Da lì viene l’eterno

DA LI VIENE L’ETERNO

Quando mi conduce il mare
Nelle sue sponde odorose
Di pane e di coraggio,
Quando non distinguo
Tra l’uomo e il vento
Del mio cuore;
Quando si tagliano
Gli occhi della primavera,
Quando io stesso
Perdo le dita ghiacciate
Nel sentiero dell’ovile abbandonato.

Prendete i miei guanti
E la mia memoria,
Così saprò
Di frutta e di nebbia,
Di anime e di frontiera,
Di orgoglio e di lavoro.
Prendete il cuore,
Il sangue e la tristezza
Dei compagni che non vedono,
Prendete le mie donne
E la mia collera,
I miei anni e la mia vita.

Da lì viene l’eterno dei fiori,
Da lì si libera il nome,
La foglia che penetra
Nella mia essenza di uccello.
Ora cadono simmetriche
Ombre di tempo
E di canto,
Senza rumore o lampo;
E mai il terrore si tinge
Della collera dei miei padri
Nati nell’ora accesa
Dell’autunno sardo.

Non ho potuto amare ogni cosa
E non una, mille cose

Mi sveglia la noia delle parole,
La memoria che spegne
Le mani di carta,
Trasudando maschere
Di voci e di semi,
Occhi di terra,
Parole possenti
Di vita e di sogno.

Non ho potuto vendere il più tardi,
Il domani o dopo,
Le croci di pietra
E di polvere tormentosa,
La poesia e il letto,
Il fumo di cenere
Che naviga nel pozzo
Del tesoriere di Stato.
Non ho potuto.

Da lì viene il mio tempo
E la mia pazienza.
Da lì ritorna
Il peccato e il perdono
Della mia gente.
Arriva possente dal letargo
Di un inverno vestito
Di povera bontà e di sacri voti,
Arriva nella mia bocca
Per chiamare i nomi
Di tutti quelli
Che non ho potuto amare.

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