IL CONCETTO DI PERSONA IN DUNS SCOTO

IL CONCETTO DI PERSONA IN DUNS SCOTO COME SCELTA ERMENEUTICA

(Giovanni Lauriola)

Ogni autore manifesta se stesso nella sua creatura: il suo pensiero, la sua dottrina, la sua mentalità e soprattutto la sua scelta esistenziale e i principi generali che reggono, illuminano e rendono intelligibili la sua stessa opera, anche a distanza di tempo, cioè ha la sua scelta ermeneutica che regola e guida lo svolgimento essenziale del suo pensiero.
Questa norma generale vale anche per Duns Scoto, autore medievale che possiede, a differenza degli autori contemporanei, una mentalità meno filosofica che teologica, benché la sua costruzione filosofica sia una delle più profonde speculativamente e anche una delle più qualificate dottrinalmente nella storia del pensiero occidentale.
Nelle sue opere, perciò, Duns Scoto manifesta tutto se stesso: l’opzione fondamentale della sua ermeneutica che guida la ricerca verso la verità, le idee principali e i principi generali ai quali tien fermo il suo pensiero e dai quali viene regolato l’esposizione delle sue tesi peculiari. La scelta ermeneutica che caratterizza il pensiero, l’impostazione, la dottrina e la speculazione di Duns Scoto è certamente il Cristocentrismo, nella cui luce cercherò di leggere il problema della persona, dividendo la ricerca in due punti con una conclusione: scelta ermeneutica e aspetto esistenzialistico della persona.
1- Scelta ermeneutica
La scelta ermeneutica principale operata da Duns Scoto, che regge e guida tutta la sua dottrina sia teologica che filosofica, è certamente il Cristocentrismo.
In che cosa consiste?
Fondamentalmente è la sintesi e l’avventura più affascinante dell’amore di Dio ad extra, in quanto designa la particolare centralità di Cristo nel piano divino e nella sua esecuzione storica. Il rapporto Cristo-mondo-uomo non è un rapporto accidentale, ma essenziale nella speculazione di Duns Scoto. Come l’inizio della conoscenza, di fatto, prende avvio da una constatazione, così anche nel Cristocentrismo Duns Scoto parte da un certo numero di constatazioni più rivelate che conquistate. Le principali:
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1). Il mondo esiste ed esiste perché creato liberalissime 1 da Dio. L’azione di Dio è sempre diretta da e per un fine. Dio agisce nella maniera più ordinata e più ragionevole possibile, rationabilissime 2. La ragione dell’azione ad extra di Dio è la propria glorificazione3. Dio ha creato ogni cosa per se stesso e per colui che lo può amare, al di fuori del processo trinitario, in modo infinito, Cristo Gesù4; e Dio ama sé in se stesso e ama sé negli altri5. Dio ha creato, dunque, l’universo per rispecchiare la sua bontà, la sua grandezza e la sua gloria6, e per essere amato da altri coamanti7.
2). Tra gli esseri chiamati all’esistenza -condiligentes- c’è una gradazione di valore o di partecipazione: alcuni sono più vicini e altri meno dal fine per cui sono stati creati.
Quale essere è più vicino al fine voluto da Dio?
Senza alcuna esitazione, Duns Scoto, poggiando la sua analisi sul dato rivelato, afferma che l’essere più vicino a Dio, cioè amato e voluto per primo e indipendentemente da tutto e da tutti, è Cristo: summum opus Dei 8. Da questo e da altri testi paralleli si ricava che due sono i motivi della scelta ermeneutica di Duns Scoto: Dio vuole essere amato al di fuori del mistero trinitario da altri condiligentes; Cristo può rendere a Dio l’amore più grande di quello che possono rendergli tutti gli altri esseri insieme, cioè in modo intesive9.
3). Chi è Cristo Gesù?
La seconda Persona della SS. Trinità che assume la natura umana personalizzandola con la
sua persona. Cristo è l’unico essere che con la sua Persona, quella divina, personifica due nature, quella divina e quella umana. E’ il mistero dell’Incarnazione. In Cristo la “natura umana” è tutto l’uomo, con tutte le sue caratteristiche e potenzialità proprie. In forza dell’unione ipostatica, la natura umana diviene superiore a qualsiasi altra natura creata o creabile, perché “assunta” dal Verbo e come tale è capace di glorificare Dio al massimo grado possibile. La nobiltà e la dignità della natura umana dipendono, perciò, dall’unione ipostatica10.
1 Duns Scoto, De primo principio, IV, n. 36.
2 Duns Scoto, Ordinatio, III, d. 32, q. un., n. 6.
3 Duns Scoto, Reportatio parisiensia, II, d. 1, q. 4, n. 14: «propter suam bonitatem vult et propter obiectum primum».
4 Duns Scoto, Op. cit., IV, d. 49, q. 7, n. 10: «Deus universum propter se creavit, unde Deus diligens se fecit haec».
5 Duns Scoto, Op. cit., III, d. 7, q. 4, n. 5: «Primo Deus diligit se, secundo diligit se aliis».
6 Duns Scoto, Ordinatio, III, d. 32, q. un., n. 6: «ad gloriam Conditoris».
7 Ivi: «condiligentes».
8 Duns Scoto, Reportatio parisiensia, III, d. 7, q. 4, n. 5: «Si lapsum esset causa praedestinationis Christi, sequeretur quod summum opus Dei esset occasionatum… videtur valde irrationabile. Dico igitur sic: Primo Deus diligit se; secundo diligit se aliis…; tertio vult diligi se ab alio, loquendo de amore alicuius extrinsici; et quarto praevidit unionem illius naturae, quae debet summe diligere, etsi nullus cecidisset…; et quinto istanti vidit mediatorem passurum ac redempturum populum suum, et non venisset ut mediator, ut passurus, nisi aliquis prius peccasset».
