Il concetto di persona e l’embrione umano

di Giacomo Samek Lodovici

L’uomo è persona già come embrione. La riflessione filosofica – da Aristotele fino ai giorni nostri – fornisce tutti gli argomenti razionali per cogliere questa fondamentale verità.
Il concetto di persona è cruciale per affrontare qualsiasi dibattito di bioetica, dall’aborto all’eutanasia, dalla clonazione alla fecondazione artificiale. Lo status di persona infatti appartiene all’uomo, definisce la sua natura e la sua specificità, distinguendolo dalle cose inanimate e dagli altri viventi.
Ovviamente, l’uomo è un vivente e ciò lo differenzia dalie cose inanimate, ma in che cosa e distinto dagli altri viventi? Qual è la sua natura che ne fa un essere personale?
Per ricostruire la natura dell’uomo e capire chi è una persona dobbiamo, come Aristotele, partire dalle operazioni che l’uomo compie. Per intenderci, dobbiamo fare un po’ come si fa in chimica, dove, per scoprire la natura di una sostanza, la si fa agire attraverso un reagente e dalie sue reazioni si risale alla sua natura.
Chiediamoci, dunque: quali sono le operazioni peculiari dell’uomo? Non sono certo le operazioni «vegetative» come la nascita, la crescita, il nutrimento e così via, perché esse vengono esplicate anche dalle piante e dagli animali; nemmeno le attività «sensitivo-motorie», come la sensazione, il movimento, il desiderio e simili, perché esse vengono svolte anche dagli animali; piuttosto, le azioni peculiari dell’uomo sono quelle razionati, che non sono solo gli atti dl ragionamento, ma anche quelli di amore, gli atti liberi, gli atti in cui manifesta il suo senso e le sue capacità estetico-artistiche, quelli che mostrano che egli ha un’anima spirituale, gli atti religiosi, ecc. (ne ho parlato in il Timone n. 26, pp. 32-34). Dunque possiamo dire che l’uomo è un essere di natura razionale, ed un essere di natura razionale viene designato col termine persona, come diceva Boezio.
Ciò permette già di respingere la concezione della persona di alcuni autori di matrice utilitarista che riconoscono lo status di persona a chi prova dolore e piacere e, sulla base di questa idea errata, equiparano gli animali agli uomini: l’uomo infatti esercita delle operazioni cognitive mentre l’animale no.
Altri autori sostengono che anche gli animali sono persone perché esercitano delle forme di attività conoscitiva. Bisogna ribattere loro, sempre con Aristotele, che la «conoscenza» degli animali superiori è qualitativamente inferiore a quella dell’uomo: infatti, l’animale coglie nelle cose solo l’utilità/dannosità, la piacevolezza/dolorosità, anzi (cfr. H.. Plessner, A. Gehlen a M. Scheler) si accorge solo di alcune cose, cioè di quelle cose utili/dannose, piacevoli/dolorose e le atre nemmeno le percepisce. Invece l’uomo, poiché è razionate, indaga su tutte le cose, indaga anche la natura delle cose, cioè si chiede: «che cos’è questa cosa?», vuole conoscere le cose a prescindere dalla loro eventuale utilità/dannosità, cioè vuole conoscere la verità sulle cose, percepisce il bene e il mate, il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto.
Notiamo bene che un essere di natura razionale è un essere capace potenzialmente di compiere operazioni razionali, e non solo colui che compie attualmente tali operazioni. L’uomo è persona anche quando non compie operazioni razionali, perché possiede una natura che lo abilita, prima o poi, o ancora, a compiere tali attività. Questa sottolineatura è importante, perché i bioeticisti che difendono l’aborto a l’eutanasia sostengono al contrario un’equazione, un’identità tra la persona e il suo esercizio in atto di certe attività: secondo questi autori, un essere umano è persona solo quando compie attualmente certe operazioni. In tal modo, essi operano una distinzione tra essere umano a persona, cioè sostengono che l’essere umano diventa gradualmente persona (e lo è pienamente solo quando esplica pienamente attività razionali) e cessa gradualmente di esserlo (quando perde lucidità intellettuale, quando è in coma, ecc.). Partendo da queste premesse errate, essi deducono che l’embrione e il malato terminale non sono persone, in quanto non esplicano attività razionali. Addirittura, per un bioeticista molto famoso come H.T. Engelhardt anche l’infanticidio é lecito, perché i neonati o i bambini piccoli non esercitano tali attività. Bisogna, però, obiettare che, se fosse persona solo chi esercita attualmente operazioni razionali, allora bisognerebbe dire che anche un dormiente o un uomo sotto anestesia non sono persone giacché non esplicano tali attività, e dunque diventerebbe legittimo sopprimere anche loro e non soltanto gli embrioni, i malati terminali e i bambini.
