IL COMPORTAMENTO E L’ETICA

IL COMPORTAMENTO E L’ETICA

1) I comportamenti sono strumenti di sopravvivenza e di convivenza sociale, per cui sono limitati e ancorati alla funzione.
I comportamenti hanno una funzionalità, cioè ci si comporta per realizzare qualcosa, per ottenere qualcosa, per raggiungere degli scopi.
Si dice “buongiorno” per scambiare un qualche livello di affettivita, se pur minimale con una persona, che permette di comunicare che non si è minacciosi, e di stabilire uno stato di pace con l’interlocutore.
I comportamenti hanno una funzione: in pratica sono il modo con cui gli istinti si manifestano nel concreto.
Detto nel linguaggio del computer, gli istinti sono dei programmi.
Oltre all’”hardware”, che sarebbe il computer medesimo, c’e il “software”, che sono i programmi che lo fanno funzionare.
Gli istinti sono dei veri e propri programmi, che aiutano l’essere vivente a sopravvivere.
Per esempio, un pulcino appena si rompe l’uovo esce fuori e c’è un programma geneticamente fissato che lo induce a beccare l’erba: è un comportamento che gli permette di sopravvivere senza aiuti esterni.
Gli istinti sono i comportamenti programmati che permettono a un essere vivente la difficile impresa della sopravvivenza.
Immaginate il pulcino appena uscito dall’uovo: se non avesse comportamenti programmati che gli permettono di agire pur senza conoscere niente nel mondo, non avrebbe nessuna chance di sopravvivere.
Per un essere umano naturalmente, la faccenda e molto piu complicata.
Anche i comportamenti umani sono legati agli istinti, ma mentre negli animali piu semplici i comportamenti programmati sono precisi, ineluttabili (il pulcino uscito dall’uovo deve beccare, volente o nolente), negli esseri viventi che hanno un’infanzia lunga, che cioè non devono sbrigarsela subito da soli per sopravvivere perchè hanno genitori che li aiutano, la natura ha inventato un sistema ben più sofisticato: non sono programmati per avere comportamento, ma per imparare comportamenti.
Un esempio di programmazione a imparare riguarda il linguaggio.
Da tanto tempo si cerca di insegnare a parlare ai primati più evoluti, senza ottenere grandi risultati.
Questo non dipende da una mancanza di intelligenza: gli scimpanzè sembra che sarebbero abbastanza intelligenti per imparare una lingua, ma non hanno un programma genetico che permetta loro di farlo.
Gli esseri umani invece ce l’hanno, e nel programma non c’e scritta una specifica lingua, ma solo la possibilità di imparare, per cui possono impararne un’infinità.
Sono programmati per impararla, la lingua!
D’altra parte, l’essere programmati per imparare comporta la differenza fra un numero limitato di comportamenti possibili, e una quantità infinita: data la capacita di imparare una lingua, qualunque lingua una persona si voglia inventare può impararla.
Sono noti casi di gemelli che si sono inventata una lingua che solo loro capivano.
Per gli esseri umani quindi c’è una possibilità infinita di sviluppare comportamenti, dato che mentre lo scopo del comportamento è definito nel programma genetico di apprendimento (ad esempio lo scopo della fuga è salvarsi), non è definita la maniera con cui si scappa, e si può scappare in qualunque maniera si riesca a imparare, cioè quindi a inventare.
Siccome in questa maniera la quantità dei comportamenti possibili diventa infinita, a questo punto l’area del comportamento è definibile anche come un campo dell’arte: come l’infinita varieta delle forme permette l’esistenza delle arti plastiche, l’infinita varieta dei comportamenti permette un’arte del comportamento.

2) Ai bordi della tradizione è sempre presente la trasgressione, che entro certi limiti si fonde con il cambiamento che lo sviluppo culturale e sociale richiede.
Il teatro che da una parte è arte delle forme, dall’altra si può dunque considerare arte del comportamento: il teatro inventa comportamenti, crea comportamenti nuovi.
L’invenzione di forme di comportamento è un tema centrale per la gioventù: gli adolescenti si devono inventare la vita, devono affrontare un sacco di situazioni non ben determinate, per le quali di solito non ci sono comportamenti già pronti.
Quando la storia corre come un treno, come negli ultimi cinquant’anni, a distanza di una generazione i comportamenti di quella prima non sono più buoni, sono diventati carta straccia.
Un ragazzo che cercasse di comportarsi a un ballo come si faceva cinquant’anni fa, non batterebbe chiodo.
