Decarbonizzazione obbligatoria

 

La nostra capacità di sostenere il progresso sociale ed economico sul lungo periodo dipenderà dalla possibilità di ridurre la dipendenza  al capitale naturale come fonte di crescita, di abbattere l’inquinamento, innalzare la qualità del capitale umano e fisico e rafforzare le nostre istituzioni.

E’ questo il presupposto da cui parte l’Ocse nel fotografare il processo attuato dai paesi sviluppati per decarbonizzare l’economia.

Il risultato? Molti paesi sono diventati più efficienti nell’utilizzo delle risorse naturali e dei servizi offerti dall’ambiente, generando un maggior output economico per unità di carbonio emessa e di energia o di materie prime consumate.

Ma – sottolinea l’istituzione parigina – il progresso è troppo lento e diventa decisamente insufficiente se vengono comprese anche le emissioni connesse al commercio internazionale.

Insomma, ci sono segni di crescita “più verde”, stando ai dati del Green Growth Indicators 2017.

La maggioranza dei paesi utilizza le risorse naturali disponibili in maniera più produttiva; hanno ridotto l’inquinamento e i rischi conseguenti per la popolazione; molti paesi hanno stabilizzato l’utilizzo di risorse naturali rinnovabili e stanno progredendo verso pratiche di gestione più sostenibili.

Per una volta l’Italia risulta tra i Paesi più virtuosi, quelli che hanno messo a segno i maggiori miglioramenti rispetto al 2000, soprattutto per quanto riguarda la produttività materiale e la tassazione legata all’ambiente (passata dal 3,2 al 3,9%, comunque su livelli decisamente più bassi rispetto al 24,2% delle tasse sul lavoro).

Ma l’Ocse registra con una certa delusione che nessun paese mostra performance positive in tutti gli ambiti presi in considerazione e che “gran parte dei paesi devono ancora scollegare l’andamento economico dall’utilizzo di combustibili fossili e dalle emissioni.

Spesso il progresso è stato insufficiente per preservare il patrimonio naturale di base o ridurre la pressione sugli ecosistemi e sui servizi ambientali come l’acqua pura e la regolazione del clima”.

“Anche se si registrano segnali di crescita sostenibile, la maggioranza dei paesi mostra progressi su uno o due fronti e pochi sugli altri – commenta il direttore per l’Ambiente dell’Ocse Simon Upton -. Abbiamo bisogno di impegni su tutti i fronti se vogliamo salvaguardare il patrimonio naturale, ridurre l’impronta ambientale del genere umano e recidere il legame tra crescita e pressioni sull’ecosistema”.

Tutti i paesi Ocse e del G20 hanno infatti migliorato la produttività “environmentally-adjusted”, l’indicatore di produttività che conteggia anche fattori come inquinamento e utilizzo di risorse naturali.

La produttività carbonica, in termini di Pil per unità di CO2, è progredita, con metà dei 35 paesi Ocse che sono riusciti ad annullare il legame tra emissioni e crescita, in modo che la produzione di CO2 non sia proporzionale alla crescita.

La fotografia si fa più fosca se si considera anche l’effetto del commercio: la maggioranza dei paesi Ocse è importatrice netta di emissioni e quindi alla fine, tendendo conto anche di questo fattore, solo 12 paesi hanno registrato un effettivo “decoupling” delle emissioni.

Passando alle cifre per avere un’idea, in media i paesi Ocse 1.000 dollari di Pil equivalgono al consumo di circa 420 kg di materiali non energetici e 111 kg di prodotti energetici, ed emettono circa 260 kg di CO2.

Tra gli altri fenomeni registrati nel report, segnaliamo che le aree urbane stanno crescendo rapidamente e le aree costruite aumentano a ritmi superiori della popolazione: gli edifici coprono un terreno superiore del 30% rispetto al 1990.

L’inquinamento atmosferico rimane su livelli preoccupanti: meno di un paese su tre soddisfa i criteri dell’Oms per la qualità dell’aria.

Forse quello che può preoccupare di più è che l’innovazione sta rallentando vistosamente.

A inizio secolo l’innovazione e le tecnologie verdi avevano alimentato la produttività e la crescita all’insegna della sostenibilità, ma a partire dal 2011 la crisi ha colpito duro e l’attività inventiva ha registrato un netto rallentamento in tutte le principali aree tecnologiche connesse all’ambiente.

Per finanziare queste attività le imposte “verdi” sono aumentate ma rimangono su livelli decisamente più bassi rispetto a quelle sul lavoro.

Sta diventando sempre più frequente il ricorso al mercato grazie all’emissioni di “green bonds” che hanno registrato livelli record.

Ma soprattutto a mancare è una politica coerente da parte dei governi che ancora oggi sussidiano per 60 miliardi di dollari nella sola area Ocse, che superano 200 miliardi per i Briics, il consumo dei combustibili fossili.

Con effetti deleteri sulla produttività carbonica.

 

diPierangelo Soldavini

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