaccettabile che il potere della finanza definisse un ordine mondiale più perverso e, sopratutto, più pericoloso del preesistente.

Guardando all’Europa, all’austerity imposta dalla BCE agli stati membri più colpiti dalla crisi, ha attaccato con risolutezza la Troika, evidenziandone le gravissime responsabilità riguardo all’imposizione di obblighi di adempimento che impoveriscono sempre di più le realtà periferiche europee e che, per contro, garantiscono l’arricchimento spropositato della finanza e delle grandi banche.

 Nella sua Teoria generale John Maynard Keynes paragonava l’economia ad un cane e, definendo anatomicamente la finanza come la coda, sottolineava che sarebbe stata un’aberrazione se il cane dell’economia reale fosse stato guidato dalla coda della finanza. 

L’UE guidata dalla BCE è di fatto parte integrante di un sistema di potere che tiene insieme banche, il mondo finanziario della City e di Wall Street, le Istituzioni della Globalizzazione (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, etc.), la Commissione Trilaterale e Bilderberg.

L’ UE è parte integrante di un potere globale che sta com battendo una guerra devastante ricorrendo all’ausilio del potere militare e di quello finanziario a seconda del luogo in cui ha bisogno diagire. In questo sistema rientrano appieno anche gli Stati nazionali che, ben lungi dall’essere stati demoliti dalla Globalizzazione, quasi un decennio non sarebbe altro se non l’obiettivo, raggiunto con successo, di un“grande progetto criminale”architettato dalla finanza, un progetto che tra le altre cose ha definitivamente relegato all’interno del vasto spazio dell’Apartheid globale i PIGS dell’Europa ricorrendo a due e caci strumenti di produzione della povertà: il debito e l’Euro.

Il debito era per Amoroso, né più e né meno, l’arma di ricatto politico in mano alle istituzioni della Globalizzazione. Sono divenuti “Stati predatori”, realtà nazionali che sono esecutori della volontà del sistema di potere e che sono guidati da soggetti adesso totalmente asserviti. Da quest’ultimo punto di vista è importante chiarire cosa sia uno “Stato predatore”, una definizione che Amoroso ha tratto dal libro del suo amico James Kenneth Galbraith intitolato appunto The Predator State.

Lo Stato è divenuto“predatore” perché, appunto, è guidato da un governo che è a tutti gli effeti, come ha dimostrato il caso degli Stati Uniti analizzato da Galbraith, un “comitato d’affari della borghesia globale”.

E nel caso dei principali governi europei la guida è direttamente coordinata dal la BCE, dal suo Presidente Mario Draghi. 

È importante, a chiusura di questa nota, riassumere al lettore la tesi di Galbraith secondo la quale il governo degli Stati Uniti era divenuto un vero e proprio“comitato d’affari” di una“borghesia globale”i cui membri, che sono alla guida dei principali governi ed istituzioni internazionali, compreso il Financial Stability Board istituito nel 2009, hanno con celerità dato vita ad un’azione di riforma che ha reso possibile il controllo da parte della finanza internazionale. 

Cfr.J.K.GALBAITH, The Predator State, How Conservatives Abandoned the Free Market and Why Liberals Should Too, TheFreePress,New York,2008.
23 Si invita su questo aspetto alla lettura dei libri più recenti di Bruno Amoroso: B. AMOROSO, Euro in bilico. Lo spettro del fallimento e gli inganni della finanza globale, Castelvecchi editore, Roma, 2011; B. AMOROSO e J. JESPERSEN, L’Europa oltre l’euro. Le ragioni del disastro economico e la ricostruzione del progetto comunitario, Castelvecchi editore, 2012 e B. AMOROSO, Figli di Troika. Gli artefici della crisi economica, Castevecchi editore, Roma, 2013. 

Un meccanismo strutturale del “potere unico” che, grazie al progressivo depotenziamento delle politiche sociali statali, affligge quattro quinti dell’umanità e che non risparmia neanche l’Occidente dove, nella marginalità dei guadagni conseguiti da un’economia reale che è stata in

massima parte ricollocata furi da esso, il capitale accresce la sua ricchezza basandosi sulla rendita, sugli interessi.

24. Il caso della Grecia era da questo punto di vista quello più emblematico, e riguardava un Paese che da tempo sperimenta misure estreme di austerity, con gravissime ripercussioni su una cittadinanza priva di tutela, in nome della riduzione di un debito impossibile da conseguire.