Gli adolescenti devono per forza inventarsi comportamenti che siano connessi col periodo storico che stanno vivendo.
Il teatro è un luogo dove si sperimentano comportamenti.
Oltre ai cambi degli usi e delle necessità da una generazione all’altra, c’è anche qualcos’altro che richiede sperimentazione: uno dei grandi problemi comportamentali è la trasgressione.
I comportamenti sono adeguati e relativi a un sistema sociale e culturale, cioè tengono in piedi e sono tenuti in piedi da una società e una cultura: ogni cultura ha dei limiti e delle regole, e questo crea inevitabilmente una spinta in senso contrario.
Dall’inizio dei tempi è il teatro che mappa le rotture dei confini.
In una società primitiva, e in modo diverso anche in una avanzata, fuori dei confini del comportamento conosciuto non c’è niente: tutto quello che non rientra nell’usuale viene censurato, esiliato come errore o colpa, nel migliore dei casi come volgarità.
Il teatro va dietro all’esilio, va a vedere cosa succede quando uno rompe un tabù e viene esiliato: lo segue e canta la sua storia fuori del conosciuto.
Canta per esempio la storia di Edipo, il re dei trasgressori, dalla trasgressione fino alla morte: “Edipo a Colono” è l’ultima parte della sua vita, e il confronto con la compiutezza del suo destino.
Il teatro lo accompagna in quello che in psicoterapia si chiamerebbe il follow-up, un paziente che viene seguito dopo la fine della terapia per dare un senso a quell’operazione di prendere coscienza di sé che la terapia è.
Edipo viene seguito fino alla fine, viene mappata tutta la sua avventura, dalla trasgressione fino alla morte, con tutto quello che sperimenta al di fuori del terreno conosciuto.
Un altro esempio chiaro è “Romeo e Giulietta”.
Romeo e Giulietta rompono un tabù: l’inimicizia di clan. Una famiglia ha dei nemici e questo cretino di figliolo se la va a fare proprio con la figliola dei nemici! Ragazzi è dura eh? Non è mica facile da ingoiare.
E’ dura anche oggi, ma pensate all’epoca in cui si svolge la storia: quando uno usciva di casa non era mica tanto sicuro di tornarci. Le città erano molto pericolose allora, molto più di oggi, farsi ammazzare per niente era facilissimo.
All’epoca la differenza fra amici e nemici era quindi una cosa della massima importanza, un nemico era una cosa seria: infatti, a un certo momento, a Romeo capita di ammazzare il fratello di Giulietta, cosa che risulta tragica solo perchè è appunto il fratello di lei, non perchè è un omicidio.
Questo era l’andamento delle cose al tempo.
Il teatro racconta, mappa, questa sbollatura dalle regole che è l’amore fra Romeo e Giulietta, questo aneurisma, questa “rottura fuori”: la canta, la raccoglie e la riporta così dentro l’esperienza conosciuta, ed è come se, alla fine, questa trasgressione ritrovasse posto dentro il contesto sociale come qualcosa che si può comprendere e per cui si può avere compassione.
Chiunque può dire allora “Ah! Non è molto diverso di quello che succede normalmente”.
E allora dopo “Romeo e Giulietta” innamorarsi di qualcuno di una famiglia nemica non è poi così incomprensibile.
La gente dice “Ah! E’ come Romeo e Giulietta”, e già in questo è come se gli dà un passaporto, una possibilità di esistenza, lo riporta nel novero delle cose possibili, anche senza che questo significhi approvarlo.
Ma in qualche modo è diventato qualcosa di comprensibile.
Il teatro è strumento fondamentale per il recupero della trasgressione.
In un certo senso si potrebbe vedere come un meccanismo fisiologico, come un meccanismo di risparmio che automaticamente cerca di recuperare il più possibile delle cose umane, come se l’umanità cercasse di non perdere i suoi figli, o di perderli il meno possibile, di dargli comunque una chance.
E in questa maniera la cultura (intendendo per cultura la consapevolezza delle interazioni dell’essere sociale, dell’avere un dialogo), si differenzia, cioè le regole cominciano ad ammettere eccezioni: “Eh sì, lui si è messo con la figlia dei nemici!” “Eh, ma era innamorato!” “Ah, se era innamorato allora….”.
E le eccezioni piano piano intaccano le regole, le fluidificano, le fanno diventare più flessibili, e la compagine umana differenziandosi si allarga, e c’è più spazio appunto per il differente.
Questo significa meno omogeneità.
