L’intervento dello psicologo dello sport sul gruppo-squadra nel calcio

 

Riassunto

Il gruppo può essere considerato come un insieme dinamico di soggetti che si percepiscono vicendevolmente e che sono più o meno interdipendenti per qualche aspetto.

La squadra sportiva può esser definita come un piccolo gruppo orientato al compito e alla prestazione, i cui membri sono interdipendenti, vogliono raggiungere un fine condiviso e sviluppano una identità collettiva.

Sono contemporaneamente coinvolti nello sforzo fisico individuale teso al raggiungimento di questo fine, consapevoli che la realizzazione di quest‟ultimo dipende dalla collaborazione, dall‟interazione e integrazione delle peculiari capacità e caratteristiche di ogni individuo con il resto del gruppo.

In questo senso adottare un vertice gruppale in psicologia dello sport è una delle possibili chiavi per spiegare quanto avviene all‟interno di una squadra sportiva, è un modello teorico di osservazione della complessità per costruire un pensiero su quanto accade nel gruppo, nel tentativo di integrare e trovare il senso che sta alla base dell‟intervento. 

 

Le dinamiche di gruppo nella squadra sportiva.

Come si parla a una squadra? Cos‟è lo spirito di gruppo? Come si convincono tanti giocatori a remare tutti nella stessa direzione, aiutandosi l‟un l‟altro?

Comunicazione, coesione, collaborazione: quale ricetta permette di ottenere all‟interno della squadra un sentire comune, il “we feeling”.

Il gruppo viene definito da Lewin (1972) come “una totalità dinamica in cui i membri si trovano in un rapporto di interdipendenza e perseguono un fine comune”.

È qualcosa di più delle somma dei suoi membri e delle loro caratteristiche personali: è un campo di forze in cui vengono mobilitati processi emotivi e cognitivi dei singoli individui e in cui sono presenti sistemi di comunicazione, di ruoli, di regole e valori, ideologie e culture.

Cartwright e Zander, nell‟edizione del 1968 del volume “Group Dynamics”, elencano una serie di caratteristiche-criterio, ciascuna delle quali può essere presente, isolatamente o in associazione con altre, in contesti di persone in interazione: un gruppo sarebbe tanto più gruppo se:

  1. Persone che trovano lo specifico contesto interattivo
  2. Persone che perseguono scopi
  3. Persone che hanno una comune percezione della loro identità.
  4. Persone che tendono a porsi e ad agire in modo unitario nei riguardi dell‟ambiente che le contiene.

Il gruppo può quindi essere considerato come un insieme dinamico di soggetti che si percepiscono vicendevolmente e che sono più o meno interdipendenti per qualche aspetto.

La squadra sportiva può esser definita come un piccolo gruppo orientato al compito e alla prestazione, i cui membri sono interdipendenti, vogliono raggiungere un fine condiviso e sviluppano una identità collettiva.

Sono contemporaneamente coinvolti nello sforzo fisico individuale teso al raggiungimento di questo fine, consapevoli che la realizzazione di quest‟ultimo dipende dalla collaborazione, dall‟interazione e integrazione delle peculiari capacità e caratteristiche di ogni individuo con il resto del gruppo.

In queste parole si sente l‟eco di Quaglino rispetto alla vita che trascorre transitando da quanto più elevato è il numero di tali caratteristiche, rilevato nello specifico contesto, e quanto maggiore risulta l‟intensità di queste.

Riportiamo di seguito, apportando alcune modifiche, questo elenco:

  1. Persone che interagiscono frequentemente fra loro
  2. Persone che si definiscono come membri di uno stesso gruppo
  3. Persone definite dagli altri come membri di uno stesso gruppo
  4. Persone che condividono norme su argomenti di interesse comune
  5. Persone unite da un sistema di ruoli interconnessi.
  6. Persone che si identificano reciprocamente a seguito dell‟assunzione di modelli e ideali simili.

Nell‟accezione gruppoanalitica si parla di “noità” come base fondativa per il processo di costruzione del noi, cioè di uno spazio mentale in cui la cultura e il pensiero di gruppo si sostituiscono alla somma di singole individualità.

Influenzano il nostro comportamento, il nostro look, il nostro gergo a seconda di chi andremo a incontrare, a seconda della “cultura del gruppo” (Levine & Moreland, 1998) che si manifesta come comunanza di pratiche materiali, come standardizzazione di modelli e abitudini di azione e di espressione (riti, cerimoniali, gerghi, uniformi, distintivi ecc.).

Un esempio dei complessi rituali che precedono l‟inizio della competizione negli sport di squadra, conosciuto e ammirato in tutto il mondo, è il cerimoniale dell‟Haka, la danza Maori che gli “All Blacks”, i giocatori della nazionale neozelandese di rugby, eseguono prima della partita, ponendosi di fronte agli avversari.

Mediante questa pratica i giocatori neozelandesi trasmettono un chiaro messaggio di sfida ai membri della squadra avversaria.

Questo aspetto è legato a doppio filo anche alla simbologia del cerchio in cui la mia squadra si riunisce prima di un incontro, a testimoniare la coesione e l‟unità del gruppo, che trova, in quel momento, la carica e l‟incitamento per affrontare gli ostacoli concludendo con delle urla di incitamento che hanno il compito di incutere timore e rispetto all‟avversario.

Questo messaggio è anche testimonianza dell‟avvenuta socializzazione all‟interno del gruppo, cioè di quel processo che consente agli individui di acquisire le conoscenze, le abilità e le disposizioni che li rendono in grado di partecipare come membri del gruppo.

La danza degli “All Blacks” è un rituale di gruppo (cerimonia che segna eventi importanti del gruppo), che fa parte dei costumi comuni e dei modi condivisi di vedere la realtà, espressione comportamentale di una cultura che include routine (procedure quotidiane), resoconti (storie riguardanti i membri del gruppo), gergo (parole e gesti comprensibili solo ai membri del gruppo), e simboli (oggetti che hanno speciale significato per i membri del gruppo).

Quindi i modelli comuni di azione e di espressione sono da un lato volti a favorire la nascita e lo sviluppo di sentimenti e atteggiamenti positivi verso l‟ingroup e dall‟altro lato a rendere manifesta la presenza di questo senso di appartenenza e quindi l‟esistenza del gruppo.

L‟avere qualche cosa di comune, anche sul piano meramente esteriore, favorisce infatti l‟identificazione reciproca tra i membri, con demarcazione dagli altri gruppi e segna il momento di ingresso nel gruppo sportivo di un nuovo giocatore.

I riti di passaggio sono stati definiti da Van Gennep (1909) – che distingue riti preliminari, liminari, postliminari – come meccanismi cerimoniali che hanno la funzione di guidare, controllare e regolamentare i cambiamenti di ogni tipo degli individui e dei gruppi di cui fanno parte.

Questi riti hanno inoltre la funzione di mantenimento e rafforzamento della coesione interna del gruppo, che partecipa collettivamente al cerimoniale di ingresso.

Un esempio è il forte simbolismo vigente in alcuni gruppi sportivi che richiede al nuovo arrivato di sottoporsi ad una nuova acconciatura, realizzata dagli altri membri del gruppo sportivo, accettando di essere rasato a zero.

La dimensione rilevante sembra essere la sottolineatura del momento di passaggio, attraverso l’allontanamento dell‟ambiente precedente (momento preliminare o di separazione) e dell‟affidamento agli altri membri del gruppo, oltre alla dimostrazione della disponibilità a far parte del gruppo, accettandone le regole interne (è un rito liminare, in cui si accetta di cambiare aspetto per appartenere).

Questo rituale rappresenta un tentativo di avvicinare maggiormente l‟identità del nuovo individuo a quella del gruppo, sostituendo la potenzialità espressiva e comunicativa del look mediante la capigliatura a quella che avviene attraverso la divisa della squadra che viene consegnata al nuovo arrivato (avviene un passaggio di identità).

Il coinvolgimento della dimensione corporea nel rito tende a lasciare un segno più profondo e a fornire un primo insegnamento di quella che è la cultura che contraddistingue il gruppo, basata sul valore del collettivo piuttosto che su quello del singolo giocatore.

La vita sociale della squadra sportiva, come quella di ogni gruppo sociale è caratterizzata dalla realtà del cambiamento, un perenne movimento di entrate ed uscite, separazioni, aggregazioni, che riguardano sia l‟individuo, nelle sue molteplici appartenenze ai gruppi, nei suoi status e ruoli sociali, sia i gruppi di cui la società si compone, anche in ambito sportivo.

Per quanto riguarda il tema dello sviluppo del gruppo vari autori hanno proposto diversi modelli: al fine di analizzare i passaggi attraverso cui avviene la trasformazione di un collettivo di individui in squadra, riprendo quello a 5 stadi proposto, sulla base di un‟ampia e aggiornata rassegna della letteratura, da Tuckman e Jensen (1977).

Il tempo necessario al passaggio da uno stadio ad un altro è vario; i diversi stadi non sono tappe obbligate, talvolta uno o più di essi possono essere saltati.

  • Formazione (Forming):
  • nella fase iniziale i membri familiarizzano, studiano punti di forza e debolezze reciproche, verificano se sono parte del gruppo, identificano il loro ruolo, comparano l‟attenzione che il coach dedica a ciascuno di loro;
  • il gruppo individua i compiti.
  • Ad esempio gli atleti confrontano la quantità di minuti in cui sono utilizzati nelle partite, o durante i primi allenamenti di una stagione gli atleti entrano in modo significativo in competizione per occupare un ruolo da titolare.
  • Questo processo determina lo sviluppo di una struttura definita, che in base alle posizioni dei singoli membri influisce sulle relazioni interpersonali.
  • Fattori rilevanti: la strategia di gioco deve coinvolgere tutti, è importante ciò che accada fin dal primo allenamento, o da prima ancora se possibile.
  • Gli allenatori e le altre figure dello staff devono incoraggiare la conoscenza tra i membri e un‟identificazione con la squadra, per favorire relazioni positive tra gli atleti;
  • Conflitto (Storming): i membri attuano atteggiamenti di resistenza al leader, rifiutano il controllo da parte del gruppo, sono in conflitto con le richieste poste; l‟emotività può portare a manifestazioni di ostilità e a conflitti, ad esempio con liti e discussioni tra atleti che si contendono un posto in squadra.
  • Gli aspetti emozionali entrano in gioco nel trovare l‟equilibrio tra i bisogni del singolo e del gruppo;
  • il gruppo comincia a fissare le prime regole di squadra.
  • Fattori rilevanti: il coach deve attuare un tipo di comunicazione aperta, lo stress deve essere ridotto per ridurre l‟ostilità e evitare che questa agitazione cresca a tal punto da pregiudicare le interazioni di squadra;
  • Normativo (Norming): i membri sostituiscono l’ostilità con cooperazione e solidarietà, elaborano uno spiccato senso di umiltà, si registra un aumento dell’interdipendenza e un rafforzamento della coesione, i giocatori lavorano insieme e costituiscono una squadra unita. Gli atleti nutrono un profondo senso di rispetto per gli altri, avvertono la stabilità.
  • Prestazione (Performing): i membri incanalano tutti gli sforzi per l‟obiettivo principale: il successo del team, ricorrono al problem solving come processo di gruppo, si aiutano reciprocamente, si consolida l‟interazione e la cooperazione, volte al conseguimento degli obiettivi comuni; il gruppo è orientato alla performance.
  • Fattori rilevanti: creare un clima di collaborazione, eliminare la competizione e l‟aggressività verso i compagni;
  • Aggiornamento (Adjourning): i membri diminuiscono i contatti tra loro, si riduce il senso di dipendenza reciproco, avvertono di aver raggiunto l’obiettivo comune, sono consapevoli che il compito del gruppo è finito.
  • Questo momento sembra ripetersi ciclicamente nella realtà sportiva, alla fine della stagione, quando si rivedono programmi societari e individuali per ridefinire il gruppo per la stagione successiva.
  • Possono prefigurarsi dei tentativi di mantenere il gruppo (adjourning ottimistico) o la ricerca di soluzioni esterne (adjourning pessimistico).