9 Ivi.
10 Duns Scoto, Quaestiones quodlibetales, 19, n. 17: «Verbum assumit naturam in atomo, hoc est
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4). Basandosi sulla rivelazione, Duns Scoto afferma che nell’ordine ontologico Cristo è voluto e amato prima della stessa creazione del mondo e dell’uomo, benché nell’ordine storico sia venuto nella “pienezza del tempo”. In Cristo, Dio ha voluto anche la natura umana che doveva essere assunta in tutte le sue specifiche proprietà e caratteristiche singolari: Verbum assumpsit naturam in atomo, hoc est singularem, cioè con tutte le proprietà proprie della natura umana, che, quindi, riceve la sua massima dignità da questa unione ipostatica, e viene costituita anche la più nobile delle creature, in quanto scelta per realizzare in Cristo, con Cristo e per Cristo il fine della creazione: la gloria di Dio, laudem Conditoris.
Da queste constatazioni si può ritenere: Duns Scoto riconosce alla natura umana un valore in sé, che gli è proprio, e che Dio stesso riconosce nel momento in cui la sceglie e l’assume per l’incarnazione del Figlio, che così viene anche ad essere innalzata alla massima dignità.
a)- Opzione esistenziale
Nell’interpretazione di un autore, specie lontano nel tempo, non bisogna sottovalutare la sua scelta esistenziale fondamentale, perché, psicologicamente, essa orienta l’intera esistenza e monopolizza tutte le altre scelte o decisioni. Quella di Duns Scoto coincide con l’essere francescano. L’ideale francescano propone una lettura ermeneutica particolare della vita, che combacia essenzialmente con il Vangelo di Cristo e con le intuizioni esperite dall’amore appassionato di Francesco.
Nella pluralità della ricchezza ecclesiale, l’ideale francescano è certamente diverso da altri ideali, o, almeno, realizza le stesse finalità comuni a tutte le spiritualità in un modo del tutto proprio da contraddistinguersi dagli altri. Ora, nessuno può misconoscere che a base di tale ideale c’è la concezione rivelata di Dio come Amore di benevolenza o di misericordia, cioè amore di “dono” (oltre che di ‘perdono’). Il “dono” più grande è Cristo.
Non meraviglia, quindi, che Duns Scoto, nell’opera di sistemazione scientifica dell’ideale di Francesco, che è stato un grande innamorato di Cristo, consideri il Cristo stesso come il Summum Opus Dei11, il Capolavoro di Dio, il Summum Bonum in entibus12, il Capolavoro tra gli enti, il Bonum sui communicativum13, la Bontà personificata che si manifesta per sé, la Summam gratiam e l’Opus mere gratiae14, la Somma Grazia e il Capolavoro della grazia. E
singularem»; Ordinatio, III, d. 6, q. 3, n. 2: «Sicut secundum fidem firmiter tenendum est in Christo esse duas naturas et unam hypostsim, ita oportet concedere sicut consequens ex illo, quod in ipso sint proprietates naturales et potentiae utriusque naturae»; Ibidem, III, d. 2, q. 2, n. 2: «In ista passiva assumptione naturae humanae ad Verbum nullum fuit sic et immediate assumpta», e questo perché: «In illo istanti naturae, in quo natura personaretur in se, si non personaretur, in eodem instanti personatur in alio, quando assumitur» (Ivi).
11Reportata parisiensia, III, d. 7, q. 4, n. 4. 12Ordinatio, III, d. 13, q. 4, n. 4.
13Ibidem, IV, d. 49, q. 2, n. 10.
14Ibidem, III, d. 13, q. 4, n. 9; IV, d. 2, q. 1, n. 11.
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come conseguenza, Duns Scoto, considerando il Capolavoro di Dio, arriva a dire in modo iperbolico, che Cristo, non essendo subordinato a nessuno, potrebbe esistere anche da solo, per realizzare alla perfezione l’ordine del piano divino! Questa visione “singolare” di Cristo affascina talmente Duns Scoto che legge e interpreta tutta la realtà in chiave cristica.
b)- Opzione speculativa
Per quanto attiene all’opzione speculativa operata da Duns Scoto si possono distinguere due aspetti, uno storico e uno dottrinale. Il “momento storico” abbraccia il ventennio che separa la condanna del 1277 dall’entrata sulla scena culturale di Duns Scoto. Periodo che vede il formarsi delle scuole: quella “domenicana” attorno alla personalità di Tommaso d’Aquino; quella “francescana” attorno alla personalità di Bonaventura da Bagnoregio; e quella “eclettica” intorno specialmente alle personalità di Enrico di Gand15 e di Goffredo di Fontaines16. Situazione di forte tentazione intellettuale per il giovane Duns Scoto, studente a Parigi, che, invece, di scegliere tra le scuole già collaudate e affermate, opta per una nuova via personale, pur tenendo presente i risultati raggiunti dalle rispettive scuole, con le quali entra in dialogo critico17.
Il “momento dottrinale” dell’opzione speculativa di Duns Scoto riposa su due principi di fede interscambiabili: l’Essere è e l’Essere è Carità. L’uno richiama la definizione di Dio nell’Esodo: «Io sono colui che sono e che agisco» (3, 14); l’altro invece la giovannea definizione di «Dio è carità» (1Gv 4, 16). Con tali principi, Duns Scoto elabora una potente e penetrante speculazione che permette di assicurare la massima libertà all’agire di Dio, e la massima libertà all’agire dell’uomo. Tra queste due espressioni di “essere” e di “libertà”, assoluta la prima e contingente la seconda, il Dottor Sottile intuisce la presenza della mediazione ontologica di Cristo, che permette alle due libertà di entrare in comunione. Senza di Cristo, né Dio può parlare all’uomo, né l’uomo può parlare a Dio. E’ la stupenda traduzione, in termini di filosofia cristiana, della metafisica platonico-plotiniana che Dio produce solo Dio, e costituisce anche la sublime intuizione del Cristo-centrismo universale.
I due principi dell’Essere, pur accettati per fede, in quanto Duns Scoto è principalmente un teologo, non influenzano minimamente la loro giustificazione teoretica, perché egli è un
15 E’ titolare della cattedra di teologia a Parigi dal 1276 al 1292, muore nel 1293. La struttura portante del suo pensiero poggia su una salda metafisica neo-platonizzante d’ispirazione agostiniana e avicennizzante, che egli corregge in base al dogma cristiano.