Non ci sarebbe bisogno infatti che tutti facciano la stessa cosa, che tutti pensino la stessa cosa, che tutti seguano gli stessi rituali. Ma nella storia umana a questo proposito non c’è mai stata tanta tolleranza.
Ci sono ancora massacri per differenze di religione, per differenze linguistiche.
La difficoltà di accettare il diverso è enorme, è gravissima: c’è una reazione psichica istintiva che si oppone al diverso.
Il teatro è strumento per avvicinare il diverso.
Il teatro permette alle persone di avvicinarsi al diverso in un contesto che a sua volta è diverso dal mondo cosiddetto reale.
Il teatro in effetti non si svolge in uno spazio reale, ma in uno spazio che con linguaggio psicologico si direbbe transizionale: non è né solo una fantasia interna, cioè non avviene solamente in un luogo interno, ma non è neanche il mondo reale.
Nella vita reale non si può mica ammazzare impunemente, perché poi la persona rimane morta: in teatro si ammazza e nessuno muore.

3) Trasgredire rispettando i limiti: il teatro come ricerca in termini funzionali e sociali..
Essendo le forme comportamentali infinite, il teatro da luogo anche a una produzione di valore etico (oltre che estetico).

Il teatro è uno spazio di sogno o, si potrebbe dire, il sogno è l’antesignano del teatro.
Il sogno sembra essere il fenomeno naturale a cui gli esseri umani si sono ispirati per inventare il teatro.
Nel sogno può succedere qualunque cosa, e con un’intensità totale: nel sogno infatti l’intensità non è minore che da svegli, anzi lo è di più: le emozioni sono più forti che nel mondo reale, ma poi al mattino è finito tutto, tutto torna come prima.
Una persona sognando spesso vive un’esperienza che mai e poi mai potrebbe vivere da sveglio.
Lo stesso è nel teatro: si vive storie e avventure che mai e poi mai si potrebbero vivere nella vita quotidiana.
Ci si può rendere conto di quanto questo sia importante se si pensa che buona parte del tempo libero viene speso in cinema, televisione, letture o teatro, tutte variazioni sul tema del sogno.
Gli esseri umani quando hanno un po’ di tempo libero si mettono a sognare.
Su questa base naturale si è sviluppata l’industria dello spettacolo.
Visto che gli esseri umani sono così inclini a sognare, vengono prodotti e offerti in vendita tutti i sogni possibili, e anche quelli impossibili.
La presenza di tante opzioni implica criteri di scelta.
Ora, data l’importanza che hanno per la sopravvivenza, i comportamenti sono valutati in primo luogo per la loro funzionalità: hanno per così dire una preminenza di valore sul piano meccanico (riesce l’individuo a sottrarsi al pericolo con questo comportamento e si salva, oppure no? ecc.).
Nello specifico dell’esperienza umana, dove l’habitat della specie si identifica in massima parte nella società, i comportamenti per essere atti alla sopravvivenza devono avere una ratifica sociale: come tali sono valutati secondo il metro morale.
Il fatto è però che il metro di misura del valore del comportamento è invece l’etica.
Normalmente si tende a confondere l’etica con la morale, e questo è un grosso errore, dato che sono campi nettamente separati.
La morale coincide con le regole che si devono rispettare, le leggi (per esempio i dieci comandamenti), e così via: l’etica invece è la misura del valore del comportamento.
A questo proposito in genere è come se una volta rispattate le regole non importasse tanto se un comportamento ha più o meno valore: basta che funzioni.
D’altra parte anche l’arredamento di una casa può essere brutto e funzionale: però e molto differente se è bello.
La stessa cosa è per i comportamenti: un comportamento può essere di basso livello etico e funzionare lo stesso, ma è diverso se ha un livello etico alto.
Guardiamo l’architettura: per la vita delle persone è uguale se è bella o brutta?
Il fatto è che di solito i quartieri degradati hanno un’architettura fatta secondo criteri commerciali, che non rispondono minimamente ai bisogni delle persone che ci vivono.
Paragonando un paese medievale a un quartiere nuovo, si nota come, mentre il paese medievale nasce e cresce in relazione con i bisogni delle persone che ci stanno, i quartieri nuovi sono buttati lì e le persone ci vengono praticamente deportate.
Così nascono i “quartieri dormitorio” che sono tanto inadatti alla vita che le persone ci dormono soltanto: quando vanno a lavorare il quartiere resta vuoto.
Nell’architettura l’estetica non è solo una questione superficiale: un quartiere esteticamente malmesso porta anche a una bassa qualità di vita.