Lo sport di squadra dipende dall‟interazione e dall‟integrazione tra i singoli componenti della squadra, per questo lo psicologo dello sport non può trascurare l’individualità di ciascun componente, ma deve sapere che “il tutto è più della somma delle parti”, ponendo l‟attenzione sulla struttura relazionale che si sviluppa nel gruppo e si modifica nell‟interazione con l‟ambiente circostante, a seconda della fase che il gruppo stesso si trova ad attraversare.

In questo senso il gruppo emerge come una configurazione (cognitiva, affettiva, relazionale) dal legame dinamico di una pluralità fondante se stessa, contemporaneamente, come organizzazione mentale (sentimento di appartenenza, vissuto) e come reticolo di relazioni (terreno comune da cui il gruppo viene generato), che Foulkes definì matrice.

In “Analisi terapeutica di gruppo” Foulkes definì la matrice come “l‟ipotetica trama di comunicazione e relazioni in un dato gruppo (unità psicologica di   base).

Proviamo a utilizzare le parole dell’autore inglese per definire alcuni dei concetti da lui introdotti e vediamo in che modo questo può essere utile per chi si occupa di gruppi sportivi.

Il fondamento della gruppoanalisi, enunciato da Foulkes, è il riconoscimento della natura profondamente sociale della personalità umana.

I processi psicologici interattivi che hanno luogo in un gruppo coinvolgono gli individui in modi diversi.

La relazione individuo-gruppo può essere descritta con il concetto gestaltico di figura- sfondo: ciascuno può essere la figura sullo sfondo dell‟altro, e questo dipende dalla posizione dell‟osservatore.

Il campo totale viene paragonato a un puzzle tridimensionale e l’individuo a una tessera di questo. Il gruppo e l‟individuo sono fondamentalmente indivisibili, eppure nello stesso tempo in interazione reciproca: ciascuno agisce da contenitore degli e per gli aspetti dell‟altro.

Gli individui personificano aspetti del gruppo, e il gruppo, o aspetti di questo, può contenere parti di ciascun individuo, come in un “ologramma” (Zinkin, 1987).

Con questo cambio di prospettiva l‟individuo e il contesto sociale che lo definisce non risultano separati, come dati primari a partire dai quali studiare l‟altro, ma sono biunivocamente collegati in modo inestricabile.

La dinamica individuo-gruppo va vista in continua alternanza, in termini di figura-sfondo, e va collegata al processo gruppale inteso come rete relazionale (matrice dinamica) e ai processi transpersonali del gruppo.

In un certo modo possiamo affermare che Foulkes ha avuto una felice intuizione, come Kekulé nel caso dell’anello benzenico, quando ha realizzato un passaggio concettuale.

Una trama di interrelazioni intrapsichiche, interpersonali e transpersonali all‟interno della quale l‟individuo (unità biologica) è un punto nodale.

È lo sfondo comune condiviso che determina in ultima analisi il significato e l‟importanza di tutti gli eventi e su cui poggiano tutte le comunicazioni e interpretazioni, verbali e non verbali” (Foulkes, 1964: p. 292).

“Così come la mente dell‟individuo è un complesso di processi interattivi (matrice personale), i processi mentali interagiscono nel concerto del gruppo” (Foulkes, 1973, corsivo mio).

Queste parole dell‟autore inglese sono sempre rivolte al conduttore, ma potrebbero benissimo trovarsi in un manuale, o essere pronunciate in un corso per allenatori:

“[…] Dovrebbe capire di che cosa ha bisogno il gruppo in ogni dato momento: incoraggiamento, rassicurazione o stimolo, fermezza o incitamento.” (Foulkes, 1948: p.140).

Formulato da Marcello Lippi, nel corso di un‟intervista, il medesimo pensiero è tradotto così: “Ogni allenatore ha le sue caratteristiche, ma tra i suoi compiti c‟è anche quello di essere un po‟ psicologo.

Leggere le situazioni, agire di conseguenza.

Penso all‟intervallo tra i due tempi: stai perdendo, la squadra gioca male ed è sfiduciata.

Il mister deve capire se è necessario arrabbiarsi, magari per suscitare una reazione forte, oppure usare toni pacati, perché si rende conto che la squadra sta già dando il massimo, e allora alzare la voce sarebbe soltanto controproducente” (Salvetti, 2008).

In entrambi i casi il gruppo è considerato come un‟entità in se stessa, una matrice comune all‟interno della quale si sviluppano tutte le relazioni.

“L’organismo sano funziona come un tutto e può essere descritto come un sistema in equilibrio dinamico […], deve continuamente adattarsi, […] agisce come se conoscesse il suo scopo e avesse la possibilità di sce- gliere i mezzi con cui raggiungere questo scopo.

[…] Per prendere in considerazione questi fattori insieme […] parliamo di “situazione totale”. Questo concetto è presente fin dal primo libro di Foulkes in cui scrive:

“[…] Il conduttore osserva e tratta sempre il gruppo come un tutto.

Non è un modo di dire, il gruppo è un organismo vivente, distinto dagli individui che lo compongono.

Ha umori e reazioni, uno spirito, un‟atmosfera, un clima […].

Si può dedurre il clima dominante chiedendosi: che cosa può o non può assolutamente accadere in questo gruppo?

A che cosa si potrebbe dare voce?

Può prendere distanza dal gruppo chiedendosi: cosa potrei dire in questa situazione o cosa potrebbe non essere detto?

È con il gruppo come un tutto che il conduttore è principalmente in contatto ed egli esperisce i singoli membri all‟interno del setting.” (Foulkes, 1948: p.140).

Come sosteneva Foulkes “è assiomatico che qualsiasi cosa accada in un gruppo coinvolga il   gruppo come un tutto, oltre ogni suo singolo membro” (Foulkes, 1948: p. 49, corsivo mio).

Tutto può essere descritto in termini di schemi, norme e sistemi di credenze condivisi, di struttura, confini, ruoli e distinzioni di ruolo, di conflitti, di stadi di sviluppo, d’umore e atmosfera.

Nel gruppo sportivo, che possiamo considerare alla pari di un gruppo come un tutto, rientra quindi quello che giocatori e allenatori definiscono “spirito di squadra” che consente, secondo Patrick De Maré, due processi all‟interno del gruppo: crea dialogo e si traduce nel passare la palla al compagno.

Il linguaggio e lo scambio si realizzano a più livelli e tra più di due interlocutori all‟interno della matrice di interazione, diventano una forma di comportamento, un modo di rivolgersi all‟esperienza anche dentro e oltre la situazione, un modo di trasformare l‟esperienza nel gruppo.

Il campo relazionale che si origina tra i membri del gruppo si snoda tra svariati luoghi fisici, quali ad esempio lo spogliatoio, il campo di gioco, il pullman delle trasferte, l’albergo e utilizza di conseguenza differenti canali di comunicazione, ma fa parte di quello che Foulkes definiva matrice del gruppo (con la sua funzione personale, interpersonale e transpersonale), cioè un campo multipersonale nel quale gli oggetti (ad esempio il pallone) sono presenti e si scambiano, mentre i soggetti interagiscono e si trasformano.

 

Secondo Patrick De Maré questo fattore emerge come “entità separata quando un individuo si separa da quella particolare squadra.

Fintantoché la psiche del singolo individuo fa parte della matrice della squadra, essa rimane attaccata alla squadra […], solo dopo può essere utilizzata sotto forma di ricordo in squadre suc- cessive” (De Maré, 1996).

E “io posso scambiare qualcosa con te solo se c‟è una certa fiducia, se esiste una possibilità di comunicazione reciproca, una compatibilità tra ciò che io do a te (il pallone) e ciò che tu dai a me (la migliore posizione per proseguire l’azione di squadra)” (Zinkin, 1996, corsivo mio).

Termine che Foulkes utilizzò prima di introdurre il concetto di matrice, prendendolo in prestito da Helen Jennings, una collega di Jacob Levy Moreno.

La storia comune delle relazioni interpersonali sviluppate nel gruppo, e il tentativo comune di dare significato al lavoro compiuto insieme, concorrono alla costruzione di un gruppo coeso.

La coesione del gruppo è determinata dal campo totale di forze e di confini che agisce sui membri per farli restare insieme (Festinger, Schacter & Back, 1950).

Consiste nel grado di unione o nella resistenza del gruppo alla sua distruzione: è un processo dinamico che riflette la tendenza a stare/lavorare insieme e a rimanere uniti, per raggiungere gli obiettivi stabiliti.

È questo processo a instaurare un senso più profondo di coerenza, conscia e inconscia, che credo sia intrinseco al concetto di gruppo come un tutto.

Lo psicologo sportivo si trova ad essere osservatore e mediatore di queste dinamiche, catalizzatore di un processo di cambiamento in atto, o facilitatore nel risolvere conflitti, non eliminandoli, negandoli o facendo finta che non ci siano, ma identificandoli per poterli poi affrontare, evitando la strutturazione di blocchi e paralisi all‟interno della rete relazionale.

Un concetto simile è espresso da Correale (1998) che descrive come “ipertrofia della memoria” la situazione in cui i gruppi sono “soggetti alla formazione di ricordi rigidi e pietrificati che ostacolano la nascita e l‟affermazione di nuove operazioni mentali”.

Lo stesso concetto può essere espresso usando le parole di Gaburri (1993) che introduce la nozione di “resti non elaborati”, esperienze relazionali, individuali e gruppali, legate cioè a rapporti tra singoli o in gruppo allargato, che non trovano adeguata elaborazione.

Così alcuni eventi tendono a irrigidirsi, quasi a pietrificarsi nel patrimonio collettivo di ricordi, secondo modalità “vischiose” e scarsamente modificabili e divengono consolidati, irrigiditi, “al punto da avere perso la possibilità di sprigionare significati e subire modificazioni o interpretazioni alternative” (Correale, 1998).

Proviamo a fare un esempio prendendo in osservazione una dinamica di gruppo che ha visto protagonista la Nazionale Italiana di calcio durante la preparazione ad Euro 2008.

In un banale contrasto con Chiellini, dopo appena mezz’ora dall’inizio del primo allenamento, Cannavaro si lesiona parzialmente i legamenti della caviglia sinistra.

Nella concitazione dei momenti successivi all‟episodio Chiellini si rialza e spiega la dinamica dello scontro all‟allenatore Donadoni, poi la mima al compagno di club Del Piero, quasi a voler essere tranquillizzato e confortato.

Dopo quasi trenta minuti, necessari per portare i primi soccorsi e trasportare in barella Cannavaro sull‟ambulanza, l‟allenamento riprende.

Non viene preso in considerazione quanto tutti hanno pensato, non viene detto cioè che ora sarà più difficile sognare la grande impresa agli Europei, senza la presenza in campo e nello spogliatoio di uno dei leader, se non il leader, il capitano che ha alzato la coppa del mondo a Berlino due anni prima.

Nelle dichiarazioni dopo l‟infortunio Cannavaro si dimostra particolarmente attento al gruppo squadra, decidendo di restare comunque e seguire da vicino i suoi compagni, Chiellini compreso.