16 E’ maestro di teologia a Parigi dal 1284 al 1304, e muore tra il 1306-1309. Il suo pensiero è fortemente aristotelizzante e aperto alla sintesi tomista, pur manifestando delle riserve critiche verso Tommaso. Insieme ad Enrico di Gand è l’interlocutore preferito di Duns Scoto.
17Con un metodo più rigorosamente critico e con principi metafisici più generali e universali, Duns Scoto getta le basi per la costruzione di una nuova sintesi dottrinale aperta alle nuove esigenze del tempo, in cui trovano spazio elementi fondamentali dell’aristotelismo, del platonismo, dell’avicennismo e del francescanesimo.
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critico severo sia dei teologi che fanno facilmente ricorso al soprannaturale nella spiegazione delle manifestazioni dell’essere, sia dei filosofi che rifiutano aprioristicamente la stessa possibilità del soprannaturale18.
Dall’insieme della controversia tra “teologi e filosofi”, Duns Scoto ricava una importante indicazione per la sua scelta ermeneutica del Cristocentrismo: vera norma fondamentale dell’immagine dell’uomo, liberandolo da ogni forma di ideologia o di alienazione, e proponendo un discorso propositivo sull’uomo in-sé e per-l’altro, proprio secondo la realtà dell’Essere di Dio che è e agisce, o dell’amore verso Dio e verso il prossimo, o del dono di sé agli altri19. E’ una scelta eminentemente teologica che apre orizzonti vastissimi alla speculazione filosofica, specialmente attraverso i due concetti-limiti dell’essere-in-quanto- essere e della persona, con tutti i corollari della natura commune, dell’haecceitas, della pluralità delle forme, del primato della volontà sull’intelletto e, di conseguenza, della praxis sulla speculazione20.
2- Aspetto esistenzialistico del concetto di persona
Nel medio evo circolano due definizioni di persona, una dovuta a S. Boezio21 e l’altra a Riccardo di S. Vittore22 ed entrambe vivono in clima essenzialistico, anche se quella riccardiana propende più per l’aspetto esistenzialistico. La definizione boeziana utilizza la tipica struttura categoriale dell'”albero” di Porfirio, secondo cui la “persona” costituisce l’ultima perfezione nella linea discendente dell’essere, ossia rappresenta l’ultima concreta realtà individuale; quella riccardiana, invece, sposta l’attenzione verso la concezione esistenzialistica, perché concentra il concetto di persona nella sua stessa esistenza, colta non per via indiretta e mediata o per processo astrattivo, bensì per via diretta e immediata o per
18 Per questo atteggiamento critico di Duns Scoto si può tener presente la prima questione del “prologo” al primo libro dell’Ordinatio. Cf. L. Sileo, Giovanni Duns Scoto nel suo tempo e nel moderno, in Giovanni Duns Scoto, (a cura di G. Lauriola, Bari 1992, pp. 51-72.
19La posizione di Duns Scoto, benché si collochi in chiave teologica, in quanto tien conto della condizione “storica” dell’uomo, si sviluppa filosoficamente, dimostrando che i risultati raggiungibili razionalmente sono aperti alla visione trascendente dell’Essere. L’originalità della sua analisi consiste nel fatto che conduce l’uomo al bivio di una scelta che implica sempre un atto di fede o razionale o teologico, di cui l’uomo ne è pienamente responsabile. In forza di tale scelta, l’antropologia scotiana è polarizzata dal concetto di libertà, sia nella sua radice ontologica sia nelle sue manifestazioni esistenziali. La ricerca sulla realtà “storica” dell’uomo permette a Duns Scoto di focalizzare il concetto di creatura-persona che sintetizza in sé il carattere naturale e soprannaturale, e che si apre al carattere trascendentale dell’essere. Nella visione antropologica scotiana, le manifestazioni della libertà si possono polarizzare intorno alle tre domande, che da Kant in poi son divenute classiche: che cosa è l’uomo, che cosa può fare l’uomo e che cosa può sperare l’uomo. Per il loro sviluppo si rimanda a quanto detto in Filosofia Medievale, ed. La Scala, Noci 1991, vol 5.
20 Per questi riferimenti cf. dello scrivente Profilo di Duns Scoto, ed. Vito Radio, Putignano 1990; il cit. vol 5 della Filosofia Medievale, e Giovanni Duns Scoto, ed. Vito radio, Putignano 1991
21 De duabus naturis et una persona Christi, cap. 3: «rationalis naturae individua substantia».
22 De Trinitate, IV, 6: «intellectualis naturae incomunicabilis exsistentia».
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via intuitiva. Certamente diverse sono le preoccupazioni dei due autori: Boezio focalizza il concetto di persona nella substantia individua, ossia nell’essere in sé della persona; Riccardo invece nell’exsistentia incomunicabilis, ossia nell’essere in sé ma dipendente da Dio. La definizione di Boezio è ristretta alla sfera antropologica, quella di Riccardo è più ampia e universale e si estende anche alla sfera teologica.
Nell’analisi del termine ex-sistentia, Riccardo sembra anticipare alcune riflessioni linguistiche proprie dell’esistenzialismo di Heidegger, che Duns Scoto tiene vivamente presente nelle sue analisi. Riccardo fa notare che la seconda parte del termine sistentia (da sisto ) indica l’essere in-sé, ed è incompatibile con qualsiasi essere che non sia in-sé , per cui è di necessità che un essere che non sia in-sé , per esistere, deve appoggiarsi a un altro essere. Possibilità che può realizzarsi in tre modi: in-sé (nell’essere), in-sistere (nell’esistenza) e in- haerere (nell’agire). Il concetto di persona, per la sua caratteristica di essere in-sé, è incompatibile con ciascun dei tre modi di dipendenza.