Sembrerebbe illogico, se le case ci sono e funzionano, perchè ci dovrebbe essere una bassa qualità di vita?
Ma se è così, evidentemente la struttura del quartiere, la struttura dei palazzi, la struttura interna degli appartamenti influiscono sulla vita delle persone.
Anche sul piano dei comportamenti il valore, in questo caso etico, influisce sulla funzione.
I comportamenti possono funzionare anche se non sono di grande livello etico: piano piano però i comportamenti di basso livello etico inquinano la quotidianità e la vita diventa grigia, brutta, senza sugo.
Il rispetto di un livello etico nel comportamento non è un problema morale, perché non si tratta di ubbidire a leggi: alle leggi si ubbidisce anche con comportamenti poco etici.
Per esempio, essere scortesi mica è proibito dalla legge, però eticamente è qualcosa di scadente: a forza di essere scortesi si fà intorno a sé una specie di discarica: le persone scortesi è come se accumulassero intorno spazzatura, fanno degrado intorno a sé. Malgrado questo si parla poco dell’importanza del valore etico del comportamento.
Il valore etico non si può dedurre dunque dalle regole: non è questione di ubbidire o meno a regole di qualche tipo. E’ qualcosa che ha a che fare con l’esperienza: un comportamento etico è paragonabile a un oggetto bello.
Cosa differenzia un oggetto bello da un oggetto brutto?
Mica c’è una regola in questo: l’estetica non ha regole anche se è rigorosa.
E’ qualcosa che riguarda l’esperienza: la bellezza di un quadro è un vissuto, è il vissuto della persona che fa l’esperienza del quadro.
Lo stesso vale per il comportamento: non si può dire che un comportamento è buono perché è buono: sono le persone che l’osservano e lo sperimentano che possono riconoscerlo come di maggiore o di minor valore, in base al loro esperire all’interno della situazione nel suo insieme.
Quand’è che un comportamento ha valore etico?
E quand’è che una forma ha valore estetico?
Un quadro bello in che consiste?
Un’opera d’arte si riconosce fondamentalmente dal fatto che si può guardare per una vita senza annoiarsi: l’esperienza estetica è un’esperienza che alimenta continuamente l’interesse, la curiosità, il piacere e la fantasia di chi guarda.
Lo stesso si può dire a proposito del valore etico di un comportamento: è qualcosa che desta interesse nell’interlocutore, che lo sveglia, lo apre, gli fa venir voglia di partecipare e di rispondere.
Le grandi opere teatrali e le grandi opere della letteratura portano spesso in scena comportamenti di straordinario valore etico.
Un esempio è ne “I fratelli Karamazov”.
Uno dei fratelli viene condannato alla Siberia per l’uccisione del padre.
Ivan, convinto che il fratello sia colpevole, ma che abbia ucciso il padre perché lui lo ha istigato, va in Siberia con lui.
Pur essendo lui “tecnicamente” innocente, l’anima di Ivan è ferita senza rimedio dall’accaduto, e non c’è niente che possa fare per questa ferita: la sua invenzione è allora quella di accompagnare il fratello nella prigionia.
Dal punto di vista della ragionevolezza sembra una cosa demenziale, ma in realtà è un comportamento straordinario, che fa sognare: una persona che rinuncia a una vita borghese più o meno comoda per andare in Siberia, un vero inferno in terra!
E’ un fatto straordinario, che trascina in una avventura incredibile: costringe a immaginare l’esistenza di qualcosa di così grande valore per cui neanche l’inferno della Siberia è un prezzo troppo alto!
Quando un comportamento ha valore etico, produce ispirazione.
Un comportamento di valore fa sognare quanto un quadro di Leonardo, apre la via a un abisso di profondità e di potenzialità.
E’ come se, invece di essere schiacciati da una quotidianità ripetitiva, si aprisse un panorama immenso, si scoprissero dentro di sè immense potenzialità: si scoprisse come la quotidianità stessa, il semplice ripetersi di una vita più o meno sempre uguale, abbia all’interno spazi infiniti, perché in realtà può essere vissuta in maniera che permette una continua ricerca e una creazione di valore etico.

4 Dalla competizione alla creazione: scuole di comportamento.
Il procedimento della creazione è un po’ come fare della cucina: i comportamenti, come le cose da mangiare, si cucinano, cioè si compongono e si separano secondo l’effetto generale che si cerca di ottenere.