Amoroso denunciava che l’obbligo imposto alla Grecia dalla BCE, e avvallato da tutti i Paesi membri dell’UE, celava in realtà la più ignobile delle azione speculatrici perché mirava a dare continuità alla maturazione degli interessi, sia quelli legati ai prestiti concessi dall’Europa e dalla BCE al governo di Tsipras per fronteggiare la crisi, sia quelli riguardanti l’indebitamento originario dal quale continuavano a trarre ricchezza banche tedesche e francesi.

B.AMOROSO, Il debito pubblico come non ve l’hanno mai racontato, Goware, Firenze,2016.
«La vittima designata, il capro espiatorio greco, si ritrova da tempo a scontare la colpa di essere stato in maniera scelerata sostenuto e finanziato da prestiti concessi, senza alcuna garanzia di solvenza, da Francoforte e Parigi e la lentezza della sua agonia si spiega unicamente nell’imperativo della copertura salvifica degli istituti di credito coinvolti e dalla richiesta degli interessi maturati da parte del Fondo Monetario Internazionale.

Ma è stato sopratutto sull’Euro che nell’ultima fase della sua attività di studio ha focalizzato la sua attenzione. Secondo la sua tesi la moneta unica è stato un fattore determinante ai fini dell’accelerazione della trasformazione del modo di produzione del capitalismo contemporaneo, creando di fatto il presupposto per l’affermazione del potere finanziario e bancario in Europa. La sua entrata in circolazione, infatti, non ha solo implicato rigidità nei cambi per i 17 Paesi che lo hanno adottato ma li ha del tutto privati della loro sovranità monetaria e li ha sottomessi al dispotismo finanziario della BCE a guida Draghi che è divenuto ancora più insostenibile a seguito della crisi economica e finanziaria. 

Uscire dall’Euro era a suo avviso possibile e aveva individuato tre soluzioni possibili per uscire dalla trappola della moneta unica. La prima soluzione, che era la più difficile da realizzare, riguardava il recupero dell’Euro in una Unione politica dell’Europa che fosse il superamento del’UE.

L’ostacolo che Tsipras si è ritrovato obbligato a rinegoziare prestiti e che il precedente governo conservatore aveva sottoscritto, un carico assai oneroso preteso dai creditori per prevenire il fallimento delle banche private tedesche e in parte francesi che prima della bufera si erano prestate a tale gioco speculativo. A Tsipras e aVaroufakis non è mai stata concessa alcuna possibilità di rinegoziare il debito e ogni proposta greca di tale natura è stata sistematicamente respinta da Bruxelles».Cfr.B.AMOROSO e F.CAUDULLO,

Post Scriptum: rifessioni su una tragedia senza epilogo, in B. AMOROSO, La Depredazione del Mediteraneo. La responsabilità dell’Europa, Capitalismo predatorio e guerre per il dominio nel XXI secolo(a cura di F. Caudulo),pp.67-68.

La principale che avrebbe incontrato una simile soluzione era costituito, oltre che dalla ferma volontà della BCE e della stessa Germania a mantenere l’attuale assetto dell’Unione, dalla quasi sicura non adesione della Gran Bretagna e dei Paesi scandinavi. 

La seconda possibilità era il ritorno al sistema monetario europeo precedente all’Euro, una soluzione meno di difficile da realizzare e che presupponeva una linea politico monetaria di cooperazione basata su margini di variazione simili a quelli che contraddistinguono il rapporto tra la corona danese e l’Euro(+/- 15%) e su dei criteri di flessibilità pari a quelli che si hanno con la sterlina.In tal modo, in un’Europa nel la quale il ruolo della BCE sarebbe stato ridimensionato, non solo avrebbe fine la divisione europea provocata dall’Euro, quella tra i 17 dell’Eurozona e i 10 che ne stanno fuori, ma sarebbe persino possibile ridurre il divario tra centro e periferia, e nel tempo persino superarlo, istituendo un Fondo di Solidarietà tra Stati monetariamente sovrani. 