La pienezza di essere in-sé è comunicabile a un altro essere. L’essenza divina, nel mistero trinitario, è pienezza di essere e nello stesso tempo è comunicabile alle tre persone. Per questo, l’essenza divina non è persona. Il concetto di persona esige la ragione di incomunicabilità. E nel mistero trinitario, questa incomunicabilità è data proprio dalla relazione d’origine, espressa dalla particella ex che precede il termine sistere. Per Riccardo, quindi, l’espressione linguistica ex-sistere implica due fondamentali caratteristiche: quella di essere-in-sé e quella di essere-in-relazione. La relazione d’origine, espressa da ex, costituisce l’incomunicabilità dell’esistenza personale.
Nel tentativo ermeneutico di applicare il concetto di persona in teologia, ossia nel mistero trinitario e in quello cristologico, Riccardo di S. Vittore distingue un’esistenza comunicabile e un’esistenza incomunicabile. Solo l’esistenza incomunicabile è peculiare del concetto di persona divina, perché, oltre a indicare la singola persona, importa anche la relazione d’origine. Così ricava le due caratteristiche metafisiche del concetto di persona: essere in sé e essere in alio o in relazione.
a)- Istanze metafisiche della persona
Come ogni problema filosofico, così anche il concetto della persona riceve una diversa analisi o risposta a seconda della preoccupazione esistenziale che anima il ricercatore, cioè se lo considera alla luce essenzialistica o in quella esistenzialistica. Per quanto riguarda Duns Scoto, bisogna precisare che la sua preoccupazione di fondo, pur restando sempre nell’ambito essenzialistico, come tutti gli autori medievali, si muove su di un piano sicuramente esistenzialista.
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Gli autori medievali conoscono le due definizioni di persona, ma preferiscono quella di Boezio a quella di Riccardo, sia a causa dell’autorità che godeva la Philosophiae consolatio e sia per la consonanza con l’ambiente culturale generale, come si evince dalla struttura categoriale del termine substantia. La persona, cioè, viene a costituire l’ultima perfezione dell’ordine logico dell’essere, secondo lo schema porfiriano. Nella gradazione discendente dell’essere, dall’universale al particolare, la persona rappresenta l’ultima e concreta realtà, la sostanza singolare o individuale23.
In virtù della sua opzione cristologica, Duns Scoto non poteva non optare per la definizione di Riccardo -al di là della comune origine scozzese-, ma perché giudicata più rispondente alle posizioni fondamentali della sua speculazione.
I testi principali sul concetto di persona si trovano nell’Ordinatio24, nei Reportata parisiensia25 e nelle Quaestiones quodlibetales26, e tutte le volte Duns Scoto affronta il problema non secondo lo schema logico-categoriale di Porfirio, ma secondo l’ottica dell’essere esistente in quanto esistente. La lettura di questi testi scotiani, in verità, non brillano per chiarezza formale, perché, trovandosi nelle circostanze di creare un linguaggio nuovo per teorie nuove, la terminologia appare a volte estremamente sintetica e di difficile traduzione. Pur di fronte a simile difficoltà linguistiche, il pensiero tuttavia sembra abbastanza comprensibile, dopo attenta e sofferta meditazione27.
Emblematico, ad es., è il testo «utraque incommunicabilitas [scilicet ut universale et ut forma] requiritur ad rationem personae, et [ratio personae] est in re ex naturae rei, et ita nihil de ratione personae dicit intentionem secundam»28. Il concetto di persona richiede per sé sia la forma di incomunicabilità come universale, ossia quella che non si può comunicare agli inferiori, come l’anima separata, e sia l’incomunicabilità come forma, ossia quella che è ordinata ad unirsi a una materia, come l’anima verso il corpo. Di conseguenza, il concetto di persona è vincolato in tal modo alla realtà esistente in quanto esistente, da escludere ogni processo astrattivo (intentio secunda) per conoscerlo, cioè esso si coglie direttamente e immediatamente per via intuitiva (intentio prima) e non per via astrattiva. Il suo fondamento è radicato nella stessa esistenza sicut est, che è di per sé reale concreta individuale singolare e irripetibile.
Una conferma di tale interpretazione viene dal testo parallelo dei Reportata parisiensia29, dove Duns Scoto insiste sulla caratteristica dell’incomunicabilità della persona, strettamente
23Concezione che perdura ancora nell’epoca contemporanea in chi pone il concetto di subsistentia come ultimo costitutivo della persona.
24I,d.23,q.1;I,d.28,q.2;II,d.3,q.6; III,d.2,q.1;III,d.1,q.1;III,d.1,q.4.
25I, d. 25, q. 1.
26Q. 19.
27Per ulteriori precisazioni cf. Giovanni Duns Scoto, (a cura di G. Lauriola), Bari 1992, pp.270ss. 28Ordinatio, I, d. 23, q. un., n. 16.
29I, d. 25, q. 1, n. 5: «Nihil est incommunicabilis, nisi per affermationem, cui repugnat communicatio;
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legata a quella di esistenza, che non è una nota negativa, bensì positiva, in quanto ogni negazione presuppone un’affermazione. La preoccupazione del Dottor Sottile si concentra nel dimostrare che il concetto di persona non si costituisce negativamente, come potrebbe apparire dalla nota di incomunicabilità, ma positivamente, perché nessuna negazione ha valore se non poggia su qualcosa di positivo dal quale viene negato. In più parti Duns Scoto manifesta l’impegno a dimostrare tale affermazione:
1) nelle Quaestiones quodlibetales: «A nessun essere ripugna semplicemente l’essere comunicabile o l’essere dipendente, a meno che non ci sia, come semplicemente proprio, qualcosa di positivo che sia la ragione della ripugnanza della comunicabilità o della dipendenza… Pertanto la natura creata, benché sia sussistente per sé, non ha la ripugnanza a poter dipendere, ma solo a quella di dipendere in atto o attualmente»30;
2) nell’Ordinatio: «Nessuna negazione è per sé incomunicabile (cioè indivisibile o indipendente), se non per mezzo di una affermazione, a cui principalmente ripugna essere diviso… L’incomunicabilità è possibile solo per via affermativa e non per via di negazione; pertanto la prima ragione dell’incomunicabilità non è la negazione, bensì l’affermazione»31; e ancora: «Nessuna negazione è propria di un soggetto, se non per qualche sua propria affermazione, che consegue tale negazione»32; «Non amiamo le negazioni!»33.
