Andare a scuola

Tra il Comune e la ASL viene concordata l’apertura di un Centro d’ascolto psicologico in una scuola professionale per rispondere a domande d’aiuto provenienti da studenti, genitori e docenti.
Primo giorno di presenza.
La Preside ha distribuito una circolare, per questo studenti e genitori sanno di questa novità: non c’era mai stato uno psicologo nella scuola.
Appena entro nell’edificio sono sottoposto ad un accurato esame da parte degli studenti schierati lungo le macchinette del caffè. Saluto, presentandomi.
Molti sorrisi imbarazzati. Parlo brevemente con la Preside che mi accompagna nella stanzetta che la scuola mi presta per i colloqui e trovo fuori della porta una coppia di genitori.
Subito al lavoro: “Dottore, in questa scuola c’è nostra figlia Laura, una ragazza di 16 anni che non riusciamo più a tenere a bada, ormai è diventata un vero demonio. Ci aiuti, ci dica cosa dobbiamo fare!”.
Non ho la più pallida idea di cosa debbano fare. Mi dichiaro disponibile a capire insieme a loro come mai c’è tanto malessere. Possiamo vederci un po’ di volte ed esaminare il loro problema.
“No, Dottore, noi vogliamo solo che ci dica cosa dobbiamo fare con Laura. Non vogliamo discutere con lei di altri fatti”.
Comincio a pensare che sarà dura con questi genitori. Non mollo. Tutta la mia disponibilità è nell’incontrarli sulle loro difficoltà. Altro non posso fare.
Sono delusi, si aspettavano un consiglio. Rimando che capisco la delusione.
“Potrebbe almeno vedere Laura e dirle di comportarsi meglio con noi?” mi dice la madre. La deludo ancora negandomi ad un compito così inutile.
Posso vedere certamente Laura se questa chiede di parlarmi, ma non certo per darle dei consigli su come deve trattare i genitori.
Escono furiosi, delusi e furiosi. Sono passati solo i primi 50 minuti.
Mi chiedo cosa è successo, mi ritrovo in testa un lungo elenco di fatti raccontatimi su Laura e un’impossibilità di poterne parlare con loro.
Intanto è arrivato l’orario di ricevimento per prenotare i colloqui nelle sedute successive.
Ci sono fuori della porta una ventina di ragazze e ragazzi; chiedono appuntamenti urgenti per loro e per altri, da soli e per tutta la classe.
Vista la situazione dichiaro che prendo nota d’ogni richiesta e poi faccio sapere se e quando posso fare qualcosa.
Mi ci vuole tutta l’ora successiva per organizzare un calendario d’incontri collettivi in classe e di primi incontri individuali. Per i prossimi mesi mi tengo libera solo un’ora per eventuali nuove richieste.
Bussano alla porta. Non ho però appuntamenti, si affaccia una ragazza minuta con i capelli cortissimi: “Mi chiamo Laura, ho bisogno di parlarle subito”.
“Subito le posso dedicare questi ultimi dieci minuti che rimangono” le propongo.
Accetta: “Sto male”, mi dice. Poi rimane in silenzio. Scadono i dieci minuti.
“Dobbiamo salutarci”, le dico.
“Mi dà un altro appuntamento? “ mi chiede.
Apro l’agenda e lo fisso per la successiva settimana.

Verrà così per tre mesi, tutte le settimane nell’ultima ora in cui sono presente a scuola.
Mi racconterà di tutto: incesti, violenze di gruppo, alcool, droga. Ed ha solo 16 anni.
Dopo i nostri incontri sta sempre più male. Comincia a parlare con i compagni e con i professori di quello che le succede a casa.
Allarme generale della scuola, intervento coatto dei genitori che non fanno più uscire Laura da casa, nemmeno per andare a scuola, segnalazioni della Preside ai Servizi Sociali, interviene il Tribunale dei Minorenni,
Dopo una settimana vengo a sapere dalla scuola che Laura è ricoverata in ospedale perché ha spaccato tutti i mobili di casa. Forse anche un tentato suicidio.
Mi arriva a scuola una lettera. Sul biglietto, pieno di cuoricini, mi chiede di andare a trovarla. Lo faccio. In quell’incontro mi parla soprattutto della rabbia che ha per essere continuamente legata al letto.
Però preferisce stare lì, piuttosto che tornare a casa.
Per un paio di mesi rimane in ospedale, poi la dimettono. Torna anche a scuola, ma in modo molto irregolare. In ogni caso sta in casa nei giorni in cui sono a scuola. Non mi chiede più sedute. Né io la cerco.
Una volta trovo un biglietto sulla porta.
Non ci sono cuoricini e c’è scritto “ stronzo”.
Prima della fine dell’anno scolastico ricevo un’altra lettera di Laura, piena d’insulti per me.
Non viene più a scuola. Dopo qualche settimana mi dicono che è stata ricoverata in una comunità per adolescenti con disturbi psichiatrici.
I genitori non li ho più visti, dopo quel primo incontro. Inghiottiti nel nulla.
Le insegnanti hanno continuato a venire da me fino alla fine dell’anno scolastico.
L’anno successivo è arrivata a scuola un’altra lettera per me. Nessun mittente per un’eventuale risposta. Dentro un altro bigliettino e la scritta: ” Mi scusi”.

Andare a scuola può anche voler dire affrontare queste situazioni.
Buona fortuna, Laura

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