È importante ricordare a chi legge che Amoroso proponeva queste soluzioni prima della Brexit, e comunque tenendo conto della storica dipendenza e delle ambiguità che hanno caratterizzato la linea europea della Gran Bretagna.
Tale fondo per Amoroso, ricavato dalle quote parte versate dai Paesi con un eccesso di surplus o di deficit, avrebbe potuto sostenere efficacemente la ripresa economica e il riassetto produttivo degli Stati europei più deboli.

Alla BCE spetterebbe solo la funzione di coordinamento delle politiche monetarie nazionali in un sistema bancario che veda il ritorno dell’autonomia di Banche Nazionali, ognuna delle quali obbligata a rispondere al Ministero del Tesoro del proprioPaese.

La terza soluzione era per Amoroso l’Euro Sud, ma considerato intermini diversi da quelli della proposta tedesca. Il suo Euro Sud, infatti, era finalizzato al superamento della divisone tra Nord e Sud dell’Europa ed era uno strumento per la riaffermazione dell’autonomia delle realtà europee del Mediterraneo. Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, ma anche potenzialmente la Francia, istituendo il loro Euro Sud potrebbero creare una loro Eurozona all’interno della quale sia possibile sviluppare un loro mercato, riorganizzare i propri sistemi produttivi, dare via libera a politiche economiche di sviluppo che potrebbero dare nuovo impulso al l’economia reale e ridurre la disoccupazione.

Qualora non fosse realizzabile un Euro Sud, questi Paesi avrebbero la possibilità comunque di creare la loro zona Mediterranea e uscire dall’Euro. Sull’esempio del mondo scandinavo potrebbero dare origine ad un loro sistema di valute nazionali e di istituire un proprio Fondo di solidarietà. In tal modo si affrancherebbero dal diktat della BCE e, riappropriandosi della loro sovranità monetaria sebbene all’interno di una zona condivisa, potrebbero porre in essere quelle misure politiche ed economiche fondamentali che possano intervenire sul riassetto delle banche e permettere un efficiente controllo pubblico dei mercati e dei flussi del capitale. 

La proposta avanzata dalla Germania rispetto ad un Euro Sud corrispondeva ad una nuova strategia di controllo degli Stati europei del Mediterraneo che sarebbero divenuti l’appendice dell’Europa dei ricchi, e sopratutto della Germania, funzionale ai loro interessi finanziari e industriali.


Per un’altra Europa, per non soccombere al Suicidio dell’Europa

Bruno Amoroso credeva fortemente nel’Europa, nella possibilità di dare origine ad un’Europa dei popoli che fosse un soggetto promotore dei valori della solidarietà, della cooperazione e del bene comune. La sua Europa, così come non era mai stata quella della CEE, che aveva avvantaggiato la Germania e un numero ristretto di Stati membri a scapito degli altri Paesi, non poteva essere quella della definitiva schiavitù attraverso l’Euro all’Unione Europea. 

Amoroso era convinto che il suicidio dell’Europa del quale parlava il suo grande amico Pietro Barcellona fosse prossimo al compimento e per tale motivo, oltre a proporre soluzioni di affrancamento dall’Euro, si è prodigato affinché gli europei trovassero il coraggio per agire contro l’UE e, posto fine a tale soggetto, potessero costruire da zero una nuova Europa L’UE ha realizzato un vuoto sociale e politico che in questi ultimi anni è divenuto un baratro. L’azione criminale della Finanza capitalistica non ha neanche lasciato uno spazio minimo alla gestione dell’insieme dei rischi sociali ed economici (cosa che comunque era per Amoroso di per sé discutibile) e la conseguenza è stata la disintegrazione della società europea in un’Unione Europea divenuta una polveriera ad altissimo rischio di esplosione. Era molto preoccupato e non solo per l’escalation, in tale contesto, delle forze populiste e xenofobe che apriva ad un futuro assai prossimo a tinte fosche. La sua preoccupazione era motivata anche dalla gravissima responsabilità dell’UE riguardo all’aggravamento di una “questione Mediterranea” che si stava ritorcendo contro di essa come un boomerang .

Di fatto, in uno scenario mondiale mutato radicalmente in questo inizio di secolo, nel quale l’Occidente si ritrova a competere con nuovi grandi competitori antagonisti (Cina e Russia su tutti), l’interesse economico dei maggiori attori dell’UE ha contribuito alla recrudescenza dei conflitti nella sponda Sud. 