Il concetto di persona, oltre che individuale e singolare, è anche incomunicabile. L’incomunicabilità è legata strettamente all’esistenza. Come a dire: la persona è contemporaneamente essere-in-sé e essere-in-relazione; è insieme soggetto, quis, e oggetto, quem. In termini moderni, questo linguaggio medievale significa: la persona è una sostanza prima, cioè un essere esistente che esiste con esistenza incomunicabile e aperta ad altre esistenze incomunicabili.
Pur non accettando direttamente lo schema porfiriano, Duns Scoto lo presuppone nel momento in cui introduce il concetto di haecceitas come ultimo costitutivo, logico- strutturale, della sostanza incomunicabile individuale e singolare. Con ciò non si vuol dire che il fondamento ultimo della persona, l’incomunicabilità, derivi da tale schema, perché il Dottor
illud autem affermativum non est essentia, quia illa communicabilis est; igitur esta entitas alia, quae non est formaliter essentia, cui repugnat communicari».
30Q. 19, n. 20: «Quod nulli simpliciter repugnat esse communicabile nec, tanquam communicabile, dependere, nisi sibi sit simpliciter proprium aliquod positivum, quod sit ratio repugnantiae communicabilitatis et dependentiae… Natura vero creat personata in se, non habet, quia non habet repugnantiam ad posse dependere, sed tantum ad actu dependere ».
31I, d. 28, q. 1-2, nn. 44-45: «Nulla negatio est de se incommunicabilis, quia sicut non est de se una neque indivisibilis aliqua indivisione, sic non est de se haec et incommunicabilis, sed tantum per affirmationem, cui primo repugnat dividi… et ita etiam videtur de esse incpmmunicabili, quia communicari non repugnat negationi de se, sed tantum per affirmationem aliquam, cui primo competit incommunicabilitas; igitur negatio non erit ratio incommunicabilitas».
32Ibidem, n. 45: «Propterea, nulla negatio est propria alicui subiecto nisi per aliquam affirmationem propriam ei, quam consequantur talis negatio».
33 Ibidem, d. 23, q. un., n. 22: «negatio non adoratur!».
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Sottile afferma che l’incomunicabilità alla persona le proviene dalla sua stessa esistenza, che, in chiave teologica, significa imago Christi. Il problema della persona, quindi, vive e si sviluppa nell’ambito della filosofia dell’esistenza, e si presenta con due specifiche caratteristiche fondamentali: ultima solitudo o essere-in-sé e relatio trascendentalis o essere-aperto-all’altro.
b)- La persona come “ultima solitudo”
In un testo dell’Ordinatio34, non ancora disponibile in edizione critica, Duns Scoto sintetizza tutto il suo cammino speculativo intorno alle caratteristiche metafisiche della persona con l’ermetica espressione ad personalitatem requiritur “ultima solitudo”, a indicare l’ultima dignità dell’essere umano come essere-in-sé, ossia l’ultima ragione dell’essere umano che si coglie come essere e come esser-ci: essere autonomo, responsabile, autocosciente e autotrascendente. Caratteristiche che costituiscono come dei “gradini” per raggiungere la massima espressione della persona umana, l’ultima solitudo, che avvicina all’origine ontologica dell’essere.
Insieme al concetto di essere, quello di persona costituisce nella metafisica scotista un concetto-limite, nel senso che nella scala dell’essere esistente la persona occupa la massima perfezione e completezza dell’essere stesso. In base alla definizione riccardiana, la persona non solo presuppone ma si realizza esclusivamente in una natura individuale intellettiva, cioè è una realtà esistenziale della ricchezza essenziale contenuta nella stessa natura individuale intellettiva.
L’analisi di Duns Scoto, pertanto, pur restando nell’ordine essenzialistico, si colora di esistenzialismo come ultima perfezione dell’essere personale. Difatti, la natura individuale viene “singolarizzata” o “individualizzata” per l’haecceitas, intesa come ultima entità positiva che si aggiunge all’essenza specifica per costituire in concreto l’individuo singolare35. Per questo motivo alcuni studiosi hanno chiamato l’haecceitas il «cuore del reale»36 e il «cuore della metafisica scotista»37.
La teoria dell’haecceitas conferma l’interpretazione data di Duns Scoto, che si muove più in ambito esistenzialistico che in quello essenzialistico. Di conseguenza, la dignità e il valore della persona implicano l’ordine essenziale di una natura intellettiva singolarizzata
34III, d. 2, q. 1, n. 17: «Ad personalitatem requiritur ultima solitudo, sive negatio dependentiae actualis et aptitudinalis».
35L’haecceitas fa sì che un “individuo” sia se stesso e non un altro. Nella linea discendente dell’albero porfiriano, essa esprime la massima perfezione dell’essere, perché costituisce l’individuo in quanto individuo, cioè proprio quell’essere e non un altro. L’haecceitas singolarizza l’individuo, rendendolo esclusivo e irripetibile: è solo ed esclusivamente se stesso.
36E. Gilson, Jean Duns Scot, Paris 1952, p. 466.
37C. Bérubé, La connaissance de l’individuel au moyen âge, Paris 1964, p. 150.
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dall’haecceitas, a cui si aggiunge l’ordine esistenziale o sub-sistentia, implicante autonomia responsabilità autocoscienza e autotrascendimento. A tutto questo ricco patrimonio esistenziale, Duns Scoto dà l’emblematico nome di ultima solitudo, che segna la prima e fondamentale caratteristica della persona. La persona, perciò, in base alla nota della “solitudo” , è una realtà esistenziale che presuppone, come ragione della sua dignità e della ricchezza metafisica, la realtà essenziale della natura intellettiva singolare.