Tuttavia, questa obiezione non è ancora risolutiva nel caso in cui qualcuno è disposto ad accettare le conseguenze di tale concezione, cioè ad ammettere la liceità dl sopprimere dormienti e pazienti sotto anestesia. Dobbiamo allora giungere al cuore del problema, non soltanto mostrando le conseguenze dell’equazione: persona = attività, ma anche dimostrando che essa è falsa.
Per fare questo, dobbiamo partire da un dato di fatto: io (come ogni uomo) sono in grado di distinguere le azioni che compio, le mie azioni, da quelle che non compio, da quelle degli altri. Per esempio, in una libreria si compiono molte azioni, come individuare un libro sugli scaffali, prendere in mano alcuni libri, andare alla cassa, pagare, e cosi via. Ebbene: io riesco a distinguere il mio individuare un libro da quello degli altri, il mio prendere in mano un libro da quello di altri, il mio dare una scorsa al libro da quello di altri. Ci sono due azioni identiche, che possono svolgersi simultaneamente, perché magari molti stanno guardando nello stesso momento lo stesso libro ancora esposto su uno scaffale, eppure tra queste azioni identiche solo alcune le individuo come mie, mentre altre no.
Ora, se io riesco a qualificare alcune azioni come mie, vuol dire che la mia persona è qualcosa che permette di distinguere in una molteplicità di azioni quelle che sono mie, da quelle che non lo sono, cioè la mia persona non è identica alle mie azioni, bensì esiste prima del compimento delle azioni, le accompagna mentre si svolgono e perdura quando esse sono terminate. E, proprio perché la persona è distinta dalle azioni, è possibile attribuire a me (cioè a quella persona che sono io), le mie azioni e non quelle che sono di altre persone. Insomma, la persona e un sostrato, un sostegno, da cui provengono le azioni, che è diverso da esse, e io posso dire che alcune azioni sono mie perché provengono da quel sostegno che sono io senza essere identiche ad esso.
0, ancora, la persona è come una sorgente da cui zampilla dell’acqua: la sorgente è la fonte dell’acqua, ma non è l’acqua, e poiché la sorgente non è l’acqua è possibile dire che le molecole d’acqua di un fiume sono di due o più sorgenti diverse, nonostante che queste molecole d’acqua siano tra loro chimicamente identiche e si trovino le une accanto alle altre. Per tornare al nostro esempio, anche se le azioni che vengono compiute in una libreria sono identiche e avvengono magari simultaneamente e le une accanto alle altre, è possibile dire che alcune di queste azioni sono mie, perché quella persona che sono io, e che è distinta dalle azioni che da essa scaturiscono, consente di raggruppare appunto le mie azioni e di distinguerle da quelle degli altri.
Si potrebbe ribattere che io riesco a distinguere i miei atti da quelli degli altri secondo un criterio di vicinanza spaziate. Stando a tale criterio, le azioni spazialmente vicine tra loro sono mie, le altre non lo sono. È facile controbattere: in realtà, abbiamo già visto che due azioni vicine tra loro possono essere una mia, l‘altra no. E mia l’azione di prendere un libro da uno scaffale, non é mia un’altra azione vicinissima di prendere un libro dallo stesso scaffale. Inoltre, due azioni possono essere mie nonostante siano spazialmente lontane: l’azione che qualifico come mia di individuazione di un libro può avvenire in fondo alla libreria, e quella che qualifico come mia di pagare il libro può avvenire all’entrata.
Si potrebbe ulteriormente obiettare che io riesco a distinguere i miei atti da quelli altrui secondo un criterio di vicinanza temporale: sono mie le azioni che si svolgono vicine nel tempo. Ma anche in questo caso abbiamo già in parte visto che due azioni simultanee, o che si susseguono una dopo l’altra, possono essere una mia e l’altra no: di due azioni simultanee di acquisto di un libro, o che si susseguono una dopo l’altra, una è mia, l’altra no. Inoltre, è facile osservare come due azioni possano essere mie nonostante siano temporalmente lontane: l’azione con cui ho individuato un libro può essere avvenuta due ore prima rispetto a quella con cui acquisto il libro, eppure sono due mie azioni, mentre le azioni di acquisto di due libri uno subito dopo l’altro possono essere una mia e l’altra no.
Insomma, come abbiamo cercato di mostrare, l’uomo è persona anche quando non compie le sue azioni peculiari, bensì quando è capace potenzialmente di compierle.
Quindi, per fare solo un accenno sull’aborto, l’uomo è persona già come embrione, perché l’embrione umano e potenzialmente capace di compiere operazioni razionali, in quanto nel suo DNA ci sono già tutte le istruzioni che gli consentono di svilupparsi fino a poter esercitare le azioni razionali: nel suo sviluppo infatti non c’è nessuna interruzione, nessun salto, nessun intervento esterno determinante.
Bibliografia
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