Nel volume La Depredazione del Mediterraneo, Bruno Amoroso in relazione la crisi economico-finanziaria all’attuale violenta destabilizzazione della sponda Sud del Mediteraneo, in un gioco in parallelo che spiega come le due crisi siano le facce di una moneta offerta al Capitalismo predatorio da un’irresponsabile UE. Cfr. B. AMOROSO, La Depredazione del Meditteraneo, op.cit.

Amoroso sapeva bene che le “primavere arabe” avevano avviato un processo radicale di trasformazione politica, che per nulla corrispondeva alle motivazioni che le originarono. Quelle proteste, per lui in buona parte legittime, erano state manipolate e indirizzate ai fini di un drastico ricambio politico degli interlocutori dell’Occidente. La priorità era, infatti, arrestare la penetrazione cinese nel Mediterraneo e più ampiamente in Africa, ma anche rallentare il rilancio della Russia di Putin nel Mediterraneo. La strategia di transizione ad un nuovo asseto del sistema mondo capitalista occidentale era a tutti gli effetti ostacolata dall’ascesa di tali potenze che nelle concrete difficoltà delle forze occidentali avevano impresso un’accelerazione alla loro espansione nel vuoto d’ordine del nostro tempo. Le due gravi crisi generate in quel fermento, che nulla avevano a che vedere con le“primavere”, la crisi libica e quella siriana, così come la parabola del’ISIS, erano per lui i risultati più pericolosi dell’ingerenza neocoloniale dell’Occidente che non si spiegava solo nei termini del controllo diretto della sponda Sud finalizzato allo sfruttamento ma anche in chiave competitiva e contro Cina e Russia. 

Nella destabilizzazione del Mediterraneo d’inizio secolo giocava un ruolo importante anche dell’Europa, poiché erano pienamente coinvolte la Gran Bretagna e la Francia (soprattutto riguardo alla crisi libica). L’Europa ha contribuito a delineare uno scenario terribile senza tenere conto che la grande destabilizzazione regionale prima o poi non avrebbe riguardato solo il Medioriente e il Nord Africa ma, invece, l’avrebbe travolta infliggendole ferite gravissime e compromettendone l’esistenza essendo già al suo interno gravemente compromessa dalla depredazione della Troika. 

L’ultimo appello di un“intruso”

L’ingiustizia più grave del nostro tempo era per Bruno Amoroso l’avere ridotto la vita delle persone ad una questione di disperata sopravvivenza quotidiana. Immigrati, profughi, ma anche cittadini privati della cittadinanza, disoccupati ed emarginati di ogni tipo ai suoi occhi rendevano intollerabile il mondo plasmato dalla Globalizzazione, inaccettabili le regole e i principi che lo fondavano e che esprimevano la tirannia di un élite globale privilegiata. Il suo ultimo invito rivolto a tutti noi era quello di armarci di coraggio e ribellarci nei termini di disobbedienti civili perché solo in tal modo saremmo tornati a vivere e avremmo cessato di sopravvivere. 

Era il consiglio di un uomo che disobbediente lo è stato sul serio. La sua disobbedienza come professore ed economista era la produzione di attività di studio e di ricerca in radicale contrapposizione ad un mondo accademico colonizzato dal neoliberismo, e rispetto al quale si è sempre posto da outsider. La sua disobbedienza politica era, invece, il suo agire politico da uomo di sinistra che prendeva le distanze dal l’attuale sinistra europea che, disattendendo ideali e principi socialdemocratici, era divenuta complice del sistema di potere dominante. Ma poi per lui disobbedire era prendere la. parola contro le distorsioni dei media, contro una “verità”meschina costruita dai mezzi di informazione per l’addomesticamento di massa. Amoroso disobbediva perché non poteva accettare la distruzione fisica e morale del mondo e precisava che «una nuova società si costruisce dal basso, riscrivendo leggi e regole sui bisogni delle persone, cittadini e no. Ma vanno riscritte insieme per evitare conflitti, creando i luoghi di incontro e elaborazione fuori dalle istituzioni, in contesti di amicizia e di affetti.