L’aver individuato il valore della persona nella stessa esistenza, che completa la perfezione dell’ordine essenziale della natura intellettiva singolare, non appaga Duns Scoto che va alla ricerca dell’ultima ragione o radice costitutiva della stessa dignità umana. Preoccupazione che impegna il Dottor Sottile a introdurre un nuovo concetto chiave, quello della dipendenza, che aggiunge una nota delucidativa esistenziale al concetto di persona, e quello della «volontà divina»38.
Presupponendo la delicata trattazione sugli «intelligibili»39, che si identificano con le «essenze» o «possibili», e, quindi, come tali, sono al margine di ogni dipendenza, riservata invece al reale concreto, Duns Scoto si richiama al volontarismo divino per scoprire la fonte originaria della dignità della persona umana. La ragione della possibilità intrinseca di una realtà procede sì dall’onnipotenza della volontà divina, ma sempre in armonia con l’intelletto divino, perché tutto ciò che Dio vuole, lo vuole in modo assolutamente ragionevole, rationalissime volens. Come a dire: l’intelletto divino assicura la possibilità di una realtà che, quindi, può essere prodotta prima nell’essere intelligibile e poi dalla volontà divina nell’essere concreto semplicemente.
La causa ultima della “dipendenza”, perciò, non può riguardare in nessun modo l’ordine essenziale e metafisico della realtà, possibile o impossibile, perché in Dio non c’è alcuna dipendenza. Il concetto di dipendenza nasce nel momento in cui la volontà divina decide liberamente di chiamare all’esistenza qualcuno degli enti possibili. Il venire concretamente all’esistenza crea il concetto radicale della dipendenza nei confronti di Dio, che Duns Scoto richiede nello spiegare il concetto di persona. Ne distingue tre tipi: actualis, aptitudinalis et potentialis. L’attenzione del Dottor Sottile è focalizzata specialmente dalla «dipendenza potenziale», che di per sé consiste nella semplice non ripugnanza di una natura individuata a essere assunta o personificata da un soggetto diverso da quello che le compete naturalmente, come avviene, per es., nel mistero dell’Incarnazione del Verbo che personalizza la natura singolare umana. La chiave di lettura della persona umana e dell’intera realtà esistente è data sempre e unicamente da Cristo, vero uomo, oltre che vero Dio.
38Cf. A. G. Manno, Il volontarismo teologico, etico e antropologico di G. Duns Scoto, Cassino- Frosinone 1986.
39Cf. R. Rosini, Gli “intelligibili” nella dottrina di Giovanni Duns Scoto, in Deus et homo ad mentem I. Duns Scoti, Romae 1972, pp. 673-691.
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Questa dipendenza potenziale riceve da Duns Scoto il nome di potenza obbedienziale, presente in ogni essere creato razionale, e non impedisce che esso si costituisca persona. Il concetto di persona, perciò, nello stesso momento in cui l’essere umano è consapevole di questa dipendenza potenziale o potenza obbedienziale si costituisce persona nei due aspetti fondamentali di ultima solitudo e di relatio trascendentalis. L’uomo è persona quando si scopre dipendente da-Dio e aperto a-Dio. Per questo Duns Scoto potrà scrivere: Ad personalitatem requirit ultima solitudo, sive negatio dependentiae actualis et aptitudinalis.
Nel tentativo di prevenire facili tentazioni di interpretare “negativamente” il concetto di persona a causa dell’espressione negatio dependentiae actualis et aptitudinalis, come spesso è avvenuto, lo stesso Duns Scoto si preoccupa di precisare il suo pensiero e il valore della forma negativa della definizione. E’ vero, la doppia negazione permette alla natura singolarizzata di costituiursi persona. La negazione della dipendenza però non cade nell’ordine dell’essenza singolarizzata, ma nell’ordine dell’essere esistente in quanto esistente, il quale, proprio perché non si distingue se non formalmente dall’essenza, può dipendere da qualche essere superiore. Ogni essere creato, quindi, ha intrinsecamente la dipendenza radicale verso il Creatore, da Duns Scoto chiamata relatio trascendentalis, che così risulta strutturalmente inerente alla stessa esistenza in quanto esistenza, e in modo speciale all’esistenza umana che contemporaneamente è essere ed esser-ci. Come a dire: l’uomo si costituisce persona in questa speciale dipendenza; ma dimenticandola può dipendere dalle altre e due dipendenze, che gli impediscono di essere se stesso o di sub-sistere40
Alla formazione del concetto di persona, secondo Duns Scoto, è sufficiente la realizzazione della negazione della dipendenza “attuale” e di quella “attitudinale”, cioè la duplice negazione permette alla natura intellectualis di costituirsi come exsistentia incomunicabilis o “persona”. La “dipendenza potenziale” viene positivamente identificata con la relatio trascendentalis, in quanto inerisce ontologicamente alla stessa struttura originaria dell’essere. La persona, quindi, si costituisce in funzione della sua origine ontologica, cioè dell’essere imago Dei. L’auto-consapevolezza della propria origine è il segreto della personalità umana. Solo a questa condizione l’esistenza umana si trasforma in sub-sistenza. Il suo concetto, perciò, non ha niente di negativo, ma suppone ed esige un impegno reale totale e radicale ad essere se stesso, non tanto solo ontologicamente quanto anche eticamente. In questo modo, la persona è un concetto altamente positivo, che si
40La “dipendenza attuale” si verifica quando un essere dipende in atto da un altro e coesiste per esso, come ad es., l’anima unita dipende dal corpo nell’esercizio delle sue funzioni specifiche; quella “attitudinale”, invece, si ha quando l’essere è naturalmente inclinato all’unione con l’altro, come ad es., l’anima separata tende a unirsi al suo corpo, o come il grave tende al centro; la “dipendenza potenziale”, infine, consiste nel fatto che ogni essere è sotto la potenza o l’influsso di Dio, in tal modo che Dio può operare in esso e per esso tutto ciò che formalmente non ripugni né a Dio né all’essere stesso.