Quello che fa interessante questa composizione è naturalmente la differenza fra i componenti, e anche le potenzialità delle relazioni umane sono basate in realtà sulle differenze.
Veramente interessante infatti è parlare con una persone che sente, vede, pensa cose diverse da noi, senza cercare di adattarla alla nostra esperienza né di adattarsi alla sua: per farlo bisogna però aprire dentro di noi lo spazio per la diversità.
Ci vuole cioè uno spazio interno abbastanza grande da contenere le proprie cose e allo stesso tempo quelle dell’altro, in modo che possano interagire fra loro fabbricando qualcosa di nuovo.
E’ come per il ping-pong: se non c’è qualcuno che faccia pong è inutile che tu faccia ping: ma quello che fa pong è necessariamente altro da te. Se si apre uno spazio interno che contiene il ping e anche il pong, c’è almeno la possibilità di giocare a ping-pong, che intanto è già qualcosa.
Se c’è la possibilità di vedere da un punto di vista e contemporaneamente anche da un altro, e i due punti di vista diversi non si contendono la ragione, magari c’è verso che la persona riesca a inventare un terzo punto di vista, più ampio, che li contenga ambedue: questo è il modo in cui l’anima umana si dipana, si allarga, esce dalle sue strettezze, conosce il mondo, si diverte e vive.
E’ anche il modo per cui è possibile che una democrazia sia non solo formale, ma diventi sostanziale: la sostanza di una democrazia sarebbe infatti lo spazio per il processo dialettico.
Una democrazia vera e propria sarebbe quella dove una parte ha bisogno dell’altra, invece di sopportarla malamente come un’inevitabile rottura di scatole.
Cioè la democrazia reale e non solo formale, e quindi anche davvero efficace, è una situazione dove una tesi si pone di fronte all’antitesi non per schiacciarla, ma per salire insieme fino alla sintesi.
E’ il ben noto processo dialettico, che Hegel descrisse sul piano filosofico e che rappresenta bene quello che nella psicologia si chiama il processo creativo. Un atto creativo necessita di due poli, una tesi e un’antitesi, che non potendo fondersi insieme per la loro irriducibile differenza e non volendo annullarsi reciprocamente, perché reciprocamente si riconoscono esistenza e pari dignità, creano fra di loro a una tensione: a un certo momento, nel campo energetico che è questa tensione compare qualcosa, che include ambedue i poli.
Questa è la creazione.
Creazione non è però in sé sinonimo di valore etico: nel campo dei comportamenti fra due poli non è solo la salita alla sintesi che si può produrre, ma anche la discesa al sintomo.
Un comportamento sintomatico è per lo più identificabile con una mancanza di valore.
Si può infatti considerare la sintesi come una creazione, la cui caratteristica principale è un livello energetico superiore ai poli, che permette di contenerli, e il sintomo una caduta di livello, che non da spazio a nessuna delle due parti.
Il problema è che per riuscire a utilizzare l’immensa potenzialità di interesse reciproco che c’è fra gli esseri umani per ottenere delle sintesi, bisogna che i suddetti esseri umani riescano a gestire le loro difficoltà.
Una delle difficoltà più grandi è la competizione.
Quando la guerra è aperta, la creazione va ovviamente in secondo piano rispetto alla vittoria: ma essendo gli esseri umani tutti competitivi, anche in caso di pace è facile che il rapporto diventi uno sfregamento di superfici apparentemente amichevole, ma sotto sotto competitivo.
Questo comporta di regola malessere, difficoltà, rabbia e paura: le persone si spaventano, si chiudono e più sono chiuse meno sono flessibili, la competizione diventa l’unica opzione possibile e la creatività non ha più chances.
Per esempio, un modo tipico di essere competitivi in modo difensivamente mascherato è quello di pretendere di avere ragione. E’ un comportamento molto diffuso, ed è un modo d’essere molto spaventato.
E’ anche paradossalmente difficile avere a che fare con le persone che danno sempre ragione, che sono sempre d’accordo.
Dopo un po’ la situazione è disperante, si ha molta voglia di starsene da soli.
Data la difficoltà che la competizione comporta, le persone tendono ad adottare comportamenti conformisti, e per questo innocui: ma i comportamenti quando sono innocui non hanno neanche nessun valore etico, e il risultato è un impoverimento della vita, che provoca noia e alla lunga depressione.
Questa è una malattia sociale del nostro mondo, che varia secondo le difficoltà della vita e le risorse di cui ognuno dispone: è comunque il problema con cui si scontra continuamente la gioventù.