In data 4 giugno, il giorno dopo l’infortunio di Cannavaro, un altro episodio di tensione viene riportato dai giornali.

Protagonisti Cassano e Chiellini: il primo si è arrabbiato per un entrata in scivolata dura, gesticolando platealmente contro il difensore, accusando il compagno di volere fare male a tutti, “non te ne è bastato uno” con chiaro riferimento all‟infortunio del capitano.

Interviene l‟allenatore Donadoni che richiama Cassano, senza alzare la voce: “Antonio zitto, Antonio basta, Antonio è finito”.

Nicita chiude l‟articolo sottolineando il momento psicologico difficile per Chiellini, nonostante Can- navaro l‟abbia scagionato, e suggerisce a Donadoni la frase di San Filippo Neri “state buoni se potete”.

E l‟intervento di Donadoni con Cassano prima di riprendere l‟allenamento ha seguito questa strada, ma non ha permesso di prendere consapevolezza e affrontare il conflitto.

Così le tensioni che si possono verificare in un gruppo sportivo, se non vengono affrontate e gestite, se non viene garantito uno spazio in cui poter esprimere ed elaborare quanto pensato e non detto allora il conflitto può emergere, anche in modo violento ed esplosivo come nell‟esempio.

“La resa del capitano.

Caviglia ko, Cannavaro abbandona la Nazionale.

Azzurri sotto choc (Ansaldo, La Stampa, 3 giugno 2008).

Ecco le dichiarazioni di Cannavaro: “Non ha colpe. Giorgio è un ragazzo eccezionale, è a pezzi, ho dovuto consolarlo perchè se no invece di uno, perdiamo due giocatori.”(Nicita, La Gazzetta dello Sport, 4 giugno 2008).

“Entrata di Chiellini, Cassano s‟infuria.

Il fantasista accusa: Vuoi far male a tutti?” (Nicita, la Gazzetta dello Sport, 4 giugno 2008).

Lo psicologo dello sport: lavorare in gruppo, lavorare con il gruppo.

Il lavoro in gruppo: lo psicologo all’interno dello staff tecnico.

La massima prestazione della squadra è la risultante di una complessa interazione di una serie di fattori quali l‟abilità tecnica, le caratteristiche fisiche e psicologiche degli atleti, il contesto in cui si svolge la gara, il rapporto tra atleti e allenatore, l‟equilibrio emozionale che quest‟interazione genera nei singoli (giocatori ed allenatore) e nel gruppo come un tutto.

La funzione principale dell‟allenatore è “quella di riconoscere e utilizzare le risorse a disposizione e usare saggiamente il tempo per portare gli atleti ai massimi livelli di prestazione” (Giovannini & Savoia, 2002).

“Non essendo stati adeguatamente commentati, discussi ed elaborati collettivamente questi resti si depositano nel gruppo e diventano ricordi rigidi e bloccati, immaginativamente e intellettivamente poveri, ma affettivamente molto carichi, perchè non sono stati oggetto di elaborazione”.

Come sostiene Kaës: “il nostro lavoro è anche quello di dare significato e forme di rappresentazione al non detto e agito nelle relazioni (istituzionali), per evitare che questo materiale preconscio ritorni  come scrive anche Correale  in modo confuso, mescolando livelli psichici ed altri ordini di realtà senza consapevolezza” (Correale, 1998).

Nel fare questo l‟allenatore deve possedere la capacità di gestire molte componenti, come la pianificazione degli obiettivi (goal setting), la motivazione degli atleti, la distribuzione dei ruoli all‟interno del gruppo e la capacità di insegnare.

Per un allenatore è importante lavorare per trovare degli equilibri, sia a livello tattico, sia a livello gruppale al fine di realizzare anche un bilanciamento tra individualismo e gioco di squadra.

Si tratta di mettere al servizio della squadra le capacità del singolo e la naturale tendenza del giocatore a volerle dimostrare con l’azione individuale.

Potremmo utilizzare una similitudine tra la squadra e il gruppo jazz, in cui tutti suonano la stessa musica, ma c’è l’assolo.

L’assolo viene però preparato dalla squadra, non risulta una voce fuori dal coro: il talento individuale è cioè inserito in una melodia comune (Foulkes parlava di concerto del gruppo).

In un gruppo ben equilibrato le individualità non vengono annullate, ma sono riconosciute sulla base dei ruoli che sono definiti e assegnati all’interno del gruppo e che determinano ad esempio il tempo di utilizzo del giocatore nella competizione o la gerarchia per tirare un calcio di rigore.

Il rispetto di questa suddivisione di compiti in base ai ruoli consente ad ogni giocatore di moltiplicare il proprio contributo, e non semplicemente di sommarlo a quello dei suoi compagni, proprio in ragione della strutturazione della squadra come un gruppo coeso, che esalta le qualità dei singoli.

Questo lavoro è svolto attraverso la definizione dei ruoli, ma anche a livello di comunicazione, sia dentro che fuori dal campo, sia a livello verbale che a livello di scambio e di passaggio del pallone. Coinvolgere e valorizzare i giocatori, e renderli consapevoli del potenziale del gruppo, aiuta i singoli a riconoscere il valore aggiunto della squadra e favorisce il pensare in termini di noi.

Non è cioè necessariamente il talento dei giocatori a fare di un gruppo una grande squadra, quanto il modo in cui il talento è combinato.

“Il talento individuale vince le partite, il lavoro della squadra fa vincere il campionato” (Michael Jordan, citato in Weinberg & Gould, 1995).

Nel calcio, e in modo ancora maggiore nel futsal, i ruoli per quanto definiti e finalizzati al compito, mantengono in situazioni di gioco una certa variabilità, perfino un’interscambiabilità in funzione delle esigenze tattiche o strategiche (es. punizioni e calci d‟angolo in fase offensiva con i difensori a saltare in area avversaria o difensiva con l‟attaccante forte di testa a staccare nella zone del primo palo o in marcatura).

Nel futsal è utilizzata la figura precedentemente codificata nel corso degli allenamenti (fase normativa) di un giocatore con compiti ben precisi (portiere di movimento nel futsal) sulla base di caratteristiche ben precise (precisione e potenza nel tiro da lontano, abilità nel fare “girare la palla”, maggiore intelligenza tattica, migliore esecuzione dei movimenti, rapidità, destrezza, abilità tecnica).

In questo modo il giocatore incaricato entra in campo motivato dopo aver aspettato con fiducia il suo turno.

Ai recenti Campionati del Mondo di Futsal (disputati in Brasile nell’ottobre 2008), Franklin, il secondo portiere della Nazionale Brasiliana, è stato determinante, subentrando a Thiago, il titolare, per neutralizzare i rigori della finale del torneo.

In questo caso il suo ruolo era molto ben definito dall’allenatore ed accettato da Franklin, che ha aspettato per tutto il torneo di giocare, e grazie alle sue capacità di pararigori si è poi rivelato decisivo.

Lo Staff tecnico come gruppo di lavoro

Allenatori, preparatori atletici, psicologi dello sport sono professionisti che si sono specializzati nell‟allenamento di abilità specifiche, differenti ma tutte in eguale misura necessarie, per consentire al gruppo di raggiungere la massima prestazione.

La tattica, le capacità tecniche e le strategie di gioco sono competenza dell’allenatore e molto spesso professionisti che fanno parte dello staff tecnico, impostando il lavoro in modo sinergico e fondandolo su comunicazione e collaborazione, rappresenta il modo migliore per affrontare la complessità e l‟intreccio delle variabili che si presentano in ambito sportivo

In questo senso il contributo dello psicologo è quello di fornire uno spazio di ascolto e di elaborazione, importante per favorire la riflessione su cosa non ha funzionato, su come migliorare la pianificazione delle attività di allenamento e competizione.

All’interno dello staff deve inoltre maturare la coscienza di un’identità collettiva, necessaria per poter pianificare il lavoro con la squadra, a partire dal progetto comune e condiviso, lavorando sulla base di una reciproca collaborazione e di una continua comunicazione.

Nella stagione 2003/2004 alcune squadre dei maggiori campionati di calcio al mondo, l’Huracan in Argentina, il Rayo Vallecano in Spagna e il Sunderland in Inghilterra hanno contattato uno psicologo dello sport per evitare la retrocessione (Roffé, 2003).

Come spesso accade in queste situazioni, quando l’intervento di uno psicologo avviene in maniera non continuativa, limitandosi ad essere una consulenza nelle situazioni problematiche, il risultato è lo stesso: le tre squadre non sono riuscite a recuperare posizioni nel finale di stagione e sono scese di categoria.

I limiti di un intervento psicologico di questo tipo sono legati alla mancata conoscenza del contesto in cui si interviene, ed al fatto che lo psicologo potrebbe necessitare di un periodo per conoscere lo sport e le dinamiche ad esso legate.

L’intervento dello psicologo dello sport deve essere pianificato sulla base di un progetto con obiettivi a medio e/o lungo termine, definiti in accordo con l’allenatore, sono privilegiate a discapito dell’aspetto psicologico.

Poter integrare il lavoro dei diversi che prevede l‟inserimento dello psicologo all‟interno di un “gruppo di lavoro”.

Quando, invece, l‟urgenza e la necessità di trovare risultati in breve tempo diventano il motivo per cui ci si rivolge allo psicologo, il rischio è quello di limitare il lavoro all‟ambito motivazionale, senza peraltro aver avuto il tempo necessario per svolgere la fase di osservazione e valutazione del gruppo.

E questi episodi contribuiscono a rallentare l’affermazione della psicologia nello sport, trasmettendo un’immagine riduttiva e impoverita del contributo scientifico che invece potrebbe fornire.

Rischio ancora più grave è contribuire a rinforzare la tendenza che accomuna molti giocatori di affidarsi al pensiero magico (in alcuni casi anche di tipo religioso), come testimoniato da un giocatore dell’Huracan.

Lo psicologo non deve farsi travolgere dalla fretta e non deve presentarsi come un mago o un risolutore di problemi, consapevole di lavorare in un “campo” governato dall’urgenza di vincere, in cui l’importanza del risultato prevale sulla prestazione, in cui l’unica cosa importante è la vittoria, non importa come essa venga ottenuta.

Roffé sottolinea come “Accettare di intervenire in queste situazioni di urgenza, in cui non c’è il tempo per condurre la fase diagnostica è condannarsi fin dall’inizio al fallimento, rinunciando alla possibilità di pensare” (Roffé, 2003).

Il gruppo si configura come “gruppo di lavoro” nel momento in cui si sviluppa l’integrazione dei suoi legami psicologici, delle uguaglianze e delle differenze (Quaglino, Casagrande & Castellano, 1992).

Possiamo invece definire il “lavoro di gruppo” come l’espressione dell’azione del gruppo di lavoro, che include la pianificazione del compito, il suo svolgimento, la gestione della relazione tra i ruoli e non si esaurisce, di conseguenza, alla semplice esecuzione di un compito.)

“Se serve per vincere ben venga uno psicologo, uno stregone o qualcuno mandato dal cielo” (Roffé, 2003)

Pensare, qui, non è sinonimo di ragionare, è piuttosto una condizione indissociabile della capacità di tollerare le frustrazioni e le emozioni associate ai vissuti di questi.

Pensare implica la possibilità di negoziare con le proprie emozioni nel controllarle in modo da permettere un’osservazione sufficientemente realista dei fatti che stiamo vivendo.

In caso contrario, l’intolleranza alle emozioni conseguenti alle situazioni che ci sovrastano porterà ad un tentativo di evitamento.