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realizza soltanto superando due ostacoli reali di dipendenza: quella attuale e quella attitudinale. Altro che negativo41!
La persona, quindi, per Duns Scoto, è simultaneamente essere e esser-ci. Concetto da tradursi con egoismo, ma, dato il senso negativo del termine, si preferisce quello di egotismo o egoità. L’autoaffermazione e l’autoresponsabilità costituiscono la grandezza e anche la miseria dell’essere personale, come si evince dalla complementare spiegazione data dal Dottor Sottile al termine ultima solitudo mediante il concetto della “dipendenza potenziale”. In virtù di questa dipendenza, la natura umana singolare è in potenza obbedienziale a essere assunta da una persona superiore o divina. Nella storia dell’umanità solo in un caso, secondo la rivelazione cristiana, questa potenza obbedienziale è passata all’atto esistenziale, ossia nella natura umana di Cristo. Onde la grandezza e la miseria della persona umana: l’una perché esprime la pienezza della perfezione in tutto il regno del creato; l’altra, invece, perché, in confronto con la persona divina, non si realizza mai pienamente come persona, benché Duns Scoto predichi in modo univoco il concetto di persona sia a Dio che a Cristo, all’angelo e all’uomo.
Tenendo presente il mistero di Cristo, vero Dio e vero Uomo, Duns Scoto trapassa il concetto di dipendenza potenziale nel concetto di potenza obbedienziale, cioè passa dal piano soprannaturale-teologico a quello naturale-metafisico. Storicamente unico esempio di tale passaggio è la realtà misterica di Cristo. Pertanto, se tutta la grandezza della natura umana di Cristo consiste in questo passaggio, allora la stessa potenza obbedienziale, quando si realizza nell’uomo, mostra la radicale apertura a Dio tramite Cristo42.
c)- La persona come apertura e relazione
L’analisi della caratteristica della persona come ultima solitudo ha messo in luce, attraverso il concetto della “dipendenza” o della “relazione, non solo il limite metafisico dell’essere umano, ma anche la sua irresistibile apertura verso Dio o relatio trascendentalis. Nella consapevolezza del suo “limite” ontologico, la persona umana si accorge di essere in relazione con l’Essere infinito, che, proprio perché infinito, non dipende da alcunché.
41Per i principali testi cf. sopra note 29-32.
42In questo processo teologico-metafisico della potenza obbedienziale, Duns Scoto introduce il concetto della virtù dell’obbedienza, elevandola dal piano (astratto) della morale a quello della metafisica. La natura umana, in quanto è assumibile da una persona divina, è in perfetta obbedienza. Quando si obbedisce veramente, l’uomo si personifica con quella stessa persona a cui obbedisce. La virtù dell’obbedienza passa, quindi, dalla sfera metafisica a quella teologica, divenendo la chiave del mistero dell’Assuptus homo. L’obbedienza è la capacità di operare di Dio nell’uomo: ogni uomo è soggetta all’obbedienza ontologica. L’opzione libera e responsabile che trasforma l’obbedienza metafisica in accezione morale segna il cammino rettamente della perfezione, se invece lo si rifiuta segna un cammino perverso.
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Inizialmente, l’autoconsapevolezza rivela all’uomo la sua miseria o limite di essere in solitudo; successivamente l’uomo rompe tale l’isolamento accettando la sua condizione, aprendo così il cammino esistenziale e morale della speranza verso la perfezione di Dio. L’aggancio ontologico-morale, mediante l’accettazione della dipendenza potenziale, impedisce all’uomo di cadere nel nichilismo, perché «si personifica con quella personalità da cui dipende»43. La caratteristica di “apertura” ha il suo fondamento proprio nella possibilità dell’essere umano di accettarsi come dipendente dall’Essere infinito.
Nel concetto di persona, la caratteristica della “relazione”, ossia quella disposizione interiore ed intrinseca dell’essere umano verso l’Essere infinito, si giustifica con la dottrina della conoscenza e della partecipazione44. Il concetto di “relazione” riguarda sempre e unicamente la via ascensionale dell’essere e non quella discensiva, ossia è l’essere-uomo che si relaziona all’Essere infinito e non viceversa. La relazione si realizza nell’essere dipendente e non nell’Essere da cui si dipende, che di per sé è indipendente. La ragione ultima della relazione si trova nell’ordine dell’esistenza e non in quello dell’essenza45. L’esistenza, quindi, è la ragione formale della relazione con cui l’uomo entra in rapporto trascendentale con l’onnipotenza divina46 o con la causa efficiente dell’Essere infinito47.
La caratteristica di “apertura” o di “relazione” del concetto di persona realizza quella tensione spirituale verso Dio, che per essere autentica dev’essere segno particolare anche della tensione verso tutti gli altri esseri, con i quali si entra in relazione nella concreta esperienza esistenziale. La tensione verso l’Essere infinito, quindi, si identifica con il Bene supremo, e rivela il valore oggettivo primordiale dello stesso Essere-Bontà, che sia nell’esistere che nel contenuto è anteriore e indipendente a qualunque rapporto esterno. E’ un valore che l’uomo constata ma non produce, che scopre ma non crea, e che prende a modello del suo comportamento esistenziale.
La relazione uomo-Dio non ha valore solo ontologico, ma anche esemplare o morale, nel senso che l’amore dell’Essere-Bontà diviene modello per l’amore dell’uomo. Come l’atto d’amore di Dio mira al bene dell’oggetto amato, così l’atto d’amore dell’uomo verso gli altri deve tendere non per ottenere il contraccambio, ma per mirare semplicemente al loro oggettivo bene o felicità. Per determinare meglio la dottrina scotista della relazione, che s’identifica nella sua essenza con l’amicizia e con l’amore, sembra utile confrontarla con la teoria dell’amicizia di Aristotele, che imperava all’epoca di Duns Scoto.
43Ordinatio, III, d. 1, q. 1, n. 9.
44Cf. W. Hoaeres, La volontà come perfezione pura in Duns Scoto, Padova 1976, pp. 44ss.