I giovani infatti si annoiano talmente tanto nel conformismo che devono diventare trasgressivi per divertirsi un po’. Non si divertono, si sentono male nel mondo, non sanno cosa farci.
Non sanno cosa farci in buona parte perchè non hanno un linguaggio comportamentale abbastanza articolato da riuscire a costruire nel dialogo qualcosa di abbastanza interessante da tenerli occuparti col rapporto con l’altro, cioè con il diverso da sé: il diverso o lo fuggono o lo combattono.
Cosa fare di una vita noiosa è proprio un tema di competenza del teatro.
Sperimentando comportamenti infatti, si può sviluppare il linguaggio comportamentale fino a poter mettere in piedi dialoghi così interessanti che la vita quotidiana diventa una grande opportunità, un luogo pieno di potenzialità e di scambi: l’altra persona, che pensa, vede cose diverse, che ha una diversa esperienza, diventa allora un indispensabile partner invece di essere sentito come una minaccia o un peso.
Se le persone poi non sono più standardizzate, come si può interagire con uno non si può interagire con nessun’altro al mondo: ogni persona essendo unica e insostituibile acquista valore e peso, perché non c’è nessun’altro con cui si può fare quello specifico dialogo.
Per questo bisogna che le persone sviluppino un proprio linguaggio comportamentale, e non si arrocchino in uno stretto e ripetitivo.
Il problema è che non ci sono tanti luoghi dove questo può avvenire. La famiglia difficilmente può esserlo, ovviamente perché i genitori hanno un sacco di cose da fare e non solo: hanno anche la preoccupazione di tirare sù i figlioli in modo che riescano nella vita, per cui di solito sono strozzati dall’ansia e per ansia diventano controllanti, perché gli sembra che solo tenendoli sotto stretto controllo i figlioli riescono a farcela.
Il risultato è che più i genitori sono stretti più i figlioli diventano trasgressivi, invece di sperimentare l’inconto con la diversità.
Nella trasgressone di solito non si impara un granché: a parte l’eccitazione della rottura del tabù poi è la solita zuppa, e visto che bisogna farlo di nascosto non c’è nemmeno l’occasione per differenziare il comportamento, e finisce che la trasgressione diventa ancora più rozza del comportamento normale.
Ci vorrebbe una vera e propria scuola di comportamento!.
Il comportamento, che può avere infinte variazioni, purtoppo normalmente nelle persone è rigido: una volta addirittura l’espressione “persona di carattere” era elogiativa.
Per una persona di carattere si intendeva una persona che si comporta sempre nella stessa maniera, uno che se gli si pesta i calli si imbestialisce, o che non si arrabbia mai, o che lascia sempre correre, e allora si diceva “Ah, quello si che è una persona che ha carattere!”.
Oggi le persone in genere non inclinano più tanto alla rigidità, ma l’idea di una scuola di comportamento continua a non essere tanto facile da digerire: meno linguaggio articolato infatti si ha, più si è abbarbicati al proprio comportamento.
E’ comprensibile: un comportamento solo è difficile lasciarlo, perché è la capocchia di spillo su cui ci si gioca tutta la vita e si finisce per aggrapparcisi come se fosse una ciambella di salvataggio.
Gentilezza e diplomazia sono parole chiave, ma diplomazia ha una brutta fama, perché diplomatico sotto sotto significa ipocrita nel linguaggio comune.
Eppure non bisogna dimenticare che è probabilmente dovuto alla diplomazia se l’impero cinese è durato per millenni: nessun’altra cultura al mondo è durata così tanto.
Era la Cina confuciana, dove anche solo per chiedere un’informazione si usavano formule di esagerata cortesia: ma questa esagerazione in realtà è quello che nella meccanica si chiama il lubrificante.
Il motore va con la benzina, ma provate a non metterci l’olio e vedete quanto vi dura!
Il lubrificante è metafora di come non basti il comportamento specifico in sè per ottenere il risultato, ma ci vogliano anche dei coadiuvanti.
Il comportamento specifico del motore è il movimento dei pistoni che vanno su e giù, e quello lo fanno grazie alla benzina, ma perchè questo possa continuare nel tempo fino a diventare un lavoro, è fondamentale il lubrificante.
Se andate dal salumaio e gli dite “Voglio due etti di mortadella”, questo sembrerebbe bastare: invece dipende da come glielo dite.
Dirglielo con malagrazia o dirglielo gentilmente è una cosa completamente diversa.