Come ricorda Ucha (1994) “lo psicologo non decide i risultati della squadra”, ma deve favorire il benessere dei giocatori per consentire alla squadra di esprimersi al meglio

Lo psicologo ha la possibilità di intaccare il lavoro dell’allenatore rispetto alla gestione della squadra, offrendo uno spazio per riflettere sul proprio operato, sulla bontà e sull’efficacia delle scelte, concentrandosi sulle proprie capacità di risoluzione dei problemi e sulla modalità di gestione delle dinamiche di gruppo.

Si tratta cioè di offrire la possibilità di spostare l’attenzione da un problema esterno (la preparazione dell’allenamento, l’analisi delle partite) ad aspetti che concernono le emozioni e le relazioni con i membri del gruppo.

Se è vero che alcuni allenatori continuano a vedere come “pericolosa” e “minacciosa” la figura dello psicologo, utilizzabile tutt‟al più a livello di formazione, al fine di non perdere il controllo nella gestione della squadra, è anche vero che questo atteggiamento rivela l’incapacità di intravedere la possibilità di collaborazione e di lavoro in sinergia tra queste figure, dimenticando che lo psicologo può essere una risorsa nella gestione della squadra.

Lo psicologo deve provare a spiegare in modo più dettagliato quale sapere e a contatto con esse ed eliminarle, condurrà ad una distorsione, o ancor peggio ad una negazione della percezione degli eventi che stanno accadendo e, conseguentemente, ad una inadeguata esperienza per affrontarle e quale saper fare possono essere messi a disposizione degli allenatori e dell’ambiente sportivo in generale.

E dall’altra parte gli allenatori devono provare ad abbandonare la convinzione che la figura dello psicologo possa entrare in competizione con la propria, dal momento che queste due figure instaurano un rapporto di confronto e di scambio, in cui sono chiare e definite le reciproche aspettative e in cui il lavoro sinergico dello staff tecnico potrà avvantaggiarsi del contributo della psicologia.

Significa cioè trasformare quello che appare un limite, un timore, in una possibilità.

La nuova frontiera, il nuovo limite su cui lavorare sembra proprio essere il “lavoro di gruppo” (Quaglino, Casa- grande & Castellano, 1992) all’interno dello staff tecnico.

All’interno di questo articolo vengono presentati due progetti di intervento, con l’intenzione di fare luce sul contributo che lo psicologo dello sport può fornire all’interno della squadra sportiva.

Il primo progetto di intervento psicologico si rivolge allo staff tecnico e ai dirigenti della squadra sportiva, figure la cui professionalità implica competenze relazionali.

Una persona avrà maggiori possibilità di riuscita nei progetti e nella soluzione delle difficoltà che incontrerà se avrà una buona capacità per pensare.

Questo è indissociabile da una ragionevole condizione di sopportare situazioni frustranti e di convivere con le proprie emozioni, per quanto possono essere intense e penose in un dato momento della vita.

Lo sviluppo di questa capacità può evitare che ci si trovi in difficoltà dopo: non distorcendo la percezione, potrà accorgersi prima che sia tardi delle distorsioni nella lettura della realtà ed intervenire.

“Il lavoro dello psicologo è un lavoro silenzioso, mantenere il basso profilo è una delle regole da rispettare per essere efficaci e per ridurre l’immagine dello psicologo come risolutore magico dei problemi della squadra.

Non si vince grazie allo psicologo, non si perde a causa dello psicologo: lo psicologo contribuisce come le altre figure svolgendo una parte del lavoro, necessario per raggiungere l’obiettivo, ma solo una parte” (Roffé, 2001, corsivo mio).

 

  • Progetto di intervento psicologico su staff tecnico e dirigenti della società sportiva

Premessa:

I cambiamenti che lo sport sta vivendo nell‟ultimo periodo e la complessità delle varriabili in gioco hanno portato i professionisti dello staff tecnico, in primis l’allenatore, a dover assumere competenze relazionali sempre più ampie e complesse.

Lo “stare in gruppo”, il relazionarsi con gli atleti e con le altre figure dello staff sono oggetto di discussione nel mondo dello sport per quanto afferma Velasco (2004): “Il problema è cosa significa vincere.

La prima e la più importante vittoria che propongo ai giocatori, e che mi pongo io stesso, è battere un nemico terribile, anche perché si nasconde, anche perché noi non lo vogliamo mai affrontare, che di solito ci fa più paura dell’avversario più forte.

E questo avversario sono i nostri difetti, i nostri limiti, le cose che non ci vengono bene, che non ci piacciono”.

Questo riguarda il ruolo di ogni singolo professionista e il suo rapporto con il gruppo.

Lavorare in gruppo è un dato di realtà con cui il tecnico si trova a fare i conti, dovendo superare quella tendenza all‟individualismo (inteso come senso di autosufficienza nei confronti del proprio compito) che caratterizza in gran parte la categoria.

La capacità di lavorare in gruppo con le altre figure dello staff richiede competenze specifiche che il singolo professionista deve possedere/sviluppare: ognuno deve fare esattamente quanto è stato deciso insieme, ciascun membro si aspetta certe azioni sulla base del ruolo assegnato.

Il successo individuale e il successo del gruppo sono la stessa cosa, ogni ruolo, considerato come nodo di una rete, è equivalente.

Destinatari:

I componenti dello staff tecnico e i dirigenti della società sportiva, cioè quelle figure la cui professionalità implica competenze relazionali per quanto riguarda ad esempio la gestione degli individui, delle relazioni all‟interno del gruppo sportivo (squadra e staff tecnico) e della società.

 

Obiettivi:

  • Fornire un contributo nei rilevamenti sul gioco e sui giocatori (lo scout delle partite), mediante strumenti per una lettura psicologica gruppale degli episodi di gioco;
  • Aiutare allenatori e preparatori nella definizione degli obiettivi dei singoli e della squadra e nella gestione degli aspetti motivazionali ;
  • Gestione condivisa dei casi più complicati (recupero infortuni, giocatori che non accettano la panchina, svolgendo un‟azione preventiva su possibili conflitti all‟interno della squadra);
  • Acquisizione di competenze professionali, relazionali, gruppali;
  • Sviluppo della capacità di lettura delle dinamiche gruppali e istituzionali;
  • Miglioramento delle capacità di svolgere specifici compiti attraverso il lavoro di gruppo/in equipe;
  • Elaborare situazioni gruppali, capacità di gestire la complessità legata al raggiungimento degli obiettivi e l‟efficacia organizzativa;
  • Facilitare la comunicazione e lo scambio di informazioni tra le varie figure dell‟équipe;
  • Sviluppo delle capacità di pensare e realizzare progetti formativi, e di coordinare la gestione e lo svolgimento dei progetti realizzati;
  • Fornire all‟allenatore (e alle altre figure) uno spazio per pensare, uno spazio per mettere quanto non si riesce ad elaborare, un contenitore per lasciare emozioni intense dopo una sconfitta in un periodo di crisi al fine di non pregiudicare i rapporti di lavoro nello staff tecnico;
  • Contenimento ed elaborazione dei conflitti all‟interno delle dinamiche del gruppo di lavoro (eventuale ridefinizione dei ruoli, riduzione del conflitto e del burnout);

 

Metodologia:

gruppo di lavoro (compiti operativi eterocen- trati), tecniche di conduzione attiva per favorire mediante il lavoro a coppie e piccoli gruppi un clima più favorevole; lavorando ad esempio sulla cristallizzazione delle dinamiche di ruolo, attraverso la sociometria (Moreno, 1980), anche per migliorare le dinamiche dello staff tecnico, facilitare la creazione e il funzionamento di un gruppo di lavoro (Quaglino, Casagrande & Castellano 1992).

La conduzione attiva può inoltre favorire il processo gruppale, offrendo nuovi strumenti che hanno come scopo quello di agevolare il processo interpersonale, di comunicazione e scambio all’interno dell’équipe tecnica.

 

Durata:

il progetto si svilupperà nel corso dell‟intera stagione agonistica, prenderà il via durante la fase di preparazione al campionato e verrà mantenuto nel corso della stagione con incontri regolari, mentre a fine della stagione si svolgerà un lavoro di valutazione dell‟attività proposta.

Luogo di svolgimento:

gli incontri si realizzeranno prevalentemente al campo di allenamento, nelle sale per le riunioni durante le trasferte e/o i ritiri, preferibilmente curando nella scelta del luogo una zona protetta da eccessive presenze esterne.

Risultati attesi:

Gli interventi realizzati con tecniche di conduzione attiva sono realizzati al fine di attivare la comunicazione e le relazioni interpersonali all‟interno dello staff tecnico, per poter impostare proficuamente il “lavoro di gruppo” e l‟integrazione delle diverse figure professionali, contribuendo inoltre alla chiarificazione degli obiettivi organizzativi/societari e dei ruoli dei singoli professionisti dello staff tecnico.

L‟intervento si propone anche di sviluppare conoscenze che riguardano aspetti metodologici e didattici, cioè relative all‟apprendimento di strumenti di lettura delle dinamiche dell‟ambito organizzativo e le competenze trasversali (comunicativo- relazionali) necessarie per lavorare come équipe.

Un risultato importante appare l‟acquisizione della capacità di pensare la complessità delle dinamiche gruppali in rapporto alle emozioni, alle relazioni e alle risonanze istituzionali (sia sul piano intrapsichico, inteso come ruolo e identità professionale che sul piano intragruppo: dinamiche e risonanza).

Infine appare importante sottolineare come l’aver acquisito la consapevolezza delle proprie modalità di stare e lavorare in gruppo e l’aver appreso nuove conoscenze teoriche e un nuovo metodo per lavorare con il gruppo di giocatori consente alle figure dello staff tecnico una migliore gestione condivisa della squadra, in particolare delle dinamiche gruppali in vista di un miglioramento delle prestazioni della squadra stessa.

L‟approccio alla complessità richiede una formazione continua, in itinere, che nel caso dello staff tecnico interdisciplinare se condotta “in” gruppo ha il vantaggio di consentire l’acquisizione di un linguaggio comune, oltre ad operare un lavoro di costruzione e ricostruzione di reti che rende più facile ed immediata l’integrazione di competenze e formazione diverse, con l’obiettivo di favorire il “lavoro di gruppo” dell’équipe, intesa come “gruppo di lavoro” (Quaglino, Casa- grande & Castellano 1992).

Il lavoro con il gruppo

La squadra sportiva può essere definita un piccolo gruppo orientato al compito e alla prestazione, i cui membri sono interdipen- denti, si mettono al servizio del collettivo per raggiungere un obiettivo comune, condiviso.

Come utilizzare a favore della squadra l’apporto dei singoli?

Come costruire un gruppo coeso in grado di esprimere un gioco di squadra?

Episodi che mostrano la coesione della squa- dra sono ad esempio i festeggiamenti dopo un gol, la capacità della squadra di resistere all‟avversario con un giocatore in meno dopo un’espulsione, la capacità di reagire in momenti difficili nel corso della stagione ritrovando il gioco di squadra o nel corso di una partita aiutando i compagni in difficoltà in fase di marcatura.

Ogni membro deve essere infatti disposto a “sacrificare” qualcosa di personale per il gruppo, gli obiettivi devono essere condivisi ed il clima della squadra si deve caratterizzare per il supporto fornito ai compagni di squadra e all’allenatore.

Così ad esempio i giocatori infortunati durante il periodo di recupero o gli atleti che non riescono ad esprimersi in un certo momento della stagione necessitano di ricevere il supporto degli altri componenti del gruppo.