Per sostenere la nascita di queste nuove com unità è utile creare gli spazi del la nuova economia solidale, dove si scambia il lavoro e l’aiuto tra persone con beni e monete spendibili. Lo stesso vale per il commercio alternativo, le monete locali, ecc.Non strumenti per far star meglio i ceti medi privilegiati ma per includere le famiglie e le persone tutte in circuiti virtuosi di convivenza. Un nuovo modo di vivere che crea le sue regole e le sue istituzioni sottraendo sia le funzioni predatorie di quelle esistenti».

Il suo invito alla disobbedienza era, però, sopratutto un invito ad un agire collettivo in nome sia della riaffermazione dei legami sociali sia della democrazia. Per questo motivo sperava che potesse sorgere un movimento sempre più grande di disobbedienza civile contro la globalizzazione, la cui prima azione doveva essere rivolta contro la governance e le sue istituzioni. Fermare l’impoverimento delle masse, porre fine alle guerre e alle rapine della finanza significava attaccare la Troika ed in particolare la Banca Centrale Europea, strappandole quella sua sovranità illeggitima che legalmente sottopone ad essa la politica e le istituzioni nazionali. 

Avendo constatato che, nell’acquiescenza alla Troika della Francia e del l’Italia, Paesi nei quali le élite politiche aspiravano alla spartizione del cospicuo bottino delle guerre e dei soprusi finanziari, le uniche reazioni sono state tentate dalle realtà più deboli del sistema, dalla Spagna e soprat tutto dalla Grecia.

Si trattava, però, di azioni che pagavano l’alto prezzo del loro isolamento e, soprattutto, della mancanza del sostegno di altre realtà strangolate dalla crisi. Per quanto coraggio (o disperazione) potesse avere la Grecia, era impossibile che il governo Tsipras potesse combattere da solo lo strapotere della finanza e opporsi alla volontà della potente Germania. Occorreva quindi realizzare un fronte comune di tutti i Paesi oppressi, un fronte del Sud o Mediterraneo, e senza spaccature politiche perché solo così la disobbedienza avrebbe poi potuto un giorno imporre la revisione dei trattati europei, abolire il fiscal compact e il patto di stabilità, così come pretendere che l’Europa non fosse più parte attiva nella destabilizzazione del Mediterraneo. Era convinto che questo fosse il solo modo per salvare l’Europa dal suo imminente tracollo e gli europei dalla condanna ad una sopravvivenza disperata e misera. 

È stato questo, prima che lo scorso 20 gennaio morisse, il suo ultimo appello, un invito energico a non subire passivamente i colpi sempre più duri di una crisi che ci è stata imposta e che non dovremmo pagare. 

Amoroso era un sostenitore della Campagna Dichiariamo Guerra alla Povertà, convinto che a partire da essa avrebbe potuto prendere forma il grande movimento di disobbedienza civile da lui auspicato. 

Di certo quest’ultima esortazione di Bruno Amoroso, il suo invito ad una ribellione disubbidiente e alla mobilitazione collettiva contro l’Apartheid della Globalizzazione, troverà chi la considererà utopica, e in quanto tale irrealizzabile se non nel sogno o nella fantasia. Ed è proprio a chi sosterrà ciò, ai disincantati che accettano la narrazione costruita dal potere globale dell’irreversibilità del processo in atto, che vorrei fare presente che anche i racconti distopici sono frutto di fantasie ma ciò non ha affato impedito alla Globalizzazione di concretizzare il racconto della sua realtà distopica dando forma ad un mondo, il nostro, così terribile, mostruoso e meschino, e rispetto al quale disobbedire è questione di vita o di morte. 

Bruno Amoroso non ha mai amato gli slogan, ha capito di essere stato sconfitto e di avere sbagliato nella sua lotta, ma il senso di quel suo ultimo “not in my name!” rispetto al trionfo della barbarie che non avrebbe lasciato spazio ad un’altro mondo possibile, e che chiudeva il suo ultimo libro, la sua autobiografia, non lascia spazio ad alcun dubbio, ad alcun tipo di fraintendimento. Da grande combattente in quelle sue ultime righe date alla stampa ha voluto essere provocatore e istigatore anche l’insieme dei singoli “not in my name”non si perda nello slogan ma possa, piuttosto, dare inizio ad una vera ribellione civile e partecipata, ad una contestazione contro la globalizzazione diversa da tutte le esperienze maturate fino ad oggi e quindi, più efficace e più risoluta perché, appunto, disobbedire. sarà una questione di vita o di morte. 

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Di Francesco Caudulo

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