45Cf. E. Gilson, Jean Duns Scot, Parigi 1952, p. 354.
46Quaestiones quodlibetales, 19, n. 47: «Potentia obedientialis creaturae respicit onnipotentiam creatoris».
47Ordinatio, III, d. 1, q. 4, n. 2: «Potentia obedientialis in creatura respicit efficientem primi eficientis, non aliam potentiam activam».
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La concezione scotista dell’amicizia è profondamente diversa da quella dello Stagirita, che pure ha scritto delle belle pagine sull’amore di amicizia48. In corrispondenza dei tre valori essenziali della vita -utile piacevole e buono- tre sono pure le forme di amicizia: «… quelli che si amano a causa dell’utile… e quelli che si amano a causa del piacere… sono amicizie accidentali e… caduche… L’amicizia perfetta è quella dei buoni e dei simili nella virtù… perché si ama l’amico per l’amico stesso»49, e non per quello che l’amico ha. In termini moderni, le prime due forme di amicizia sono forme estrinseche e si basano su ciò che possiede l’amico, come se l’amico venisse strumentalizzato ai vantaggi che offre; la terza forma, invece, è intrinseca e ama l’amico per quello che è, ossia per la bontà intrinseca all’uomo stesso, e non per quello che ha.
Anche nella forma perfetta e autentica dell’amicizia, l’amico cerca nell’amico il “proprio” bene50; anzi, espressamente Aristotele scrive che l’amicizia verso gli altri nasce «dal senso di amore verso se stessi»51, che «ciascuno vuole bene a se stesso»52, e che la vera amicizia consiste più nel «fare il bene che riceverlo… ed è più bello fare del bene agli amici che agli estranei»53. Con tutto ciò, l’amicizia vera perfetta e autentica di Aristotele, pur condivisa dagli autori cristiani del medioevo, non raggiunge ancora la perfezione dell’amore gratuito.
Conformando il suo pensiero al concetto dell’amore gratuito o di benevolenza di Dio, Duns Scoto eleva la relazione uomo-Dio e uomo-uomo dalla sfera troppo antropologica dell’amicizia alla sfera unica e singolare della visione metafisico-teologica di Dio. A modello dell’amore di amicizia, Duns Scoto prende lo stesso amore di Dio, che è bontà infinita:
In primo luogo, Dio ama se stesso.
In secondo luogo, Dio ama se stesso negli altri o condiligentes.
In terzo luogo, Dio vuole essere amato da colui che può amare in grado sommo.
In quarto luogo Dio prevede e vuole l’unione ipostatica di Cristo, indipendentemente
dal peccato…54.
Da questo e da altri testi, si evince a chiare tinte che l’amore infinitamente perfetto di Dio
si rivela in modo perfetto in Cristo, in colui che al di fuori delle processioni intratrinitarie può amarlo sommamente, diviene l’immagine autentica e prototipa per l’amore dell’uomo, sia nelle relazioni verso Dio sia nelle relazioni verso i suoi simili. Analizzando il modo di amare di
48Cf. Etica Nicomachea, VIII-IX.
49Ibidem, VIII, 3, 1156a-b.
50Ibidem, VIII, 5, 1157b-1158a.
51Ibidem, IX, 4, 1166a 2-11.
52Ibidem, VIII, 7, 1159a 12.
53Ibidem, IX, 9, 1169b 2.
54Reportata parisiensa, III, d. 7, q. 4., n. 3-4: «…(Deus) primo amat se… secundo diligit se in aliis (scilicet vult alios habere condiligentes)… tertio vult se diligi ab illo qui potest eum summe diligere,
loquendo de amore extrinseci; et quarto previdit unionem illius naturae, quae debet eum summe diligere…».
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Dio e di Cristo, Duns Scoto ne scopre gli elementi essenziali nella stessa volontà. L’atto di amore, nella sua natura più autentica non tende alla propria utilità o al proprio piacere, ma al bene dell’altro.
L’aver scoperto l’essenza dell’amore nella volontà caratterizza tutto il sistema scotista e in special modo la dottrina della relazione. Dalla lunga e difficile dimostrazione dell’esistenza di Dio, in cui l’uomo trova naturale appagamento nel considerare esistente il Bene infinito, Duns Scoto ricava la convinzione che la volontà umana può emettere un atto perfetto di amore55.
L’apertura verso il trascendente segna anche la relazione verso gli “altri”, in quanto l’autoaffermazione del proprio essere con la caratteristica dell’ultima solitudo, è contemporaneamente anche tensione verso il non-io, con il quale si entra in relazione nella esperienza esistenziale. La massima realizzazione di tale tensione si concretizza precisamente quando l’uomo vede considera e ama l’altro con amore di benevolenza o gratuito.
Conclusione
Il concetto di persona in Duns Scoto presenta due caratteristiche peculiari e complementari tra loro: la dimensione ontologica con cui l’uomo afferma la sua realtà sub- sistente e dipendente, e la dimensione fenomenologica con cui l’uomo si apre ed entra in relazione con gli altri. La prima caratteristica, quella dell’ ultima solitudo, assicura all’essere umano la sua consistenza di essere se stesso e di autotrascendersi; mentre la caratteristica dell’apertura o relatio trascendentalis regola lo spessore socio-politico-religioso delle relazioni secondo la legge dell’amore gratuito e le istituzioni storico-giuridiche.
Le manifestazioni fenomenologiche dell’uomo, se prese in se stesse e avulse dal loro contesto fontale, risultano inadeguate e insufficienti ad esprimere la grandezza e la complessità del concetto di persona: esse non possono essere limitate al semplice o complesso rapporto “io”-“tu”. Le manifestazioni personali e interpersonali acquistano tutta la loro importanza solo se rapportate alla principale relazione “io”-“tu”-“Dio”, secondo la legge dell’amore espressa vissuta e raccomandata da Cristo, e teorizzata da Duns Scoto attraverso la mediazione dell’ideale di Francesco d’Assisi.
55Cf. De primo principio, cap. IV.
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