O ancora possiamo utilizzare come esempio queste dichiarazioni di Prandelli, che fanno in parte trasparire quello che è avvenuto all’interno dello spogliatoio della Fiorentina, episodi che spesso rimangono privati, e quindi rappresentano materiale prezioso: notizia per il giornalista, ma anche episodio da cui filtrano le dinamiche di un gruppo

Non sempre però gli allenatori riescono a leggere i sottili ronzii che si trasformeranno successivamente in quel rumore e in quella sofferenza, espressione di malfunzionamenti nella relazione (o in patologie della stessa) che i giornalisti sportivi chiamano “problemi di spogliatoio”. Ecco che lo psicologo oltre a svelare con un certo anticipo le dinamiche del gruppo può essere quello spazio terzo, utile all‟allenatore per riflettere sulle decisioni da prendere nella gestione del gruppo.

Per provare a riannodare quel filo perduto il lavoro deve concentrarsi sulla coesione e sullo spirito di squadra, la “chiave del successo” (Velasco, 2004).

La costruzione di una squadra inizia dall’avere chiaro l’obiettivo da raggiungere ed il secondo passo è quello di avere un gioco ben delineato e conosciuto da tutti, sulla base di una metodologia, uno stile di lavoro e di gioco condiviso da allenatore e giocatori.

La tecnica dei singoli atleti, le loro capacità sono la base di partenza, lo strumento, ma l’essenza risiede nel creare un gioco di squadra, un sistema tattico che permetta di mettere in evidenza i pregi dei singoli, nasconderne i difetti e, contemporaneamente, sottolineare i difetti dell’avversario e limitarne i pregi.

Tramite il gioco collettivo si riesce a far emergere il meglio di ognuno, sopperendo ai suoi difetti con le doti di un altro.

Va aggiunta però una distinzione importante: squadra e gruppo non sono la stessa cosa, e non vanno confusi.

Il gruppo è l’elemento alla base della squadra.

Il gruppo si forma svolgendo un’attività in comune, è un’entità propria: ciò significa che il suo elemento distintivo non deriva dalla somma delle caratteristiche degli individui che lo compongono, ma bisogna ricercarlo nelle dinamiche che si creano al suo interno.

L‟intento del tecnico è di ottenere una risposta dalla squadra: “Dobbiamo ricordarci chi eravamo, come la Fiorentina è arrivata fin qui.

Ad ogni gara manderò sei giocatori in tribuna: chi non sta a certe situazioni vada pure. […]

Chi reagisce, dimostra attaccamento, spirito di squadra e zero gelosie è da Fiorentina.

La parola d’ordine è ritrovare lo spirito di gruppo, la voglia di stare assieme, di abbracciarci, la voglia di combattere.

Chi gioca e chi no deve sentirsi coinvolto e mettermi in difficoltà nel giorno delle scelte.

Solo così si  riannoda un filo perso: quello del gruppo.” (Dalla Vite, La Gazzetta dello Sport, 27 settembre 2008).

L‟etimologia della parola “gruppo” richiama alla mente l‟immagine del filo: dal germanico “kruppa” tradotto in “matassa arrotolata”, per cui il gruppo rappresenta la molteplicità dell‟appartenenza, la complessità e la pluralità dell’essere; e dal toscano “nodo”, dal momento che il gruppo non può essere paragonato ad un qualsiasi insieme di persone, dato che esprime la sua vera natura nella dinamica dell’interdipendenza e della coesione.

È necessario verificare come ciascun individuo funziona nel gruppo e non come è fatto, se ha talento, oppure se ha un certo carattere, o se è coerente ad un certo metodo di lavoro.

Una squadra invece si caratterizza per la definizione dei ruoli, in funzione del tipo di gioco che si vuole fare, della tattica che si intende applicare.

È inammissibile, ad esempio, che un terzino vada a fare la punta soltanto perché il centravanti non segna.

Questo implica accettare anche i limiti, i difetti, gli errori dei compagni.

Ciascun giocatore deve avere e rispettare il ruolo assegnatogli dall’allenatore, ma tutto questo è molto più difficile quando qualcosa non funziona, quando i risultati non arrivano.

Velasco (2004) sostiene che è in caso di difficoltà che si vede se c’è davvero lo spirito di squadra. Quando le cose vanno bene è semplice rispettare i ruoli, quando invece vanno male si innesca un meccanismo basato sul tentativo di dimostrare la propria innocenza, tra mille alibi e giustificazioni, e la colpevolezza degli altri.

Il problema di fondo è che l’errore viene visto come una dimostrazione d’incapacità, e non come uno strumento di apprendimento.

Questo episodio riporta la mia mente a un confronto seguito all‟analisi di una partita di cui sono stato protagonista durante la passata stagione: una sconfitta maturata in trasferta, contro una delle squadre favorite alla vittoria del campionato, ma giunta alla fine di una partita giocata alla pari, molto equilibrata e decisa da un episodio sfortunato, un errore individuale.

Le parole che utilizzo non sono esattamente le stesse pronunciate dall‟allenatore, ma riportano fedelmente il messaggio.

Il successo di una squadra è influenzato da numerose variabili tra cui le capacità tecniche dei giocatori, la condizione atletica, l’abilità tattica dell‟allenatore nell‟utilizzare gli atleti a sua disposizione e dalla coesione, dentro e fuori dal campo.

Dei vari fattori elencati in questo breve, quanto incompleto, elenco quello che riceve un’attenzione minore da parte dei tecnici è senza dubbio la coesione, ed è in questo settore che la psicologia dei gruppi può offrire   il suo contributo in ambito sportivo.

Il calcio è uno sport collettivo, in quanto tale l’interazione e l’integrazione tra i membri della squadra sono ingredienti fondamentali per ottenere una performance migliore.

Nel corso di una stagione privilegiare il talento individuale rispetto alla qualità collettiva porta a pagare il prezzo della sconfitta, nel momento in cui il fuoriclasse, colui che fa la differenza all’interno della squadra, incontra delle difficoltà.

Limitarsi ai suoi assoli rende povero il concerto della squadra, facilmente prevedibile per gli avversari, agevolati nel loro compito di difesa, dato che una volta bloccato il singolo esecutore hanno fermato l’intera squadra avversaria.

E all’interno della squadra, le conseguenze potrebbero essere ancora più gravi: dentro e fuori dal campo.

Come sostiene Osorio (2003) potrebbero nascere rivalità per ricoprire il ruolo privilegiato di colui che fa l’assolo, trasformando il palco in un ring, trasformando una sana competizione per il posto in squadra in una dinamica negativa per il gruppo, spostando al suo interno la conflittualità e dimenticando l’importanza della coesione.

Non è quanto successo nel 2002, quando ai campionati del mondo di calcio, in Giappone e Corea, il Brasile ha conquistato il quinto titolo della sua storia.

Osorio (2003) descrive la squadra brasiliana come la “famiglia Scolari”, sottolineando come la   disposizione tattica della squadra, le capacità tecniche e il talento dei singoli non siano stati i fattori determinanti nella vittoria finale.

Lavorando sulla coesione del gruppo anche fuori dal campo, ha ottenuto il risultato di una maggiore unione anche sul terreno di gioco, in particolare nella fase di marcatura, ottenendo il contributo di giocatori spesso individualisti e poco portati ad aiutare i compagni, sopperendo così alle difficoltà difensive della squadra.

 

L‟ex-allenatore della Nazionale Italiana di pallavolo parla di “cultura degli alibi”, una situazione che si ritrova non solo in ambito sportivo e tende a distruggere l‟armonia, impedisce di progredire, di imparare.

“L’errore segnala la necessità di apportare modifiche, la scusa, invece, impedisce di mettere in moto delle risorse che, a volte, non si sa neppure di avere” (Velasco, 2004).

“Si vince tutti insieme, si perde tutti insieme, si sbaglia tutti insieme. […]

Dobbiamo considerare l’errore di uno come l’errore della squadra, da cui mirare e non come la mancanza solo di un singolo, la presenza di una colpa […]”.

Secondo l‟autore, Felipe Scolari, l‟allenatore che si è avvalso del contributo della psicologa dello sport Regina Brandao “ha saputo creare un gruppo di lavoro, orientato al compito e concentrato sull‟obiettivo da raggiungere” (Osorio, 2003).

 

Durante i periodi di crisi e di sconfitte un allenatore suggerisce più o meno tacitamente, attraverso le proprie scelte e i discorsi allo spogliatoio, la lettura e l‟interpretazione che ha fatto del momento di difficoltà e la modalità scelta per uscire dal momento difficile.

Addossare le colpe e la responsabilità su un singolo individuo illude in un primo tempo l’allenatore di proteggere il resto della squadra, ma praticamente pone “fuori dai giochi” il giocatore criticato per l’errore, privando il gruppo del suo apporto per il periodo successivo.

Infatti il senso di inefficacia di alcuni giocatori, amplificato dalle critiche per l’errore commesso, potrebbe condizionare negativamente l’intero gruppo, favorendo uno stato di tensione in cui si è bloccati dalla paura di commettere un “errore”, per cui si viene incolpati e si perde il posto.

In molti casi allora il giocatore si limita a fare il “compitino”, ad anteporre i suoi interessi e a lamentarsi, sfilacciando quasi del tutto il gruppo.

La mentalità vincente non garantisce di per sé la vittoria, ma è probabile che un team con poca coesione confermi con la maggioranza delle proprie prestazioni un trend negativo.

La produttività di una squadra e i risultati che potrà ottenere (successi, bel gioco, fama, riconoscimenti) dipenderanno molto spesso dalla coesione del gruppo.

Dove la coesione orientata al compito è condizione necessaria e sufficiente per ottenere il risultato.

Ad esempio nel corso di un allenamento si è verificato un episodio di tensione tra un portiere e un giocatore della squadra in cui gioco.

Una semplice incomprensione nel corso di una delle esercitazioni ha portato questi due giocatori a un confronto piuttosto acceso, al termine del quale i due non si sono chiariti.

Il giorno successivo il portiere non si è presentato all’allenamento e il giorno della convocazione per l’esordio stagionale è arrivato in ritardo, ancora visibilmente contrariato per l’episodio accaduto. L’allenatore che non aveva assistito direttamente all’episodio ha gestito la situazione variando il discorso pre partita: avendo preparato le situazioni tattiche durante la settimana ha preferito ritornare sull’episodio accaduto, non per ricostruire i fatti, quanto per ricordare ai singoli e alla squadra che dal momento in cui si scende in campo si deve essere in grado di lasciare fuori questi aspetti e concentrarsi sull’obiettivo che il gruppo vuole raggiungere (coesione orientata al compito).

Le squadre coese sono quelle che ottengono maggiori successi e i loro atleti sentono di possedere ciò che occorre per riuscire nella prestazione.

Al contrario, vediamo squadre che riescono a tenere un precario equilibrio in campo finché sono in vantaggio, e che si disgregano e crollano incapaci di reagire al gol avversario o davanti ad un proprio errore.

Se il gruppo ha sviluppato un senso di fragilità, sembra essere inconsistente ed avere un atteggiamento mentale inefficace.

Per fare questo però si deve poter lavorare “con” e “in” gruppo, come nell’esempio seguente, riguardante la preparazione psicologica della Nazionale Argentina Under 20 di calcio per il Mondiale 2001 e in quello successivo, in cui presento un progetto di intervento “con” il gruppo.

La preparazione psicologica della Nazionale Argentina Under 20 di calcio per il Mondiale 2001: un anno di lavoro con calciatori professionisti

In occasione dei Mondiali Under 20 di calcio disputati in Argentina nel 2001, Marcelo Roffé, psicologo dello sport, è stato chiamato dall’allenatore José Pekerman per rivestire il ruolo di psicologo della Seleccion.