Nello scambio della mortadella e dei soldi, cioè nel fatto funzionale, c’è inclusa la relazione umana tra due persone, per cui se trattate scortesemente il vostro salumaio, prima o poi finirà per darvi mortadella ammuffita.
Una relazione è estremamente complessa, ha un lato direttamente funzionale ma ne ha tantissimi altri che non lo sono, almeno apparentemente, ma che poi incidono sul senso stesso della vita.
Due persone che stanno in coppia per esempio, non hanno mica solo da scambiarsi informazioni: mentre si dicono le cose (vuoi la pasta col sugo o col pomodoro, ecc.), devono attivare, alimentare una mitologia amorosa, devono in qualche modo coltivare l’importanza che l’altra persona ha, se vogliono che la coppia non diventi una prigione. Devono in qualche modo far vivere un mito amoroso fra di loro, e questo non avviene per via meccanica, non c’è una ricetta su come si fa: si fa con comportamenti con valore etico, che in quanto tali non possono essere pre-ordinati.
Ora, non preodinati significa spontanei?
Ammettendo che sia così, allora però che significa spontanei?
La risposta è molto importante, perché il problema della spontaneità è centrale nell’arte. Malgrado che evidentemente un prodotto artistico è qualcosa che affiora “spontaneamente” dall’animo dell’artista, nessuno penso crederebbe che per esempio la Divina Commedia sia stata scritta di getto così come emergeva dall’anima di un Dante “spontaneo”: è evidente che un artista, Dante o Giotto che sia, è una persona che la sa lunga a proposito del suo prodotto.
La spontaneità dell’artista è la combinazione di una capacità di fusione di elementi con una cultura sufficentemente profonda degli elementi che maneggia. La cultura degli elementi di base è quello che si chiama la ritualizzazione

5 Ritualizzazione come raffinamento della forma in termini estetici ed etici.
Il teatro non è solo un luogo per la ricerca, è anche un luogo di ritualizzazione dei comportamenti.
Provate a immaginare che il comportamento sia il suono di uno strumento musicale e il corpo umano lo strumento stesso.
Provate a immaginare che i comportamenti stiano all’essere umano come il suono di un violino sta al violino.
Chi impara a suonare il violino bisogna che impari a modularne i suoni, e in genere per i vicini di casa la cosa risulta alquanto drammatica, perché nel frattempo produce dei suoni solo molto approssimativamente musicali.
Per i comportamenti è la stessa cosa.
Quando all’inizio si inventano, si fabbricano, si coordinano, sono alquanto approssimativi e vanno piano piano raffinati, sia sul piano estetico che su quello etico. Vanno limati e rilimati fino a farli diventare come una nota pura di un violino.
Un violinista che ha imparato, quando suona non produce un terribile stridio ma note pure: la stessa cosa è per il comportamento umano.
Un comportamento non si impara così di getto: va provato e riprovato, cambiando voce, posizione, parole fino a renderlo soddisfacente al proprio gusto nel suo effetto espressivo e relazionale.
A quel punto, se viene acquisito internamente, il comportamento è ritualizzarlo.
Quando è ritualizzato, come la nota musicale trascende il suonatore e prende una vita sua, un comportamento in un certo senso trascende la persona che lo tiene, diventa “spontaneo”.
Questo significa che imparare a comportarsi richiede prove.
Nella nostra cultura non c’è un posto deputato a questo.
A comportarsi si impara da ragazzi, e da ragazzi quando mai c’è la possibilità di fare le prove?
La famiglia generalmente offre modelli, e per di più obsoleti, con i compagni se non va bene alla prima non c’è modo di riprovarci, perché i ragazzini non sono proprio tanto teneri fra loro.
Fare una mossa sbagliata rischia di essere una tale perdita di faccia che molti non ci riprovano una seconda volta: si fermano lì e chiudono la porta.
Quella situazione diventa a questo punto inaffrontabile, per cui poi crescono con delle lacune comportamentali enormi, cioè certe cose non le sanno fare in nessun modo: la volta che ci hanno provato il risultato è stato spaventoso, e allora nemmeno morti ci riprovano.
Allora, in familia non si può, con gli amici ancor meno, a scuola per carità di Dio!
E dove si impara a comportarsi?
La fonte di informazioni fondamentale rimane il cinema, la televisione: i ragazzi guardano come si comportano gli attori e cercano di rifarlo.
E questo è inevitabile, però sarebbe forse interessante rendersi conto che se si impara a suonare il violino, perché non si potrebbe imparare seriamente a comportarsi?