Il lavoro dello psicologo non è il lavoro di una sola figura, ma è una delle componenti di un “gruppo di lavoro” interdisciplinare, di un lavoro di squadra condotto dallo staff tecnico.

Vediamo allora gli obiettivi e lo svolgimento del lavoro psicologico condotto da Marcelo Roffé con la Nazionale argentina.

Condividere i viaggi e gli allenamenti, essere presenti   negli   spogliatoi   prima e dopo il match sono esempi dei momenti in cui Roffé ha potuto lavorare con il gruppo-squadra.

Nel corso della partita lo psicologo ne osservava lo svolgimento e prendeva nota dei comportamenti di singoli giocatori in campo e/o in panchina e della squadra, sulla base di alcune variabili definite con l’allenatore.

In questa esperienza lavorativa Roffé si è trovato di fronte a una squadra che aveva i favori del pronostico e ha potuto inserirsi all’interno di un progetto tecnico ben definito per poter giungere alla vittoria.

Il primo passo, una volta inserito nel gruppo e dopo aver maneggiato l’iniziale diffidenza dovuta all’inevitabile paura del cambiamento è stato quello di condurre una fase di valutazione, con interviste, sedute di osservazione e vari test per realizzare un profilo psicologico dei giocatori.

In questo modo Roffé ha raccolto informazioni utili per conoscere gli atleti e stilare un profilo completo della personalità, delle capacità, dei difetti, dei punti di forza e dei limiti dei giocatori, individuando gli aspetti da migliorare.

Per non lasciare alcun dettaglio al caso e ridurre al minimo il margine di errore, l’indagine ha coinvolto anche gli aspetti motivazionali, la pianificazione degli obiettivi, il livello di ansia e di ansia competitiva, la concentrazione, le modalità di decisione e reazione di fronte agli ostacoli, e la tolleranza alla pressione, ma si è anche concentrata su aspetti gruppali tra cui i legami tra i membri, il ruolo ricoperto e l’identificazione del clima del gruppo e di eventuali tensioni presenti al suo interno.

Riprendendo un episodio della sua carriera ha affermato: “Ho avuto la fortuna di giocare con grandissimi giocatori che nello spogliatoio non si rivolgevano quasi la parola, ma che una volta scesi in campo non permettevano alle incomprensioni di penalizzare il gioco della squadra.

Ci sono quaranta minuti in cui si dimentica tutto, si lascia da parte quanto successo, ci si concentra e si lotta insieme alla squadra, se no si finisce per non fare un passaggio e a pagare il prezzo è la squadra […]”. giocatori condividono le medesime aspirazioni, hanno un forte senso di identità collettiva e anche le prestazioni atletiche migliorano. Il legame che si crea tra i membri del gruppo è importante, ma non è una “conditio sine qua non” per ottenere una prestazione dalla squadra: la condivisione di uno scopo, il senso di efficacia collettiva, cioè quella che Carron definisce come “coesione forte”.

30 “Dopo essere stato presentato allo staff tecnico, sono entrato in contatto per la prima volta con la squadra ad un anno dall‟inizio del Mondiale […]” racconta Roffé e aggiunge “[…]

L‟ingresso di un estraneo nel gruppo deve essere sempre gestito e valutato attentamente”. Ricordo ancora le parole con cui Pekerman mi ha introdotto al gruppo, consegnandomi il ruolo: “Vi presento Marcelo, lo psicologo della squadra, a partire da oggi lavorerà al nostro fianco, sa cose che noi non sappiamo”: queste parole hanno accompagna- to l’ingresso della psicologia dello sport nel calcio professionistico argentino.

 

Obiettivi dell‟intervento psicologico.

  • risposta alla richiesta dell‟allenatore: allenare i giocatori ad essere pronti a rendere al massimo anche sotto pressione;
  • allenare la concentrazione;
  • insegnare ai giocatori abilità psicologiche, ad esempio per controllare la pressione;
  • trasmettere strategie per affrontare lo stress;
  • privilegiare il “noi” all‟individualismo;
  • comprensione del ruolo tattico richiesto dall‟allenatore;
  • apprendere a rilassarsi la sera prima della partita;
  • aver ben chiare le mete individuali e quelle di dentro e fuori dal campo.

A questo proposito il lavoro è stato svolto sia a livello individuale, con il coinvolgimento dell‟allenatore, sia a livello di squadra, collocando foto e frasi che ricordavano al singolo giocatore come alla squadra la meta da raggiungere, o attraverso video, ricordando l‟importanza di essere entrati a far parte della Nazionale, della vetrina a disposizione, dell’importanza di sfruttare l‟occasione capitata, per mantenere alta la concentrazione.

 

Ad esempio alcune frasi erano: “Quanti mondiali Under 20 pensi di giocare?” e “Sfrutta al massimo ogni momento, dentro e fuori dal campo”.

Migliorare la coesione e il clima di squadra.

Nel corso dei vari incontri effettuati con il gruppo di giocatori, Roffé ha cercato di realizzare delle attività di integrazione, di tipo ludico e creativo, con l’obiettivo di creare nuovi legami e rinforzare quelli già esistenti nel gruppo, al fine di aumentare il sentimento di appartenenza e coesione della squadra, poi mostrata sul campo ad esempio in occasione dei festeggiamenti per i gol realizzati. Lo staff tecnico ha contribuito a consolidare la coesione della squadra, fornendo una struttura solida, un’identità chiara, alta motivazione e elevata solidarietà tra i membri della squadra.

Un altro concetto su cui si fondava il gruppo e condiviso dallo staff tecnico era il seguente: prima di essere giocatori professionisti sono essere umani, e per questo possono attraversare periodi difficili e di sofferenza.

Uno dei giocatori più attesi era Saviola, considerato dalla stampa come l’asso nella manica, l’arma in più, ma il primo passo per sfruttarne appieno le caratteristiche è stato quello di integrarlo nella squadra.

Anche per questo non c’erano “stelle” all’interno della squadra, il messaggio trasmesso al gruppo era “tutti i giocatori sono uguali, e sono trattati dai tecnici allo stesso modo”.

Analisi psicologica delle partite disputate.

L‟esordio, atteso quasi con ansia dai giocatori e più volte “giocato mentalmente” è stato il match più difficile da sbloccare, nonostante il lavoro psicologico svolto per gestire la pressione.

Le statistiche confermano le ottime prestazioni fornite dai singoli e dalla squadra nel campionato del Mondo: 27 gol fatti in 7 partite, minor numero di gol subiti, Saviola capocannoniere del torneo con 11 gol, record nella storia dei mondiali giovanili.

La squadra preparata ed allenata per affrontare e controllare l’ansia e la pressione era in grado di cominciare bene le partite, passando in vantaggio e potendo successivamente gestire la partita

L’esperienza di Roffé ha aperto le porte al lavoro dello psicologo dello sport nel mondo del calcio e può costituire un modello di riferimento per svolgere e condurre degli interventi psicologici rivolti al “gruppo-squadra”.

Una squadra senza coesione non può definirsi tale e non sarà in grado di fronteggiare gli ostacoli e le difficoltà presenti nelle competizioni.

L’importanza delle dinamiche di gruppo deriva dal fatto che, se si vuole migliorare il rendimento complessivo della squadra, è necessario conoscere meglio la natura del gruppo in cui si costituisce e si sviluppa la rete di relazioni interpersonali.

Il secondo progetto di intervento psicologico che presento in questo lavoro si rivolge al gruppo- squadra, al lavoro “con” il gruppo, dal momento che, negli sport di squadra, la gestione delle dinamiche gruppali è un aspetto che richiede di essere preso in considerazione.

Vediamo queste situazioni nel dettaglio:

  • Argentina vs. Egitto: dopo aver subito gol al 5‟ minuto l‟Argentina ha recuperato il pareggio al 7‟, è passata in vantaggio al 15‟, e iniziato la goleada una volta sbloccatisi e creduto nelle capacità della squadra, al 20‟ e al 44‟ per terminare 4 a 1 il primo tempo, e 7 a 1 la partita contro la squadra che finirà al terzo posto nel Mondiale.
    • Argentina vs. China (ottavi di finale): 1 a 0 dopo 4 minuti, ma la squadra subisce il pareggio e il secondo tempo è ancora equilibrato.
    • “Sugli spalti la gente iniziava a rumoreggiare – ricorda Roffé – e dopo un brivido con una punizione favorevole ai cinesi, siamo riusciti a trovare il 2 a 1 dopo una sostituzione.
    • Roffé conclude commentando: “talvolta bisogna soffrire per crescere come squadra: è stato uno dei momenti chiave, in cui abbiamo capito di poter raggiungere l’obiettivo che ci eravamo prefissati”.
    • Argentina vs. Ghana (finale): in 14 minuti la Nazionale Argentina, priva del suo capitano Coloccini, squalificato, parte subito forte e va sul doppio vantaggio, sbloccando il risultato al 6‟ e raddoppiando al 14‟, mostrando che la coesione del gruppo e il gioco di squadra permettono di superare gli ostacoli che si trovano nel cammino che conduce ai propri obiettivi.

 

  • Progetto di intervento psicologico sul gruppo-squadra.

Premessa.

Nello sport l‟attenzione si è spostata in misura sempre maggiore sul risultato, dimenticando che la maniera più sicura per raggiungere l’obiettivo definito all’inizio della stagione è cercare di mettere i giocatori nelle migliori condizioni per realizzare la massima prestazione.

Infatti l’analisi di uno sport di squadra mostra inequivocabilmente che l’aspetto psicologico, in modo particolare le dinamiche gruppali che si instaurano tra i membri del gruppo possono influenzare il risultato: se queste interazioni sono positive e cioè se ogni singolo giocatore incoraggia e non critica i compagni, accetta le scelte tecniche e le decisioni dell’allenatore, fornisce supporto agli altri membri del gruppo ed è disposto a sacrificarsi per la squadra, la coesione del gruppo e la prestazione aumenteranno.

 

 

“Non può esserci qualcosa come un gruppo non coeso; è una contraddizione in termini.

Se un   gruppo esiste, è in qualche misura coeso” (Carron, Chelladu- rai & Donnelly, 1978: p. 7).

 

Destinatari:

il gruppo di atleti, la squadra.

L‟allenatore non viene completamente escluso da questo progetto, dal momento che è deputato alla gestione tecnico-tattica del gruppo di giocatori, ma è opportuno non coinvolgerlo in prima persona nella conduzione di questi incontri.

A seconda della situazione è consigliabile valutare attentamente se introdurlo come osservatore, escludendolo laddove i giocatori mostrano il bisogno di sentirsi completamente liberi di esprimersi, senza dover temere ripercussioni dal punto di vista dell’impiego sul terreno di gioco.

 

Obiettivi:

1° periodo

Svolgere la fase di osservazione e valutazione dei singoli membri e del gruppo;

Favorire la definizione comune e condivisa da parte del gruppo delle norme e degli obiettivi di squadra;

Individuazione delle reti relazionali esistenti ed esplorazione delle dinamiche di gruppo;

Facilitare l’inserimento dei nuovi giocatori e monitorare la formazione del “gruppo- squadra”;

 

2° periodo

Curare la preparazione psicologica alla partita, la gestione della pressione che si accompagna alla gara e utilizzo di segnali di attivazione come ad esempio rituali  pre partita, creati appositamente dalla squadra, con cui il gruppo si prepara a scendere in campo;

Gestione delle dinamiche all’interno della squadra (in collaborazione con l’allenatore) rispetto ai ruoli da ricoprire, alle dinamiche di gioco, e all’accettazione del ruolo (lavoro con il singolo giocatore rispetto al tempo di utilizzo);

Affrontare le difficoltà che emergono nel raggiungimento della prestazione ottimale;

Gestione degli infortuni e del percorso di recupero degli atleti infortunati per ottimizzare il funzionamento del gruppo;

Incontri di gruppo e analisi di partite e/o episodi al fine di mantenere o sviluppare la coesione del gruppo;

Affrontare le situazioni difficili, i momenti di crisi della squadra, aiutando l‟allenatore nella gestione dei periodi delicati (cfr. gli esempi soprariportati di Fiorentina e Brasile).

 

Metodologia:

1° periodo:

Nella fase di valutazione dei potenziali comunicativi e relazionali dei singoli membri e di osservazione delle dinamiche di gruppo, lo psicologo utilizza colloqui, interviste, sia individuali che mediante incontri di gruppo, utilizzando test e strumenti come il GEQ34, ma anche osservazioni sul campo e in video e la sociometria (Moreno, 1980).

È importante osservare la struttura dei processi   comunicativi e la rete di relazioni, così come le aspettative di ruolo e la leadership, oltre al clima di gruppo, cioè le sensazioni, i vissuti e il sentimento di appartenenza al gruppo, la piacevolezza di stare e fare insieme.

L’inserimento di nuovi membri e la formazione del gruppo-squadra può essere agevolata mediante tecniche attive, giochi di “warm up” e rituali che sviluppano il senso di appartenenza al gruppo.

Ad esempio si possono proporre rituali di fondazione del gruppo, incoraggiando un clima più favorevole e promuovendo la coesione della squadra.

“Group Environment Questionnaire” di Carron, Widmeyer & Brawley, 1985.

2° periodo:

La preparazione psicologica alla gara può essere condotta sia con singoli atleti che in piccoli gruppi mediante tecniche di rilassamento, visualizzazione e gestione della pressione (come nell‟esempio dell‟intervento di Roffé) sia mediante training mentale con il modello SFERA (Vercelli, 2005), o ancora ad esempio la “Mind Room” per lo sviluppo e il mantenimento delle capacità di attenzione, concentrazione e il recupero di risorse ed energie mentali di Milan Lab.

La gestione dei momenti precedenti alla gara, in cui viene effettuato il riscaldamento può essere utilizzata anche per ripetere i rituali pre-partita della squadra (ad esempio l‟Haka degli All Blacks) utili per l’attivazione di squadra che sancisce l’inizio della competizione.

La conduzione del lavoro “con” il gruppo- squadra utilizzando tecniche attive mutuate dallo psicodramma (ad esempio l‟inversione di ruolo) consente allo psicologo di realizzare “scene virtuali”, a coppie o in piccoli gruppi, per affrontare conflitti ed episodi emersi durante un allenamento o una partita, in modo particolare durante un periodo difficile della stagione che se non gestiti rappresentano “resti non elaborati” che possono dare luogo al cristallizzarsi di dinamiche negative all‟interno del gruppo che possono pregiudicare il rendimento della squadra.

 

Durata:

il progetto si svilupperà nel corso dell‟intera stagione agonistica, prenderà il via durante la fase di preparazione al campionato e verrà mantenuto nel corso della stagione con incontri regolari, mentre a fine della stagione si svolgerà un lavoro di valutazione dell‟attività proposta.

 

Luogo di svolgimento:

Gli incontri si realizzeranno prevalentemente al campo di allenamento, negli spogliatoi, nelle sale per le riunioni durante le trasferte e/o i ritiri.

 

Risultati attesi:

A partire dalla chiara definizione di norme e obiettivi a livello individuale e di squadra,   e in accordo con il lavoro dell‟allenatore, il lavoro psicologico rivolto alla squadra si propone di favorire la formazione di un gruppo coeso, limitando i conflitti a livello relazionale e facilitando la gestione del gruppo e le scelte tecnico-tattiche dell‟allenatore.

Mostrando una particolare attenzione alle dinamiche di gruppo osservate nella squadra durante gli allenamenti e/o le partite, o rilevate mediante l’utilizzo di strumenti quali il GEQ o il sociogramma, lo psicologo ha la possibilità di intervenire con tecniche di conduzione attiva per favorire mediante il lavoro a coppie o in piccoli gruppi il miglioramento delle dinamiche di gruppo e il rinforzo della coesione della squadra.

 

Conclusioni

“Era il 1978, il dottor Prunelli e l‟allenatore Vatta sperimentarono con la Primavera del Torino un nuovo metodo di formazione, rivolto al giocatore nella sua completezza, rivolto a corpo e mente, alla personalità, alla creatività e alla responsabilizzazione del giocatore, in pratica alla crescita della persona, allo stesso modo in cui lo sport aveva sempre curato il fisico e la tecnica”.

Per il periodo quell’esperienza rappresentava un balzo in avanti incredibile.

Purtroppo però Giancarlo Camolese, ex giocatore ed ex allenatore del Torino Calcio, nel raccontare questa esperienza all’interno di “Sport e agonismo” (Prunelli, 2002) spiega: “[…]

In ventitré anni le cose non si sono evolute, c’era poca voglia di esplorare nuove vie.

Nella mia carriera non ho più vissuto altri momenti simili: le esperienze in altre società non mi hanno fornito nulla di nuovo e, anzi, non ho trovato le stesse cose e ancora meno altre migliori.

In certi ambienti non ho trovato neanche il desiderio o il tentativo di percorrere altre strade, perché la tradizione ha sempre la prevalenza sul tentativo di innovare e cambiare qualcosa, anche perché chi innova è criticabile, e tutti cercano di essere il meno criticabili possibile”.

In questo immobilismo risiede uno degli errori che si possono imputare al mondo dello sport, una realtà governata dalla fretta di   ottenere il risultato, non importa a quale prezzo per la salute fisica (ad esempio con il ricorso al doping) e psicologica degli atleti, una realtà che cerca di incrementare il rendimento aumentando le richieste e le pressioni e si dimentica della persona.

Camolese racconta “[…] ricordo le sedute collettive che facevamo prima della partita per cercare quella che poteva essere la concentrazione più utile in campo, per vivere in positivo i momenti migliori di ogni partita giocata e per proporli in quelle successive, per trovare la lucidità e la prontezza per capire e controllare ciò che sarebbe successo in quella che stavamo per giocare.

In particolare mi ricordo quando il dottor Prunelli, nella preparazione di una finale del torneo giovanile contro la Juventus, aveva detto: “Stringete il pugno della mano destra, sapete che in questo momento tutti i vostri compagni lo stanno stringendo e in campo significherà che tutti daranno qualcosa per gli altri”. (Prunelli, 2002).

Da questa testimonianza traspare come la squadra sportiva possa essere considerata come un gruppo primario a forte rilevanza psicologica, strutturato secondo specifiche modalità di interazione, in cui i singoli membri che ne fanno parte sono uniti da un obiettivo comune e dalla condivisione di una esperienza a forte risonanza emotiva.

Il gruppo sportivo è intenzionalmente progettato e strutturato per raggiungere una meta che viene definita ad inizio stagione.

Questo aspetto determina specifici modelli di relazione attraverso la condivisione di valori, abitudini, esperienze che contribuiscono alla formazione di relazioni di tipo interdipendente (costanti e continuative) che sono alla base della coesione.

Nella squadra il lavoro di gruppo si fonda sulla comunanza di intenti tra i membri, tutti uniti per raggiungere l’obiettivo condiviso, comune al gruppo.

Il funzionamento del gruppo non cancella comunque le differenze individuali, che rimangono e vanno riconosciute, evidenziate, promosse e contribuiscono in modo rilevante alla cultura del gruppo, riscontrabile analizzando la vita sociale che si sviluppa all’interno della squadra, ad esempio nell’istituzione di riti di passaggio che accompagnano l’ingresso di un nuovo membro all’interno del gruppo.

Non si può parlare di squadra quando il gruppo non è vincolato da norme condivise che armonizzano i comportamenti e le iniziative di tutti; la squadra deve essere allenata a pensare e agire in sincronia, in allenamento e in gara, non deve semplicemente eseguire i dettami dell’allenatore, quanto piuttosto ricercare le soluzioni più utili con il contributo di tutti.

Il singolo dovrebbe mettere il risultato collettivo davanti a quello personale, dal momento che la compattezza del gruppo, l‟unità di intenti sono alla base della prestazione e del “gioco di squadra” in campo.

Nel preparare la gara il giocatore cerca dentro di sé le energie e le motivazioni per realizzare la massima prestazione, ma è consapevole che questa non dipende solo da lui, ma anche dai suoi compagni, dal momento che nella partita l’interazione e la collaborazione permettono il gioco di squadra.

La consapevolezza che di fianco a me ci sono compagni che stanno facendo le stesse cose, che lottano per gli stessi obiettivi, che lottano per un centimetro, è caratteristica dei gruppi vincenti e diventa consapevolezza che avrò un sostegno, un aiuto dal mio compagno che è disposto a dare una mano e a sacrificarsi per il gruppo, perché non esistono uomini soli in un gioco di squadra, come nel gruppo, come nella vita.

All’interno di ogni gruppo, e non solo sportivo, esistono dinamiche ben precise, abitudini, tradizioni, rituali, opinioni personali e “collettive”, che come onde del mare assumono determinate forme e caratteristiche durante la vita del gruppo stesso, in un rifluire di pensieri, emozioni, pregiudizi, timori e sofferenze.

In tutto questo si muove e opera lo psicologo con strumenti e tecniche da applicare proprio a seconda della singolarità del caso e non certo con la pretesa, talvolta magica, di operare con interventi a tutti i costi risolutori, tanto più nel complesso e difficile mondo dello sport, a qualsiasi livello questo venga praticato.

Le proposte di intervento psicologico non devono quindi essere considerate un format di trattamento definito e definitivo da mettere in pratica, data la complessità e la numerosità delle variabili in gioco nell’ambito sportivo e la necessità di concordare all’interno dell’équipe il lavoro psicologico attraverso il gruppo, in base alla situazione specifica.

La continua necessità di aggiornamento, confronto e formazione in fieri fa del lavoro di gruppo una sfida sempre da rinnovare, per realizzare la migliore integrazione possibile tra le diverse figure professionali dello staff tecnico.

Un giorno fu chiesto ad Albert Einstein, Nobel per la fisica nel 1921, quale fosse la differenza tra lui e una persona comune.

Egli rispose che se a un individuo viene chiesto di cercare un ago in un pagliaio, questo soggetto si fermerà e si sentirà appagato se e quando troverà questo ago; egli invece avrebbe continuato a cercare tutti i possibili aghi che potevano ancora esserci dopo quello (Vercelli, 2005).

Nel tentativo di seguire questa lezione bisogna avere il coraggio di fare qualcosa di nuovo, di rischiare per migliorare, di combattere l’immobilismo di cui parla Camolese, di proporre nuove tipologie e metodologie di intervento nella psicologia dello sport.

Lo psicologo può intervenire all’interno dello staff tecnico per impostare proficuamente il “lavoro di gruppo” e l’integrazione delle diverse figure professionali, mettendo a disposizione dell’allenatore (e delle altre figure) uno spazio per pensare, uno spazio per mettere quanto non si riesce ad elaborare, un contenitore per lasciare emozioni intense, ad esempio dopo una sconfitta al fine di non pregiudicare i rapporti di lavoro nello staff tecnico.

Egli si propone come un osservatore in una posizione esterna al sistema stesso (meta), al fine di favorire quel percorso di uscita dagli schemi, proponendo una lente di ingrandimento per mettere a fuoco una situazione di difficile lettura, per offrire un punto di vista alternativo e trovare possibili soluzioni quando qualcosa non ha funzionato.