Sarebbe interessante prendere in considerazione il teatro come luogo per imparare a comportarsi, proprio per farci le prove: sarebbe estremamente utile che il teatro fosse un pochino più diffuso come luogo di sperimentazione.
Nelle coppie per esempio le persone trovano spesso difficoltà nel dialogo: l’altro rimane uno sconosciuto, una persona che per quanto si cerchi di raggiungere non si raggiunge mai.
Perché, visto che anche l’altra persona sta tentando disperatamente di fare la stessa cosa?!
Il fatto è che i comportamenti che si tengono in questi dialoghi sono inadeguati: ma inadeguati mica da un punto di vista cognitivo, da un punto di vista etico.
Le persone in una coppia si comportano spesso in maniera tale che, pur non facendo niente di male moralmente parlando, l’altra persona invece di sentirsi attratta si sente disgustata, e allora piano piano il rapporto si sgretola.
Non è che uno abbia ragione e uno torto, anche se magari a volte è così, però in genere se andate a grattare un po’ vi accorgete che tutti hanno le loro ragioni.
Ma malgrado le ragioni, malgrado che vogliano disperatamente stare insieme (se no si separerebbero e tanti saluti), non ci riescono, perché davvero stare insieme oggi è difficile.
Fino a non molto tempo fa, diciamo fino alla grande frontiera dell’ultima guerra mondiale, gli uomini facevano gli uomini e le donne facevano le donne, e in qualche modo si incontravano.
Ma quello che è successo negli ultimi decenni è che si è dissolto il linguaggio convenzionale e ognuno si ritrova col suo, un linguaggio che di solito è troppo poco articolato, troppo approssimativo per riuscire ad incontrare un’altra persona, che a sua volta ha un linguaggio poco articolato, poco differenziato, non veramente capace di tessere i piccoli fili che ci sono per fare ponte fra i due.
Questo è per esempio un lavoro che si può fare col teatro: una persona dichiara un qualche problema relazionale, lo racconta e poi lo mette in scena.
Rappresenta il suo dramma, il blocco, la situazione che non va da nessuna parte.
A questo punto, dopo che è stato messo in scena così com’è, ognuno può proporre cambiamenti e fare quello che si chiama il ‘doppiaggio: mettersi dietro alla persona, e fare la scena in modo diverso.
Questo processo permette di aprire a ventaglio i comportamenti e di scoprire che una cosa la si può fare non solo in un modo, ma in un numero infinito di maniere, e che modi differenti fanno effetti notevolmente differenti nelle persone.
Le persone lo vedono bene perché sono presenti e coinvolte nella vicenda, sono in un tipo di relazione che gli permette di accorgersi di cosa gli altri provano.
Quindi, piano piano è come se il linguaggio comportamentale invece di essere coatto a un unica risposta, o a due o a tre, diventa flessibile.
La flessibilità non significa solo scoprire più risposte, ma soprattutto scoprirel’esistenza di altre possibilità.
Significa cioè acquisire una potenzialità: diventando flessibile, diventando possibilista, una persona può inventare nuovi comportamenti e può anche accorgersi delle differenze fra i comportamenti, delle possibili articolazioni di un comportamento.
Articolazioni vuol dire che in una frase detta ci sono delle parole, ma c’è, ad esempio, anche il tono di voce: se uno si accorge che il tono di voce mitiga il contenuto della frase già può avere un tipo di risposta differente.
Se si diventa flessibili si può imparare che le cose si possono dire con tanti toni di voce diversi, con gesti, tempi, che ne modulano in tante maniere il contenuto.
E’ in questa maniera che si può sviluppare una capacità di creazione e di differenziazione di comportamenti, e una capacità di riconoscerne il valore etico, in modo da uscire da quella coazione a ripetere che è la vera resposabile dell’abbassamento della qualità della vita.
La coazione a ripetere infatti sposta l’asse dell’attenzione verso la faccia meccanica del comportamento, dimenticandone il lato spirituale, che essendo fondamentalmente ineffabile non è nemmeno in nessun modo controllabile né misurabile oggetivamente, e quindi in nessun modo capitalizzabile, ma solo esperibile in quella fugacissima e solidissima realtà che è il qui e ora.

Il teatro come ricerca e ritualizzazione
di GIOVANNI PAOLO QUATTRINI
Direttore Istituto Gestalt Firenze
Pubblicato sulla rivista “Informazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia” n° 2, settembre – ottobre 2003, pagg. 10-22, ed. IGF. Roma

Lascia un commento