Nell’adottare un vertice gruppale lo psicologo può anche fornire un contributo importante per quanto concerne la lettura degli episodi di gioco e delle dinamiche di gruppo, così come nella gestione della pressione e delle emozioni nel corso di una stagione agonistica.

Il lavoro condotto da Roffé con la Nazionale Argentina esemplifica la situazione in cui lo psicologo fornisce un contributo importante alla gestione del gruppo di atleti, dal punto di vista intrapsichico e relazionale, con una professionalità, con delle competenze e con degli strumenti di cui l‟allenatore non dispone.

In questo modo lo psicologo, a partire dall‟osservazione delle dinamiche di gruppo, può organizzare il suo lavoro nel corso della stagione agonistica, con incontri di gruppo in cui favorire una corretta gestione delle dinamiche all‟interno della squadra sportiva, con particolare riferimento alla coesione, in modo da favorire lo sviluppo del sentimento di appartenenza e il riconoscimento degli aspetti personali per garantire individualità e differenziazione.

Questo intervento è particolarmente utile per consentire il compattamento del gruppo contro gli ostacoli e le difficoltà, fornendo un miglioramento dal punto di vista dei risultati.

La lente di ingrandimento che utilizza lo psicologo cerca di fare luce sulle “zone cieche” del gruppo a cui l‟allenatore non può accedere per il semplice motivo che anche lui è parte di quella rete relazionale.

Per vedere le sfaccettature che scaturiscono dall’insieme delle relazioni, è necessario allargare il punto di vista all‟interpersonale, al campo gruppale che si crea nella squadra sportiva.

Di questo non se ne può occupare l’allenatore, dal momento che ricopre un ruolo preciso all’interno di quel sistema che dovrebbe osservare: non può al tempo stesso essere immerso e porsi al di fuori del campo relazionale.

Serve una figura che si ponga ad un livello terzo, per osservare e decodificare la complessità. Quanto proposto all’interno di questo lavoro appare quindi come una soluzione ottimale per lo psicologo dello sport, ma è opportuno ricordare una possibile criticità, che si può presentare nel corso dell’intervento, legata alle resistenze dell’allenatore.

Per far fronte a questo potenziale ostacolo occorre ipotizzare un lavoro di preparazione per trasformare quello che appare un limite (un certo timore con cui alcuni mister guardano la figura dello psicologo) in una possibilità, mostrando agli allenatori quale sapere e quale saper fare possono essere messi a loro disposizione, aiutandoli ad abbandonare la convinzione che lo psicologo possa entrare in competizione con loro.

Lo psicologo può invece lavorare in sinergia con lo staff tecnico, posizionandosi all’esterno del sistema stesso per poter osservare cosa avviene al suo interno ed avere una visione a 360°.

In questo senso adottare un vertice gruppale in psicologia dello sport è una delle possibili chiavi per spiegare quanto avviene all‟interno di una squadra sportiva, è un modello teorico di osservazione della complessità per costruire un pensiero su quanto accade nel gruppo, nel tentativo di integrare e trovare il senso che sta alla base dell’intervento.

Lo psicologo che lavora in gruppo e con il gruppo deve mantenersi pronto ad operare con un assetto variabile, in una dimensione di responsabilità: deve tenere sempre presente il come, il cosa e il dove del suo intervento, ma fondamentale è il perché, il pensiero che fornisce senso all’intervento stesso.

Albert Einstein ci ricorda come la prima soluzione molto spesso non è l’unica possibile, né tanto meno la migliore (Vercelli, 2005): allora la strada da percorrere è quella di un incessante sforzo di cercare nuove chiavi e percorrere nuove strade, di proporre nuove tipologie di intervento, di portare nell’ambito sportivo una proposta di lavoro psicologico che preveda il vertice gruppale, un approccio teorico e operativo potenzialmente in grado di evidenziare e trasformare le reti di relazioni esistenti nella squadra sportiva, in cui ogni individuo è un nodo che comprende ruoli, funzioni, emozioni e comunicazioni.

 

 

 

 

Bibliografia

 

Ansaldo, M. (2008). La resa del capitano. Torino: La Stampa. Disponibile in: http://www.lastampa.it/ [03 giugno 2008].

Brown, D., & Zinkin, L. (1996). La psiche e il mondo sociale. Milano: Raffaello Cortina.

Carron, A. V., Chelladurai, P., & Donnelly, P. (1978). Group Cohesion and Sport. Canadian Association for Health, Physical Education and Recreation (CAHPER), Sociology of Sport Monograph Series, Vanier City. In D. Giovannini & L. Savoia (2002), Psicologia dello sport. Roma: Carocci

Carron, A. V., Widmeyer, W., & Brawley, L. (1985). The development of an instrument to assess cohesion in sport teams: the Group Cohesion Questionnaire. Journal of Sport Psychology, 7, 244-

  1. In R. Weinberg & D. Gould (1995), Foundations of Sport and Exercise Psychology. Champaign: Human Kinetics. – Cartwright, D., & Zander, A. (1968). Group Dynamics. Research and theory. New York: Harper & Row.

Correale, A. (1998). L‟ipertrofia della memoria come forma della patologia istituzionale. In AA.VV.,

Sofferenza e psicopatologia dei legami istituzionali (pp. 111-124). Roma: Borla.

Dalla Vite, M. (2008). Prandelli suona la viola: chi è scontento, vada via. Milano: La Gazzetta dello Sport. Disponibile in : http://www.gazzetta.it/ [27 settembre 2008]

De Maré, P. (1996). Il Gruppo Intermedio e la psiche. In D. Brown & L. Zinkin (1996), La psiche e il mondo sociale (pp. 209-216). Milano: Raffaello Cortina.

Festinger, L., Schachter, S., & Back, K. (1950). Social Pressures in Informal Groups. New York: Harper and Row. Psicologia dello sport. Roma: Carocci.

Foulkes, S. H. (1948). Introduction to group-analytic psychotherapy: studies in the social integration of individuals and groups. London: Heinemann. Tr. it. Introduzione alla psicoterapia gruppo analitica. Roma: Edizioni Universitarie Romane, 1991.

Foulkes, S. H. (1964). Therapeutic groupanalysis. London: Allen & Unwin. Tr. It. Analisi Terapeutica di Gruppo. Torino: Bollati Boringhieri, 1978.

Foulkes, S. H. (1973). The Group as matrix of the individual‟s mental life. In L. R. Wolberg & E. K. Schwarz (Eds.), Group Therapy: an overview (pp. 211-220). New York: Intercontinental Medical Book Corp.

Gaburri, E. (1993). Communication personnelle. In A. Correale (1998). L‟ipertrofia della memoria come forma della patologia istituzionale In AA.VV., Sofferenza e psicopatologia dei legami istituzionali (pp. 111-124). Roma: Borla.

Giovannini, D., & Savoia, L. (2002). Psicologia dello sport. Roma: Carocci.

Levine, J. M., & Moreland, R. L. (1998). Small Groups. In AA.VV., The Handbook of social Psychology, vol. II (pp. 415- 69). New York: McGraw Hill.

Lewin, K. (1952). Field Theory in Social Science. New York: Harper & Row. Tr. it. Teoria e sperimentazione in psicologia sociale. Bologna: Il Mulino, 1972.

Moreno, J. L. (1980). Principi di Sociometria, psicoterapia di gruppo e sociodramma. Milano: ETAS.

Nicita, M.. (2008). Entrata di Chiellini, Cassano s’infuria. Milano: La Gazzetta dello Sport. Disponibile in: http://www.gazzetta.it/ [04 giugno 2008]

Osorio, L. C. (2003). Psicologia Grupal. Uma nova disciplina para o advento de uma era. Porto Alegre: Artmed.

Prunelli, V. (2002). Sport e agonismo. Milano: Franco Angeli.

Quaglino, G., Casagrande, S., & Castellano, A. (1992). Gruppo di lavoro. Lavoro di gruppo. Milano: Raffaello Cortina.

Roffé, M. (2003). Psicólogos del deporte en el fútbol: ni salvadores, ni magos, ni apagaincendios.

Disponibile in: www.efdeportes.com, 9, 65, Buenos Aires.

Salvetti, M. (2008). Lipp-ip hurrà! L’allenatore leader per eccellenza ci guida alla ricerca dell’equilibrio. Fondazione IARD: Sportinmente [giugno 2008].

Speltini, G., & Palmonari, A. (1998). I Gruppi Sociali. Bologna: Il Mulino.

Tuckman, O. W., & Jensen, M. A. C. (1977). Stages of small groups. Group and Organizational Studies, pp. 419-427.

Ucha, F. (1994). Ficha sobre el fútbol. In M. Roffé (2003), Psicólogos del deporte en el fútbol: ni salvadores, ni magos, ni apagaincendios. Disponibile in: www.efdeportes.com, 9, 65, Buenos Aires.

Van Gennep, A. (1909). Les rites de passage : étude systèmatique des rites. Paris: Nourry. Tr. it. I Riti di Passaggio. Torino: Bollati Boringhieri, 1981.

Velasco, J. (2004). Lo Spirito di Squadra è la chiave del successo. Disponibile in: http://portal.federvolley.it

Vercelli, G. (2005). Vincere con la mente. Milano: Ponte alle Grazie.

Weinberg, R. S., & Gould, D. (1995). Foundations of Sport and Exercise Psychology. Champaign: Human Kinetics. Tr. br. Fundamentos da Psicologia do Esporte e do Exercicio. Porto Alegre: Artmed, 2001.

Zinkin, L. (1987). The hologram as a model for analytical psychology. Journal of Analytical Psychology, 32(1), 1-21.

Zinkin, L. (1996). Lo Scambio come fattore terapeutico nella gruppo analisi. In D. Brown & L. Zinkin (1996), La psiche e il mondo sociale (pp. 103-112). Milano: Raffaello Cortina.

Gismondi Lydia, “Falcão diz que pode “jogar feio” para conquistar a Copa do Mundo de Futsal”, globoesporte.globo.com, 29/09/08.

http://globoesporte.globo.com/Esportes/Copa_do_Mundo_de_Futsal/0,,MUL778339-16300,00.html Gismondi   Lydia,   Falcão   elogia   técnico   e   garante   não   ter   ficado   chateado   com   a   reserva,

globoesporte.globo.com, 30/09/2008. http://globoesporte.globo.com/Esportes/Copa_do_Mundo_de_Futsal/0,,MUL779729-16300,00.html Gismondi   Lydia,   “Após bronca   de PC,   seleção capricha nos treinos   para melhorar a   defesa”,

globoesporte.globo.com, 01/10/2008. http://globoesporte.globo.com/Esportes/Copa_do_Mundo_de_Futsal/0,,MUL780642-16300,00.html Gismondi Lydia, “Falcão satisfeito: „Beiramos a perfeição‟”, globoesporte.globo.com, 04/10/2008. http://globoesporte.globo.com/Esportes/Copa_do_Mundo_de_Futsal/0,,MUL785075-16300,00.html Gismondi Lydia, “PC de Oliveira ressalta melhora na defesa”, globoesporte.globo.com, 04/10/2008. http://globoesporte.globo.com/Esportes/Copa_do_Mundo_de_Futsal/0,,MUL785115-16300,00.html

 

 

 

Maurizio Gasseau1

Alessio Guaramonti2

  

 

1 Docente di Teorie e Tecniche della dinamica di gruppo, Università della Valle d‟Aosta. (Per la corrispondenza: m.gasseau@univda.it)

2 Università della Valle d‟Aosta

 

 

1 thought on “L’intervento dello psicologo dello sport sul gruppo-squadra nel calcio”

  1. Pingback: Google

Lascia un commento